C’è un sottile filo, che unisce il pathos alla musica, sul quale scorrono tensione, angoscia e paura: quel filo è rappresentato dal genio e dalla creatività di Colapesce che nel suo Iddu – Sicilian Letters (42 Records, Dischi Numeri Uno) è riuscito a racchiudere i 130 minuti del film di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia Iddu – L’ultimo padrino, nelle sale dallo scorso 10 ottobre. Un’esperienza non completamente nuova per il cantautore siciliano che ha già firmato insieme a Dimartino la colonna sonora del loro film La primavera della mia vita (Nastro d’Argento per la miglior colonna sonora, 2023) con la regia di Zavvo Nicolosi.
Da ascoltatrice (anche se “recente”) di Colapesce, confesso che ero molto curiosa di vedere come il suo lavoro – vincitore del premio collaterale della Mostra del Cinema di Venezia Soundtrack Stars Awards, assegnato alle migliori colonne sonore dei film in gara alla Biennale Cinema – si sposasse sulle immagini di un film. Aggiungo, per dovizia di cronaca, che Iddu – Sicilian Letters segna ufficialmente il ritorno da solista di Colapesce, riprendendo così le redini di un discorso lasciato in “sospeso” nel 2017 con il suo ultimo disco, Infedele (motivo per il quale ero estremamente curiosa di scoprire quale direzione avrebbe preso una nuova produzione solista, dopo i quattro brillanti anni di collaborazione con Dimartino).
Non smetterò mai di dire che Lorenzo Urciullo ha l’incredibile capacità di condurre l’ascoltatore in quell’universo parallelo che ha costruito con musica e parole: il suo è un modo di comporre così preciso e accurato che sembra di condividere quel preciso istante con il cantante. Motivo per il quale Omini e armali, il primo brano del film, ha un carattere talmente forte che basta a sé stessa e le immagini potrebbero essere quasi superflue. Talmente preciso che sembra quasi rispondere alla regola delle cinque W (what, when where, who, why) della comunicazione, in cui tratteggia personaggi, luogo, tempo e spazio: le poche frasi in dialetto cantate all’inizio del brano bastano a trasportarci in una Sicilia arida e secca descritta da una melodia tesa e cupa con un ritmo che si fa sempre più concitato. Un brano questo che più di tutti sembra calzare le parole di Colapesce che per Iddu, ha dichiarato di essersi ispirato al lavoro dei Popol Vuh sui film di Herzog per una composizione molto “materica”. Una composizione che nella mia testa (probabilmente per la struttura simile ma non analoga) ha trovato un perfetto collegamento con il succitato album Infedele e la sua prima traccia, Pantalica: un’esperienza mistica più che una canzone, in cui si susseguono diverse suggestioni che spaziano dalla vita alla morte, passando per l’amore e la solitudine. Pantalica è terra, è materia, è arida, è collasso e contatto, è una canzone che come Omini e armali sembra farsi domande sulla vita dell’uomo e sulla sua esistenza.
Tra il suono scuro degli archi di Davide Rossi, le note della tromba Alessandro Bottacchiari che sottolineano un senso di smarrimento, i ritmi ancestrali dei tamburi ed incursioni elettroniche, si delinea un sottofondo musicale composto da 19 tracce, che portano anche la firma del produttore Federico Nardelli, incredibilmente suggestivo e fortemente evocativo che non abbandona mai la sensazione di oscurità e di angoscia.
In occasione dell’incontro con il pubblico al cinema Greenwich lo scorso 10 ottobre, Colapesce ha spiegato che
«il lavoro si è diviso in due fasi: la fase di Matteo e quella di Catello. Volevo evitare di mitizzare Matteo quindi non ho lavorato sulla parte tematica, ho lavorato sull’assenza, sulle pause… Che in musica sono fondamentali! A volte dicono di più di alcune note. Invece sul personaggio di Catello, ho lavorato proprio sul tema, come si faceva una volta nel cinema degli anni 70 italiano… Penso ai grandi Maestri Morricone, Egisto Macchi che è stato uno di quelli ai quali mi sono ispirato di più per questo film.»
Ascoltando infatti la colonna sonora si percepiscono due temi che caratterizzano i personaggi di Messina Denaro, più forte e determinato, e quello di Catello mosso da un animo più remissivo e codardo. Se infatti le musiche strettamente legate a quest’ultimo personaggio cercano di esaltarne l’indole inetta, quelle di Matteo mantengono una linea minimale che si scarnifica sempre di più per sempre viva la tensione: ne sono esempio Spettri, il pozzo, Spettri, l’omicidio e Spettri, la discesa legati a ricordi del boss.
Ad ogni ascolto emergono nuove sfumature sonore a tal punto che, in alcuni brani, sembra che anche la voce simuli uno strumento e con questi si fonda; vocalmente importante la presenza del coro Schola Gregoriana Mediolanensi in Omini e armali e in Catello al funerale con un’ossessiva nenia che sembra simulare il passo cadenzato del corteo stesso. Concludo citando due brani (a mio avviso i più belli) nonché i più concitati: L’ossessione del pupo, che presenta una bellissima ed importante linea di synth, e Il pedinamento.
Provando a mettere (minimamente) da parte l’emozione, durante l’incontro con il pubblico alla presentazione di Iddu – L’ultimo padrino, ho fatto qualche domanda a Colapesce per scoprire qualcosa in più sulla colonna sonora.
«Il lavoro ti ha preso sei mesi di tempo e l’hai fatto, in qualche modo, a scatola chiusa perché immagino che le riprese procedevano e, nel frattempo, tu scrivevi la colonna sonora. Quindi volevo sapere come è andato avanti il lavoro? Soprattutto ci sono stati dei temi che avevi già scritto e che poi, confrontandoti con attori e registi, hai dovuto rimodulare?»
«Ho lavorato già sulla sceneggiatura e poi man mano sulle immagini, ho dovuto chiaramente rimodulare tutta una serie di cose. Anche perché lavorare su carta è completamente diverso che lavorare direttamente sulle immagini.»
Un altro brano che merita una parentesi è La malvagità, unica canzone della colonna sonora nonché summa perfetta del film (e di una realtà che si fa sempre più ostile), nella quale emerge tutta la debolezza dell’uomo e la sua incapacità di fare a meno del male. Le parole sono talmente minuziose e (nuovamente) fotografiche che dipingono un’atmosfera rarefatta in cui il malessere dell’uomo diventa appagamento per l’altro. Un commovente e disarmante crescendo musicale che esplode nel secondo ritornello con un maestoso e superbo arrangiamento di archi, avvolgente come le fiamme e l’impeto della vendetta avvolgono l’anima. Una canzone talmente perfetta per descrivere tutto il film che non poteva non essere nei titoli di coda, nonostante una frase («e quando canta a squarciagola vedi il diavolo») calzi perfettamente una delle scene del film. Ma com’è nato questo brano?
«La malvagità è nata alla fine, è l’ultima cosa che ho scritto. Però, la prima volta che lessi la sceneggiatura, mi ero appuntato questa frase “la malvagità appartiene all’uomo” e l’ho lasciata lì. E poi da questa frase è nato tutto il resto: l’ho scritta veramente grazie alla sceneggiatura chirurgica di Fabio e Antonio! (i registi, nda)»
Così come tante alte che hanno fatto la storia del cinema, Iddu – Sicilian Letters è una di quelle colonne sonore da custodire e tenersi stretti per tutte le sfumature che la caratterizzano; in particolar modo perché ci restituisce (e conferma) non solo l’immagine di un Colapesce abile con le parole ma soprattutto quella di un musicista dotato di un grande estro.