“Kobane Calling on stage”, voce del popolo tra oriente e occidente

23 Novembre 2022

Ognuno fa i conti con la propria coscienza, ma a volte “il battito d’ali di una farfalla provoca un uragano dall’altra parte del mondo”; la messinscena ce lo ricorda.

Sentire, -e sentirsi- , emozionarsi leggendo un’opera cartacea è doloroso, pulsa il desiderio di vedere materializzati storie e personaggi vissuti solo immaterialmente; specialmente nel caso di lavori di grande impatto, culturale e personale, qual è Kobane Calling, questa tensione alla fisicità cresce, e sicuramente è uno dei motivi principali dell’accoglienza positiva ricevuta da Nicola Zavagli quando nel 2019 ha portato in scena“Kobane Calling on stage”, trasposizione di due ore dell’omonima graphic novel autodiegetica di Zerocalcare, dove Zero racconta, in forma di reportage, la sua esperienza al confine turco-siriano  tra i difensori curdi del Rojava, in lotta contro le forze dello Stato islamico.

Tuttavia, in questi giorni, a seguito dell’ultimo attacco Turco in Siria, è sufficiente seguire il telegiornale per vedere personificarsi quei racconti che il fumettista di Rebibbia, prima nelle strisce dell’Internazionale, in forma di fumetto poi, ha esposto nel 2015; ed è per questa ragione che anche stavolta il pubblico non ha che potuto acclamare e trovare storicamente necessaria la scelta di riportare in scena lo spettacolo, a distanza di tre anni; dalla presente redazione assistito al Teatro Vascello di Roma.

Sono diversi anni ormai che teatro e fumetto si sono incontrati riuscendo armonicamente a dialogare, esemplari sono stati gli adattamenti di successo delle storie di Akab o di Micol&Mirco nel 2016; ma trasformare un fumetto in un’opera teatrale non è un lavoro facile: sebbene il palco offra una tridimensionalità assente in una pagina piana, è innegabile che in un foglio si possa realizzare quella scattante successione di ambientazioni, figure e racconti, ulteriormente intrisa di flashback ed episodi di fantasia alla Zerocalcare, che ricreare in un ambiente fisico è complesso, se non impossibile.

Il regista deve, pertanto, attuare delle scelte, dei tagli scenografici e narrativi; scelte, che nel caso di Zavagli risultano ponderate e funzionali alla messinscena.

Zerocalcare (Massimiliano Aceti), dantescamente narratore e personaggio, inizia il suo viaggio, tornando,  di quando in quando, indietro nel tempo per raccontare come ha preso la decisione di diventare volontario, il confronto con i genitori, le ansie e i motivi che infine l’hanno spinto a partire, narrando progressivamente le vicissitudini che più l’hanno segnato, facendo luce, illustrandolo con chiarezza e semplicità, col fine di una esaustiva divulgazione socio-politica, sullo stato di terrore dominante nella vita curda segnato da guerre e repressione civile.

Zavagli decide di soffermare maggiormente la narrazione su questioni anche caldamente occidentali, come il ruolo della donna e il coraggio di battersi e sacrificarsi per difendere i propri ideali; riuscendo così a dare allo spettacolo un taglio attuale e quel carattere informativo,originario del testo di partenza.

A far da sfondo alla vicenda sono le illustrazioni stesse di Kobane Calling, presenza che da’ allo spettatore l’impressione di star assistendo a una materializzazione istantanea durante una personale lettura del fumetto. Istantaneità resa incisiva ancor di più dalla scelta di far sostare contemporaneamente sul palco diversi attori, come fossero elementi scenografici, che alla bisogna prendono parola, in taluni casi, vestendo i panni di più personaggi, riuscendo così a portare in scena simultaneamente il presente, il passato e i sogni ad occhi aperti del protagonista.

Presenti sono anche i personaggi di fantasia diventati icone italiane popolari, quali l’Armadillo, il Mammut e Peppa, abilmente rappresentati da loro raffiguranti sculture sostenute fisicamente dagli interpreti; una scelta d’impatto, pratica ed elegante.

Aceti, perfettamente calato nel ruoto, riesce a restituire alla platea la leggerezza e l’ironia che contraddistingue la produzione di Michele Rech; e sempre come quest’ultimo, con grande naturalezza ed empatia, lui, e con lui ogni attore presente, coinvolge il pubblico facendolo sentire socialmente parte di un tutto, ancor di più quando si muovono tra esso, guardandolo negli occhi, così da spingerlo a un più vigoroso risveglio di coscienza; in questo momento il palco è vuoto e la platea si ritrova sola con le immagini delle macerie di Kobane, ed è lì, che la silenziosa forza comunicativa del teatro frantuma, ancora una volta, la quarta parete, arrivando dritta in petto.

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