Testimone d’accusa al Teatro Quirino

20 Gennaio 2023

recensione di Emiliano Metalli

Testimone d’accusa, uno dei capolavori della feconda produzione di Agatha Christie che a Londra, dal 2017, è oggetto di un revival molto applaudito, arriva al Teatro Quirino di Roma dove rimane in scena fino al 29 gennaio.

Il racconto omonimo, pubblicato per la prima volta quasi 100 anni fa, contiene già i dati essenziali della vicenda: il rapporto fra Vole e la French, i dubbi sulla colpevolezza, l’avversione per gli stranieri, la trovata del travestimento e il colpo di scena finale. L’adattamento teatrale del 1953, dal canto suo, conquista una struttura più rigidamente ripartita – in termini di spazi e tempi – e acquisisce qualche dettaglio nuovo, più in linea con l’epoca. Mutano conseguentemente alcuni aspetti non secondari: il passato poco esplicito della protagonista la cui origine, austriaca o tedesca che sia, si confonde ai vaghi riferimenti alla Germania est; alcuni tratti caratteriali di Vole, che nel racconto è solo abbozzato e qui ha l’aria del bambinone – confermando la massima di Romaine: “A volte penso proprio che gli uomini siano stupidi”; l’ampliamento del personaggio di Sir Wilfrid Robarts, quasi assente nel racconto e infine una appendice alquanto melodrammatica che si aggiunge al colpo di scena, generando un effetto oggi forse troppo macchinoso.

Dalla riduzione scenica della Christie, ma soprattutto dal film di Billy Wilder, sembra prendere le mosse l’allestimento diretto da Geppy Gleijeses. A parte qualche taglio nel testo, come la “prova della giacca” durante il processo, la fedeltà all’originale è totale, mentre sarebbe stato interessante un lavoro più incisivo sulla drammaturgia.

Il taglio registico, di conseguenza, è molto tradizionalista, principalmente statico, privo di soluzioni differenti da quelle già proposte dall’autrice. È un pericolo che corrono i drammi legali, ma in questo caso persino alcune didascalie sono eseguite alla lettera. Un esempio: “Greta entra, laccandosi le unghie”. Ma quel gesto, almeno così come è eseguito, si perde ed è superfluo. Sarebbe stato auspicabile il sacrificio di alcuni dettagli in favore della centralità dell’azione principale. Infine va notato che, per quanto riguarda l’impostazione dei protagonisti, l’idea registica è quasi completamente vincolata alla trasposizione cinematografica. Sfortunatamente quel che al cinema funziona in teatro spesso non raggiunge lo stesso risultato.

La struttura scenica imponente di Roberto Crea, anch’essa tradizionalmente frontale, e le luci di Luigi Ascione, che in qualche passaggio – troppo pochi! – hanno tentato il coup de théâtre, perseguono l’idea statica della regia, accentuando l’impressione di dilatazione temporale anche quando c’è bisogno di affrettare gli avvenimenti. Suggestiva, al contrario, la musica di Matteo D’Amico, nonostante il ristretto spazio concessole.

A fronte di ciò, gli interpreti hanno avuto risultati alterni, con alcuni momenti più fortunati. In questo spettacolo anche i ruoli secondari si confermano difficili da interpretare, forse perché alcuni “figuri” del teatro inglese non riescono a trovare un corrispettivo nel nostro immaginario. Le soluzioni vanno da una compostezza generica, ma calzante, a una eccentricità eccessiva, disturbante, fuori misura.

