Una chiacchierata schietta e piena di valori, che dimostra
quanto sia importante investire sulle capacità artistiche
delle nuove generazioni
Testo Paolo Maragoni
Una delle cose che rimpiango della vita è non aver imparato a suonare uno strumento musicale. Ci ho provato con la chitarra, da autodidatta ma non è andata come speravo. Ci vuole molto amore e tanta passione per riuscire, sin da giovanissimi. È come giocare al calcio, recitare oppure disegnare: amore, passione e
talento ad accompagnare il tutto.
Per questo, quando si è presentata l’occasione di scrivere questo articolo sull’Orchestra giovanile di Roma, la prima cosa a cui ho pensato è stato il mio rimpianto di gioventù condito dalla sensazione di felicità che può trasmettere il suono di uno strumento, prodotto in prima persona. Quanta sensibilità, quanto gusto e valore, occorrono per far della musica il proprio mestiere e, poi, fondere queste virtù con quelle di altri trenta o più elementi di un gruppo. Una macchina perfetta, timbri diversi con la stessa identità di vedute, con lo scopo di raggiungere l’unisono.
L’Orchestra giovanile di Roma compie vent’anni e festeggia questo traguardo raccogliendo, con grande soddisfazione, il successo derivato dalla partecipazione alla seconda stagione della fiction “La Compagnia del Cigno”, coprodotta e trasmessa da Rai 1 lo scorso aprile. Gli allievi della OGR hanno registrato, in audio e in video, le musiche di Verdi, Puccini e Mozart andate in onda durante le scene delle prove e dei concerti in cui i ragazzi interpretavano la compagine sinfonica del conservatorio protagonista della serie televisiva.
Nata nel 2001, come laboratorio di musica d’insieme per bambini, l’orchestra diretta dal Maestro Vincenzo Di Benedetto è composta, oggi, da circa 50 elementi con un repertorio che vanta titoli sinfonici, opera lirica, musica per il cinema e musica leggera davvero importanti. Nel curriculum sono annotati oltre 150 concerti internazionali e collaborazioni con artisti prestigiosi del mondo della musica e della prosa.
Possiamo considerare, senza ombra di dubbio, la OGR come un fiore all’occhiello tra le realtà accademiche nazionali. La sua attività permette a centinaia di ragazzi, provenienti da ogni parte d’Italia di studiare, suonare, viaggiare e socializzare nel segno della comune passione per la musica e per l’arte in genere. Come dicevo all’inizio: gioventù e felicità.
Aspetto importante, che mi preme sottolineare, è il coraggio che accompagna il cammino di questo progetto, non solo per il complicato periodo che stiamo vivendo, dovuto alla pandemia e ai suoi risvolti, ma anche per le difficoltà storico-sociali che i protagonisti di questo settore artistico devono affrontare per emergere e avere successo. Il coraggio di avere coraggio, di credere fino in fondo alla forza della musica che supera tutto creando armonia e spirito di gruppo. E si guarda avanti senza paura, nel segno della continuità, con l’apertura a metà settembre del nuovo bando di selezione per le ammissioni al prossimo “Anno accademico”, che sarà uno snodo fondamentale per il futuro dell’Orchestra, pieno di nuove idee, progetti ed eventi in cui la musica sarà la protagonista, come sempre. Per dar voce, oltre la musica, all’Orchestra giovanile di Roma, ho avuto il piacere di conoscere e approfondire i temi e il successo dell’Accademia capitolina con due rappresentanti di questa realtà: Angelica Simeoni ed Emanuele Marinelli.
Salve ragazzi, è un piacere conoscervi e parlare del vostro amore per la musica. Angelica, parlaci un po’ di te. Se non
sbaglio fai parte del Consiglio della OGR, giusto?
Ho 26 anni, suono il violoncello da quando ne avevo 12 e sono entrata in Accademia a 16. Ora, faccio parte del Direttivo come rappresentante eletto dagli allievi dell’Orchestra.
Bella soddisfazione, immagino, complimenti. Ho visto che ci sono iscritti addirittura più giovani, con meno di 16 anni intendo. È così? Come funziona la scuola?
In effetti, il nostro, è un corso di formazione orchestrale propenso a canalizzare i giovani talenti. L’obiettivo è quello di aiutare i ragazzi a entrare in un’orchestra, quindi una volta superata l’audizione, con il benestare del maestro Di Benedetto, coadiuvato dal direttore artistico e dal primo violino, i candidati vengono subito ammessi nel gruppo, spesso il giorno stesso della prova. La fascia di età parte dai 12 o 13 anni, anche se in questa fase si è ancora acerbi e con poca esperienza, ma ci sono stati musicisti 15enni, con doti musicali particolari, che sono entrati subito nell’organico del gruppo orchestrale. È un’esperienza formativa e divertente, allo stesso modo, perché sfrutta la carica
emozionale e la spregiudicatezza dei nuovi componenti.
