Dio c’era

21 Gennaio 2022

Recensione di Anna. L’ultima serie TV
di Niccolò Ammaniti, su Sky

Testo Saverio Caruso

Sicilia. Provincia di Palermo. Maria Grazia è angosciata dall’arrivo di un virus mondiale che ha colpito anche l’Italia. Dal nord sta scendendo verso la Sicilia. I media hanno suggerito di evitare il più possibile i contatti, quindi Maria Grazia si è rifugiata con i suoi due figli in una casa fuori città. Non è preoccupata tanto per la loro salute, quanto per la sua. Il virus sembra accanirsi, infatti, solo sugli adulti e non sui bambini. Si manifesta come una polmonite questo virus, ma arriva ad uccidere.

Ci sembra drammaticamente familiare questo scenario, ma è solo uno dei tanti flashback di Anna, la figlia di Maria Grazia. La serie Anna, di Niccolò Ammaniti, disponibile su Sky Box Sets e in streaming su Now, è ambientata anni dopo quell’evento in Sicilia. Le riprese sono iniziate sei mesi prima dallo scoppio dell’epidemia da COVID-19.
Maria Grazia è morta. Tutti gli adulti sono morti. Regnano ormai solo i bambini in un mondo diventato marcio. Come in uno scenario post-apocalittico hollywoodiano, la fotografia di Gian Enrico Bianchi ci mostra una natura che ha lentamente ripreso il suo posto, in una Palermo senz’anima e senza più rumori. Le radici crescono rigogliose tra le crepe dei palazzi sgarrupati. Cadaveri di vecchie macchine distrutte sono sparpagliate al centro delle strade. Dappertutto sono ammassati i resti del Vecchio Mondo: scarpe, televisori, cessi, computer e tanti vestiti. Dappertutto un odore di immondizia, che pure allo spettatore pare di sentirlo.
In giro ci sono pure i giocattoli. I bambini non ci giocano più. Sono impegnati a sopravvivere ora, a procurarsi il cibo, a
rifugiarsi in case sicure, dormire in posti isolati, per evitare che qualcun altro li ammazzi per prendere il loro posto. Sì, i bambini in Anna uccidono. Uccidono e torturano. Sono piccoli assassini, diventati spietati a causa di una ormai immodificabile anarchia che ha tolto i sogni e le speranze.
In una delle tante riprese a volo d’uccello sulla Palermo marcia, si staglia uno striscione. “Dio c’era”. Allo spettatore è chiaro che non sono stati i bambini a scriverlo, ma qualcuno anni fa, quando la pandemia non dava già speranze e Dio aveva abbandonato le sue creature.
I bambini non sanno chi era Dio. In un mondo in cui non sanno neanche se Milano sia vicino Los Angeles e i sentimenti si riducono all’essenziale, non è utile sapere chi fosse Dio. Eppure il tema della spiritualità è costante nella serie. Religione e magia sono temi cari ad Ammaniti. La sua precedente serie, Il Miracolo, tratta di una statuetta della Madonna che piange sangue umano a ettolitri. La vita dei personaggi che ruotano attorno alla storia viene sconvolta da questo miracolo.
In Anna, come detto, Dio non c’è, ma c’era. In pieno stile Ammaniti, crocifissi e madonne sono accantonati vicino ai cumuli di immondizia, bambini vagabondi dormono sugli altari delle vecchie chiese, tra i banchi.
Dio c’era e ora è stato sostituito da una religione neonata, tribale.
In contrasto alla Rossa, il virus che ha colpito e ucciso tutti gli adulti e che continua a contagiare man mano che si cresce, il clan più organizzato e popoloso in Sicilia è quello dei Blu: una tribù gerarchica i cui membri sono appunto dipinti di vernice blu. Guidati da una regina showgirl, Angelica, venerano l’unico adulto rimasto in vita, riducendolo a catene per non farlo fuggire. È immune alla Rossa, immune perché ermafrodita. Nell’apocalisse delle donne e degli uomini, prevale chi biologicamente non è né l’uno, né l’altro.
All’entrata della nobiliare tenuta dei Blu, cadente e disordinata, c’è un enorme fantoccio fatto di vestiti e ossa umane che pare un crocifisso.

