“Ferito a Morte”: dalla carta al carne

19 Gennaio 2023

Dal 10 al 15 gennaio 2023, presso il Teatro Argentina di Roma, è andato in scena lo spettacolo “Ferito a Morte” tratto dall’omonimo libro – Premio Strega del 1961 – del napoletano Raffaele La Capria, adattato per le tavole del palcoscenico dallo scrittore – anche egli insignito del medesimo prestigioso premio letterario di cui sopra – Emanuele Trevi e diretto dal sempre bravo Roberto Andò, reduce dal successo di pubblico e critica nel cinematografico “La stranezza”.

Operazione rischiosa questa dell’adattamento teatrale di uno dei romanzi più importanti del ‘900 italiano e che, visto il risultato, può dirsi vinta solo parzialmente.

Il Teatro è, per chi scrive, un luogo ed un tempo in cui la parola si fa carne e sangue, uscendo dalla dimensione bidimensionale del carattere topografico impresso su carta per divenire corpo, respiro, sudore e suono. E ovviamente questo avviene anche nell’arco delle 2h di rappresentazione di questo elegante lavoro teatrale che si apre con le magnifiche proiezioni dei video, riprendenti fondali marini e relativa fauna acquatica, di Luca Scarzella e che prosegue con la gustosa epifania di un mondo borghese che si destreggia tra giovinastri scapestrati tanto indolenti quanto arguti, cameriere dalle schiene ormai compromesse, marinai presunti latin lover e padroni di casa fiaccati dalla guerra e dal tempo che passa, ma non arresisi all’allontanarsi di una vigoria fisica ed intellettuale che caratterizza la prima porzione della vita di ciascuno di noi.

E quindi la transustanziazione c’è, ma non quanto si anelerebbe.

I primi 30’ dello spettacolo oggetto di questa recensione sembrano promettere un prodotto artistico quasi indimenticabile in cui la sorprendente bellezza estetica degli ambienti – scene e luci – di Gianni Carluccio in magnifico accordo con i costumi di Daniela Cernigliaro, amplificano la portata raffinata di una regia che ha iscritto tutta la storia in un meccanismo morbido ma impeccabile, forte, inoltre, della leggiadria di un cast attoriale che poggia i pesi delle proprie membra senza far trasparire il minimo sforzo, illudendo il pubblico – o forse solo semplicemente il sottoscritto, chi lo sa? – di muoversi su una soffice moquette di velluto.

Il racconto quindi si dipana in questa – apparente – contraddizione in cui i suoni educati delle parole e delle note si appoggiano su argomenti anche incandescenti e ci si illude che tale forza cheta rimarrà tale fino al punto di scalfire la famosa pietra del detto corrispondente, ma, invece, con il proseguire della storia il tutto pare perdere “massa critica”, rilevando tutti i limiti di un’operazione che si affida più alla forza del lògos che non all’azione vera e propria.

Gli interpreti, tra i quali citiamo – prima dei crediti finali – il bravo Andrea Renzi, Gea Martire, Giovanni Ludeno ed Aurora Quattrocchi – si esibiscono da un dato momento in poi – passato più della metà del tempo di rappresentazione – in un continuato scambio di battute mentre si trovano quasi costretti ad occupare uno spazio che delimiti senza dubbio alcuno un’unicità emotiva che molto somiglia ad una solitudine in una stanza affollata di conosciuti-sconosciuti.

Sembra, pertanto, mancare per tutto il tempo in cui si assiste alle vicende rappresentate una vìs che conduca lo spettatore ad un cambio di energia, salvandolo da quello che potrebbe diventare un facile smarrimento del filo dipanatosi fino a quel momento.

Certo diventa difficile determinare, non avendo letto il libro in questione, quanto di questa costante velocità da crociera sia da imputare allo scritto di riferimento, quanto all’adattamento stesso e quanto alla costruzione da parte del comandante in capo, ma a prescindere dalla distribuzione di eventuali responsabilità, non può essere fatto passare in sordina la beata intelligenza con la quale ci si trova a veder descritto un mondo – quella della borghesia napoletana sopravvissuta al secondo conflitto mondiale – che si è sempre immaginato proprio così e che, contestualmente, tratteggia crudelmente, ma senza spettacolarizzazioni banali, il percorso di vita di un gruppo di essere umani travolti dalla storia. E quindi dall’esistenza.

In definitiva uno spettacolo – questo “Ferito a Morte” – che ingolosisce, ha un aspetto straordinario, emana un profumo più che invitante, ma che una volta addentato lascia in bocca l’eco di un sapore tanto buono quanto lontano.

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