“L’Arte della Gioia” e la vera Gioia di vedere dell’Arte.

30 Giugno 2024

Qual è lo stato di salute della serialità italiana?

E quale, considerata la possibilità transnazionale di consumo dovuta alle piattaforme streaming, il suo impatto nel panorama internazionale?

Le suddette domande, chiariamolo per onestà, sono necessarie ad introdurre l’oggetto e il corpus di questo articolo che si propone lo scopo di mettere per iscritto i pensieri e le riflessioni dello scrivente a proposito di quello che, a memoria, potrebbe essere il miglior prodotto seriale mai realizzato sotto l'”egida” della bandiera tricolore e ossia “L’Arte della Gioia” tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice siciliana Goliarda Sapienza e messo – stupendamente, sia subito detto – per immagini dallo straordinario lavoro di Valeria Golino che dirige un cast non necessariamente stellare nei nomi, fatte eccezioni probabilmente per la conosciutissima Valeria Bruni Tedeschi e per il più che affermato Guido Caprino -, ma che può essere definito tale per la qualità delle performances offerte.

“L’Arte della Gioia”, prossimamente in 6 puntate sulla televisione satellitare “Sky” e sulla sua declinazione in banda larga “Now”, è ancora, divisa in due parti, in diversi cinema italiani dopo aver fatto la sua comparsa a Cannes lo scorso maggio in occasione dell’omonimo Festival che si tiene annualmente nella Croisette.

Due parti che nella divisione televisiva si tramuteranno, ci si ripete, in 6 puntate che si possono già immaginare avvincenti, emozionanti, goduriose e di indubbia qualità.

Modesta, una più che vispa bambina siciliana che scopriremo presto essere approdata ad un vicino convento di suore dopo almeno un paio di eventi che definire traumatici sarebbe riduttivo, è il personaggio cardine di questo racconto ed è interpretato nella sua versione non più puerile da quella che sembra avere le stimmate della futura attrice di successo in quanto dotata di un talento fuori dal comune e ossia quella Tecla Insolia che molti telespettatori hanno già avuto modo di vedere all’opera nel ruolo della cantante Nada nel film Tv Rai “La Bambina che non voleva cantare”.

Forse nell’abbondanza di qualità che contraddistingue il prodotto in questione non rimane, paradossalmente, molto da dire in quanto pare più facile, almeno teoricamente, dilungarsi nelle analisi quando ci si imbatte in scadenti costruzioni piuttosto che quando si ha che fare con un insieme che somma tra loro elementi sempre corretti e sviluppati con gusto e correttezza.

Valeria Golino, già apprezzata per altri lavori di direzione – recuperate “Miele”, ad esempio -, ha visione, “forza” e chiarezza a contraddistinguere il suo operato di e da regista.

Lo scorrere delle immagini a comporre la storia assume il peso della giustezza, rimarcando – o creando, probabilmente – la profondità del corpus narrativo e restituendo una pienezza che difficilmente alberga nelle produzioni italiane di ampio respiro.

La fotografia a firma di Fabio Cianchetti ci restituisce una Sicilia spesso lussureggiante, ma non barocca, ricca – come prevede il ceto sociale dei personaggi coinvolti maggiormente -, ma non superficiale, luminosa eppure ammantata da ombre che risultano essere protagoniste sia interiormente che esteriormente nella storia della novizia che si emanciperà dal suo destino di donna di Chiesa, ma non sfuggirà mai, fino in fondo, dai suoi natali maledetti.

E le prove attoriali, infine, quasi tutte al femminile possono veramente condurre ad urlare ad una sorta di miracolo se si considera l’impressionante livello medio delle interpreti e degli interpreti, con punte si eccellenza di cui non si ha facile memoria, onestamente.

Detto già di Tecla Insolia, senza difetti nell’alternanza di monologhi/soliloqui e dialoghi, da ammirare e applaudire sono sicuramente le costruzioni psicologiche, fisiche e caratteriali che le sempre più brave Jasmine Trinca e Valeria Bruni Tedeschi mettono in campo in questa storia che allo stesso tempo abbaglia e angoscia, esalta e circuisce, in un crescendo continuo e quasi machiavellico se si considera la struttura quasi noir della trama.

Alma Noce, Eleonora De Luca, Nike Perrone sono altre 3 delle donne che contribuiscono a rendere eccellente questo quadro che solo la semplicità di pensiero di chi digita ha la tentazione di definire orgogliosamente, in un moto di autentica felicità non posticcia, rosa.

Ci sono ovviamente anche le buonissime performances al maschile di attori come Giuseppe Spata, Vincenzo De Michele, Guido Caprino e del più che sorprendente Giovanni Bagnasco – curioso di conoscerne il futuro attoriale che gli si augura di grande successo – , ma, davvero, qui è il genere femminile a farla da padrone, con un lungo sciorinare di intrighi e passioni che lascia più immaginare ad un ottimo feuilleton d’antan che ad una moderna sceneggiatura cotta e mangiata in poche settimane, come, ahimè ed ahi noi, siamo stati abituati negli ultimi anni.

Adesso non ci resta altro che goderne, perché, credetemi, sprecare un’occasione del genere assomiglierebbe ad un vero e proprio delitto.

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