Come ogni tribù, anche i Blu hanno i loro rituali, ispirati agli unici modelli di costumi che i bambini avevano nel Vecchio
Mondo: i programmi tv.
La coraggiosissima Anna, interpretata da Giulia Dragotto, la protagonista della serie, si prende cura del suo fratellastro, Astor, interpretato da Alessandro Pecorella, dopo la morte di Maria Grazia, Elena Lietti. Lo protegge dalle terribili minacce del Nuovo Mondo. Per cercare Astor, dopo che era fuggito, Anna si imbatte nei Blu ed è costretta, sotto terribili minacce, a tenere un’audizione con tanto di giuria alla X-Factor. La sua condanna viene decisa come in un talent.
Dai Blu, Anna riuscirà a scappare, salvando Astor, ma priva di un braccio. I Blu non glielo hanno amputato per punizione ma per evitare che il veleno del morso di un serpente potesse propagarlo. Una trovata incerta, ma che ricorda costantemente le regole di quel mondo dannato.
La sceneggiatura è ingiusta anche nei confronti di Pietro, interpretato da Giovanni Mavilla. Muore di agonia dovendo tenere un annaffiatoio saldato come casco per pagare un certo pedaggio e raggiungere l’Etna.
La storia tra Anna e Pietro ha i sapori di una giovane storia d’amore estiva. Inseguono la leggenda che le anime si possano salvare dall’Etna. In quella notte, allora, sull’Etna, si compie la magia. Possiamo vedere le anime che fluttuano nel cielo, forse compresa quella di Pietro. Non sappiamo se quell’immagine è una visione di Anna ma dopo tanta violenza siamo disposti a sognare con lei.
Anna però sogna certamente sul pedalò, mentre fugge dalla Sicilia con suo fratello Astor. Sogna lei e Pietro correre spensierati su campi di grano insieme a tanti delfini. Un’immagine che in pochi istanti fa dimenticare il mondo dell’immondizia che ormai hanno alle spalle.
Anna è un’eroina. L’interpretazione della giovanissima Dragotto impressiona, come impressiona la recitazione di tutti i bambini ripresi nella serie. I bambini sgozzano, torturano e altri bambini guardano, incitano. Smaltiscono i cadaveri gonfi dei propri fratelli e dei propri genitori. Ammaniti conferma di saper gestire abilmente i giovanissimi attori e di averne peraltro una predilezione. Si pensi al suo romanzo Io non ho paura del 2001.
Spiccano le interpretazioni di Nucci, interpretato da Vincenzo Masci, con il suo atteggiamento trasognato. Zoppo e con la zeppola. E di Angelica, interpretata da Clara Tramontano, viziata, egocentrica, snob, sadica. È la vera strega cattiva di questa fiaba crudele.
La missione di Anna è di scappare dalla Sicilia con Astor e raggiungere l’Italia. Non sa e non sappiamo cosa c’è aldilà del mare ma Anna, dall’Etna ha visto le coste dell’Italia e un sentimento di speranza le è nato nel cuore. Vuole raggiungere l’Altro Mondo. Il sentimento si fa immagine nell’elefante che Anna e Astor vedono appena raggiungono le spiagge. Per l’Occidente, simbolo da sempre di Altri Mondi.
È il momento più alto della serie.
Un’altra chiara metafora. A bordo del pedalò verso l’Italia, Anna perde il quaderno dove la mamma, dopo aver scoperto di avere la Rossa, aveva scritto le regole principali per vivere nella nuova vita senza adulti. Suo fratello rischia anche di annegare per riprenderlo, ma Anna, in un momento di estrema tenerezza lo abbraccia e gli ricorda che non ne hanno più bisogno. Anna si lascia alle spalle la Sicilia dannata, e con essa la sua deviata
infanzia.
La fiaba si avvicina all’epilogo. Dopo tanto dramma, lo spettatore desidera più che mai un lieto fine e sa che Ammaniti non lo concederà facilmente. Il finale nell’omonimo romanzo, scritto dallo stesso Ammaniti, ha un amaro finale aperto ma la trama della serie si è discostata spesso dal romanzo.
Durante la disperata traversata tornano alla mente i sei episodi di una piccola odissea che è la serie: coraggiosa, disturbante, spietata, a volte ingiustamente. Comunque un prodotto tutto italiano originalissimo.
Nel silenzio della mattina, il pedalò della speranza batte ad una parete. Non sono arrivati sulle coste italiane, bensì ad una nave mercantile. Salgono. Trovano cibo in abbondanza. Sentono voci. Entrano in una stanza e vedono un gruppo di adulti che mangiano e scherzano. Adulti. Una donna porta in braccio un neonato. Anna lo guarda meravigliata. Titoli di coda. Fine. Quel gruppo di adulti e quel neonato simboleggiano l’inizio di un mondo nuovo. Possiamo vedere negli occhi di Anna il suo cuore che batte d’eccitazione. Forse Dio c’è ancora.

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