Civil War: La tragedia viva di un umanità che si autodistrugge in una guerra priva di regole e di etica.

29 Aprile 2024

Ma che bello è Civil War? Diretto da Alex Garland, biglietto da visita? Sceneggia: 28 giorni, Sunshine. Sceneggia e dirige Ex Machina, Annientamento e Man tutti da recuperare per chi non l’avesse visti. Garland ora tira fuori dal cilindro Civil War. Un gruppo composto da fotoreporter e giornalisti si muove in un viaggio verso Washington in un’America distopica, ultra violenta e dilaniata dalla guerra civile alla ricerca di una foto da scattare e di una dichiarazione da prendere al Presidente degli ex Stati Uniti D’America oramai prossimo alla resa (Una nota sono solo due le stelle presenti nella bandiera Americana). Un cast di una bravura indescrivibile: Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Wagner Moura, Cailee Spaeney e Stephen McKinley Henderson nel ruolo di Sammy per una storia che lascia un brivido lungo la schiena complice una messa inscena cruda e una regia salda con grandi idee visive e sonore. Un road movie che non cede informazioni e deliberatamente, non inquadra un periodo storico, adduce alla finzione ma ci pone degli interrogativi costanti e aderenti alla realtà, in prossimità delle elezioni presidenziali USA di novembre che saranno tra le più accese nella storia americana. Alla memoria tornano subito i disordini interni successivi alle proteste del 2020 o l’insurrezione che portò all’assalto al Congresso nel 2021. Ma ancora saltando tutti riferimenti di cronaca di longitudine e latitudine ci si può proiettare agli orrori perpetrati in medio oriente ma più in generale alla disumanizzazione come effetto collaterale di una guerra senza regole. Non sappiamo cosa ha provocato questo guerra. Quando è iniziata. Chi l’ha iniziata? Forse il Presidente bombardando con dei droni uno Stato che non era in accordo con le sue posizioni politiche? Non ci è dato sapere e non ci interessa perchè non è il fuoco del film. E’ lo straordinario vestito costruito sui personaggi a darci lo spessore della storia che Garland ci racconta. Civil War restituisce la tragedia viva di un umanità che si sta autodistruggendo in una guerra priva di regole e di etica, dove l’unico denominatore comune è dato dalla violenza e dalla sopravvivenza individuale. E tutto è racchiuso negli occhi e nelle fotografie di Lee Smith (Kirsten Dunst). Tutto è racchiuso nell’ingenua spinta volitiva della giovane e aspirante fotografa Jessie Cullen e nella sua evoluzione di coscienza come fotografa e come donna. E ancora nel dolore di Wougner Moura o nel mascherato cinismo del veterano Sthephen McKinley. Ma forse più di ogni altra cosa è la lucida follia di Jesse Plemons nei panni di un miliziano spietato e carnefice ad essere la cartina tornasole di Civil War. Incredibile il comprato tecnico. Ogni inquadratura racconta coerentemente uno stato d’animo, l’uso della macchina a mano suggerisce il costante moto di precarietà e di adrenalina. Il risultato è un contrappunto perfetto che si agita tra campi larghi, scatti fotografici in bianco e nero e colonne sonore impattanti. Il punto di vista del racconto calato sui giornalisti ci tira dentro la guerra in due modi. Uno acritico e oggettivo impregnato sul “dovere di cronaca” e uno soggettivo fatto di terrore, dolore ma anche di sorprendenti e umani momenti di leggerezza da ricavare tra una sosta e l’altra, tra una bomba e un cecchino. In un finale magistrale il lato umano e il lato professionale, così attentamente seminati durante il racconto si fondono e generano l’unicità emotiva di un film eccezionale. La sequenza finale di Civil War, con l’ingresso nella Casa Bianca è da storia del cinema. Perfetta la messa in scena, perfetti i movimenti macchina, magnifica l’assenza di pietismo, gigante il magico realismo con cui Garland fa procedere il racconto utilizzando le fotografie come punteggiatura della narrazione. Geniale. Magnifico il parallelismo tra arma da fuoco e macchina fotografica. Point and shoot. Puntare e sparare, inquadrare e scattare .Bellicismo e comunicazione ormai inscindibili. Vi lascio parafrasando le parole di Lee che iniziano il film. Tutto ciò che mi ha spinto a fare queste foto a raccontare questa tragedia è il mio credere che tutte ciò che ho fotografato ci avrebbero consentito di non commettere più l’errore di fare la guerra. Ma Lee si sbagliava non aveva fatto i conti con l’animo umano. Va visto al cinema!

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