Sir Wilfrid, in assenza di Giorgio Ferrara, è stato interpretato da Geppy Gleijeses al quale devono essere riconosciute doti istrioniche innegabili: da Jennifer a Domenico Soriano. Tuttavia, la sostituzione last minute lo ha portato a condurre questo personaggio senza troppa convinzione, gentiluomo acuto e sagace, ma riflessivo e introverso all’inverosimile anche in tribunale. Al suo fianco, validissimi, il corretto e composto Avvocato Mayhew di Antonio Tallura, in un ruolo che non lascia grande spazio all’inventiva e vive costantemente all’ombra di Sir Wilfrid, e l’irreprensibile Carter di Bruno Crucitti. Il Leonard Vole di Giulio Corso cerca di assumere forma e credibilità scenica imitando un impacciato e ipersorridente Tyron Power, ma nonostante la prestanza e la sincerità interpretativa è riuscito nel suo intento solo in parte, non arrivando a superare i limiti del testo. Vanessa Gravina, nei panni di Romaine Heilger, costruisce invece un personaggio che desta interesse e attenzione. Il punto di partenza resta indubbiamente Marlene, di cui possiede anche un certo fascino sinuoso grazie ai costumi di Chiara Donato. Ma la Gravina ne imita solo alcuni tratti, senza cadere nella trappola della “copia conforme”. Trova accenti realistici, sebbene di una realtà un po’ datata, ma forse proprio per questo più vicini al clima drammatico. Gestisce poi egregiamente voce e gesti delle “due donne” con cui si cimenta: algida e distaccata la bionda, volgare e dozzinale la mora. Una prova notevole che avrebbe meritato qualche intraprendenza registica in più.

Incisivi, energici e adeguatamente efficaci, infine, Mohamed Yaser (Avvocato Myers) e Paola Sambo nei panni macchiettistici della scontrosa Janet MacKenzie che ha raccolto, in particolare, applausi calorosi.

TESTIMONE D’ACCUSA

di Agatha Christie

traduzione Edoardo Erba

aiuto regia Norma Martelli

scene Roberto Crea

costumi Chiara Donato

musiche Matteo D’Amico

artigiano della luce Luigi Ascione

regia GEPPY GLEIJESES

Sir Wilfrid Robarts / Giorgio Ferrara

Greta, dattilografa di Sir Wilfrid / Erika Puddu

Carter, segretario di Sir Wilfrid / Bruno Crucitti

Avvocato Mayhew / Antonio Tallura

Leonard Vole / Giulio Corso

Roamine Heilger / Vanessa Gravina

Ispettore Hearne / Michele Demaria

Avvocato Myers, pubblico ministero / Mohamed Yaser

Giudice Wainwright / Sergio Mancinelli

Dottor Wyatt, medico legale / Bruno Crucitti

Janet MacKenzie, governante / Paola Sambo

L’altra donna / Erika Puddu

Sir Hearne – Cancelliere / Michele Demaria

Usciere / Lorenzo Vanità

Breve appendice cinematografica

Nonostante gli spettacoli della regina del giallo raggiungano ottimi risultati in termini commerciali, “Trappola per topi” è infatti in scena nel West End ininterrottamente dagli anni ’50, è lo schermo (piccolo o grande) che fa raggiungere alla Christie una fama internazionale. La lista di artisti che hanno contribuito alla sua scalata è incredibile: da Sidney Lumet a René Clair, da Margaret Rutherford a Benjamin Britten e poi Anita Ekberg, Albert Finney, Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Jacqueline Bisset, Sean Connery, John Gielgud, Anthony Perkins, Vanessa Redgrave, Adolfo Celi, Richard Attenborough, Charles Aznavour, Peter Ustinov, David Niven, Mia Farrow, Bette Davis, Angela Lansbury, Jane Birkin, Maggie Smith, Alfred Molina, Glenn Close, Terence Stamp, Gillian Anderson, David Suchet e, ultimo ma non ultimo, Kenneth Branagh.

Tuttavia il cast di protagonisti di “Testimone d’accusa”, trasposto per il cinema nel 1957 con la regia di Billy Wilder, spicca per eccezionalità: Charles Laughton, Tyrone Power, Marlene Dietrich (come Christine Helm e non Romaine), Una O’Connor nei panni di una favolosa Janet MacKenzie dopo infinite repliche dello spettacolo a Londra e New York, e infine Elsa Lanchester come irresistibile miss Plimsoll, ruolo appositamente aggiunto per un film candidato a sei premi Oscar e vincitore, inoltre, di un Golden Globe e un David di Donatello: se non lo avete visto, recuperatelo!

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