Quante ore a settimana studiate? E quante, in totale, dedicate alla musica?
Beh, in questo periodo, con gli esami alle porte, direi tante! Abbiamo esami teorici e pratici, già la sola pratica richiede almeno cinque ore al giorno, nel mio caso. Naturalmente, quando abbiamo concerti ed eventi da preparare l’impegno raddoppia. Bisogna imparare a gestire il momento di studio personale con quello da dedicare al “lavoro” di preparazione al concerto.
Emanuele, tu quanti anni hai? Che strumento suoni?
Io ho 22 anni, suono il violino da quando avevo 11 anni e la musica è, senza dubbio, la mia vita.
Diamo, appunto, per scontato che la musica è la vostra vita. Per non essere banali, ci interessa sapere il significato che date al motto che troviamo sulla homepage del sito web della OGR: connettere, crescere, eccellere.
Connettere, è ciò che dovremmo, a parer nostro, imparare tutti quando approcciamo un contesto orchestrale. Connettersi per entrare in sintonia, l’uno con l’altro, attraverso un lavoro umano e musicale. Entrambi gli aspetti sono legati, se ci sono tensioni nel gruppo la musica ne risente, il risultato finale non sarà il migliore possibile. Crescere, perché ogni orchestra giovanile, come percorso di formazione professionale, misura il talento, la tecnica, la sintonia di un gruppo. La condivisione e l’inclusione aiutano a far maturare il singolo e la coralità, in altre parole si cresce insieme. Eccellere, perché nella musica non si arriva mai, si punta sempre a migliorare la qualità, a perfezionarsi di continuo.
Durante il periodo di lockdown come vi siete organizzati? Anche voi in remoto, con allenamento in proprio?
Sì, purtroppo, nessuna lezione in presenza. L’attività dell’orchestra è stata sospesa, sia per gli eventi che per le prove. Per fortuna, l’occasione della messa in onda della fiction RAI, ci ha permesso di creare delle sinergie tra di noi, attraverso videochiamate e riunioni in remoto. Abbiamo guardato le puntate insieme, a distanza. Insomma, ci siamo tenuti “svegli” in attesa della ripartenza, che non è ancora avvenuta.
Questo numero del magazine ha come fil rouge il coraggio. Mi viene in mente un’affermazione del grande artista francese Henry Matisse che, da buon eccentrico qual era, disse: “La creatività richiede coraggio.” Secondo te, Emanuele, è proprio così oppure è vero anche il contrario?
Bella domanda! Secondo me, sono vere entrambe le cose. Magari, uno ha delle doti creative, ma è privo del coraggio per esprimerle. Spesso, non gli arriva neanche aiuto dall’esterno e la sua fantasia resta imprigionata senza prendere vita. Al contrario, la creatività richiede proprio coraggio. Uno spettatore, davanti alle esibizioni di un’orchestra o di un cantante, non immagina quanti sacrifici ci siano dietro quelle performance. Il pubblico vede il prodotto finale ma sul retro della foto ci sono anni di lavoro, di studio, di sacrifici personali che richiedono coraggio. Per noi ragazzi, soprattutto, rinunciare a parte della quotidianità, privarci di uscire con gli amici per una birra, negarci un fine settimana di vacanza, per fare le prove di un concerto che alla fine durerà venti minuti, non è semplice da accettare, tanto meno da spiegare.
Angelica, prendendo ancora spunto dal pensiero di Matisse, condividi la sua teoria che invita a seguire “le linee essenziali per raggiungere un’armonia classica”? La musica, come le arti visive, può basarsi sull’essenziale senza partire dal contenuto emotivo?
Anche questa è una domanda molto interessante. Credo che in musica non si possa prescindere dal pathos. Nello specifico, quando si monta un brano, sia essa una musica per il cinema o un corale di Bach, all’inizio ci vuole sempre una sorta di rigore nel montarlo: contrappunto, voci, impostare le varie sezioni dell’orchestra. Poi, si passa al “colore”, cioè alla dinamica del brano, all’intenzione dell’autore, allo studio dell’espressione del pezzo. Quindi, tutto sommato, si può essere d’accordo con la teoria di Matisse, l’emotività può arrivare anche alla fine. L’importante è che alla fine arrivi, altrimenti al pubblico non trasmetti nulla.
Emanuele, la pensi come la tua collega?
Secondo me, il discorso è molto personale. Non so se sia un pregio o un difetto, ma per quanto mi riguarda non riesco a scindere le cose: tecnica ed emozione vanno di pari passo, già a partire dalla fase di studio del brano. Poi, si possono fare delle distinzioni in base allo stile dei vari autori. Per esempio, Matisse potrei paragonarlo a Beethoven che con una semplicità disarmante crea degli edifici compositivi straordinari. Di solito si pensa a Beethoven, appunto, come un compositore elevatissimo quando, in realtà, nelle sue opere c’è una semplicità palpabile.
Quindi, dipende dal repertorio che si affronta. Nella musica del Romanticismo l’approccio è più emotivo, mentre nella musica avanguardista e razionale del ‘900, essendo più astratta, le due cose si scindono.
Chi gioca al calcio sogna di diventare Messi, chi suona il violino a chi si ispira?
Ci si ispira ai grandi violinisti contemporanei e non. Il paragone con il calcio non esiste, per tanti aspetti, ma nel mio caso il Messi del violino è Itzhak Perlman. Un altro violinista, contemporaneo, che mi affascina è Leōnidas Kavakos. Comunque, la scuola violinistica è cambiata molto, si è evoluta e adattata nel corso degli anni. Quelli che fino a ieri venivano considerati punti di riferimento, oggi sono superati.
Voi fate musica classica, però avete in repertorio musiche per il cinema, collaborazioni con autori di prosa, musica leggera. Angelica, se dovessi scegliere tra i Måneskin e Sergio Caputo, chi preferiresti suonare?
Non sarei in grado di fare una distinzione. È una delle domande più gettonate da fare a un musicista e ti sentirai rispondere sempre alla stessa maniera. Gli stili sono diversi, sono entrambi belli, particolari, non è possibile scegliere. Poi, la propensione personale è un’altra cosa ed essendo il violoncello uno strumento super versatile lo vedrei benissimo in un pezzo rock.
All’inizio, abbiamo accennato all’esperienza con la fiction televisiva. Come l’avete vissuta? Vi siete divertiti? È stata affascinante?
È stato divertente… anche se, per un musicista, lavorare in quell’ambiente è come essere catapultati su un altro pianeta. Noi siamo abituati a ritmi molto più lenti ma progressivi e costanti, sempre in evoluzione. Invece, ci siamo ritrovati sul set dove in otto ore di lavoro ripeti le stesse scene decine di volte, con ritmi più veloci e caotici, poi riprendi a girare un pezzo del finale e subito dopo inizi un’altra scena che riguarda l’incipit della storia. Insomma, un mondo distante dal nostro ma lo abbiamo vissuto divertendoci e, soprattutto, ne abbiamo fatto tesoro per un bagaglio personale che potrà sempre tornare utile, anche nel lavoro di musicista. Comunque, è stata una grande soddisfazione partecipare, un valore aggiunto, perché in fin dei conti portavamo noi stessi sulla scena, il nostro lavoro e non una finzione.
Avete collaborato anche con Edoardo Leo. Che esperienza è stata quella con la prosa e, quindi, il teatro? Si trattava di una serata al Parco della Musica di Roma. Edoardo Leo era la voce narrante del “Pinocchio” di Fiorenzo Carpi, quindi una fusione di teatro e musica. Noi suonavamo la colonna sonora della storia che Edoardo raccontava, con la sua grande capacità comunicativa. Non è stato semplice dar vita al connubio, all’incastro tra sinfonia e prosa, ma l’esperienza è risultata molto interessante.
Con la fine delle restrizioni per la pandemia, ripartirete con la scuola e con la programmazione degli eventi? Siete pronti? Le lezioni sono già ripartite, mentre le prove dell’Orchestra riprenderanno il 12 giugno. Siamo fermi da marzo 2020, tranne la parentesi di luglio/agosto scorsi, durante la quale abbiamo registrato “La Compagnia del Cigno”, poi fermo assoluto. Ora abbiamo già alcuni concerti in calendario ma con riserva per ché non ci sono certezze in merito alla fattibilità. Il maestro Di Benedetto ha preso contatti e accordi per diversi lavori, anche in studio di registrazione, ma nulla di certo per il momento. Vedremo come evolverà la situazione Covid e tireremo le somme.
Una curiosità, ho visto che avete due maestri: uno per gli strumenti a fiato e uno per gli archi. E le percussioni?
Le percussioni provano insieme ai fiati, perché tra i fiati ci sono gli ottoni che hanno i timbri più scuri, più gravi, quindi spesso hanno parti in comune. Comunque, non hanno un preparatore dedicato perché il repertorio delle percussioni è prettamente sinfonico, quindi arrivano già settati e più preparati di noi. È semplice inserirli nel contesto di un’orchestra.
Un sogno che avete. Dove vi vedete da grandi? Prima Emanuele.
Io mi vedo in un’orchestra, magari non in Italia, perché vorrei girare il mondo. Comunque, vorrei suonare in un gruppo sinfonico o un quartetto di musica da camera, ma non come solista. Non aspiro a essere un solista perché amo la musica d’insieme che, alla fine, è quella in cui sono cresciuto musicalmente.
Angelica, tu?
Ho gli stessi obiettivi e le stesse aspirazioni di Emanuele. Stessi gusti e stessa storia di crescita. Da piccola, nelle band, ho suonato anche il basso elettrico. Ho un’anima rock che, poi, mi ha portato alla musica classica. Perciò, la musica d’insieme è quella che vedo nel mio futuro.