Romeo e Giulietta, l’inno di Mario Martone alla generazione z

6 Marzo 2023

In scena fino al sei aprile al Piccolo Teatro Strehler di Milano, Romeo e Giulietta di William Shakespeare per la regia di Mario Martone.

Un albero, una grande quercia secolare con i rami spessi ricoperti dal muschio e le fronde fitte a ricoprire il cielo. Una pianta centenaria sopravvissuta all’urbanizzazione di un pezzo di terra, ibrido tra natura e città. Sotto i suoi rami, la carcassa di una macchina, bidoni, cassette, ruote, indicano la presenza dell’uomo, come se anche l’umanità fosse un rifiuto inghiottito dalle fronde dell’albero.

Sopra l’universo aulico e poetico della natura, sotto un mondo fangoso, sporco, inquinato.

Questa è l’ambientazione favolosa e di forte impatto scenico che Mario Martone insieme alla scenografa, Margherita Palli ha ideato per ambientare il testo più famoso di William Shakespeare, la favola d’amore per eccellenza: Romeo e Giulietta.

Davanti a questa scenografia totale che invade tutto il palco, vengono subito in mente le sontuose scenografie ronconiane e non si sbaglia, dato che Margherita Palli, proprio da Ronconi ha imparato a osare l’impossibile scenografico. Sui rami di questo albero, corrono e saltano come scoiattoli gli attori, sotto si affrontano i figli delle due tribù: quella dei Capuleti e dei Montecchi. L’energia, la rabbia, la forza di questi giovani in jeans, tute acetate, top, (costumi Giada Masi) irrompe, fa capire subito al pubblico, che non si tratta di uno spettacolo per vecchi, ma sono i ragazzi a essere protagonisti.

Un gruppo di adolescenti sperduti, teneri, ironici, ribelli innamorati e arrabbiati di fronte a un mondo adulto incapace di comprenderli, irrompe nella platea. Tra questa banda di liceali, che un po’ ricorda le serie televisive che hanno reso famosi gli adolescenti a partire dalla recente Skam(Ludovico Bessegato, Anita Rivaroli) per tornare indietro nel tempo a Tre metri sopra il cielo(regia di Luca Lucini), ancora più isolati dal mondo spuntano Giulietta (Anita Serafini), Romeo (Francesco Ghenghi). Attori entrambi giovanissimi, come li ha pensati e voluti Shakespeare, attori non accademici che recitano i versi del Bardo senza retorica, con semplicità sfiorando il dilettantismo, ma con una purezza che arriva al pubblico ed è capace di aprire il cuore anche del critico più duro.

Lavorare con attori così giovani prevede anche di rapportarsi a un’energia irruenta e ribelle, sfrenata come le note della musica tecno (suoni, Hubert Westkemper) che ogni tanto accendono la scena e danno inizio a danze tribali, a trattenere questa energia c’è l’albero con i suoi rami, corridoi stretti, scale da salire o da saltare. Attraversare questa scenografia è complesso, macchinoso, alcuni passaggi necessitano ganci, l’attore ha bisogno d’essere aiutato a imbracarsi e per farlo si sono ideati trucchi ingegnosi. Una struttura scenografia che aiuta e imbriglia come la nostra società, madre matrigna dei giovani.

In visione della contemporaneità in cui la messa in scena è inserita, la regia di Mario Martone ha apportato delle modifiche, nel testo. In primis una nuova traduzione affidata a Chiara Lagani, traduttrice di Lewis Carrol, che usa l’innesto di parole contemporanee, senza paura di “sporcare il testo”. Un’altra modifica è l’eliminazione del personaggio del Principe, tolto per dare risalto alla perdita dell’autorevolezza della politica nella nostra società e allo spaesamento delle nuove generazioni di fronte alla mancanza di punti di riferimento. A mediare tra la faida dei Capuleti e dei Montecchi non c’è nessuno, si deride una legge antica, si nomina un Daspo, una delle tante parole contemporanee inserite nel testo. Il linguaggio volgare degli adulti viene contrapposto a quello aulico e poetico dei giovani a sottolineare la differenza tra i due mondi. Gli adulti, laidi, decrepiti sposati per convenienza, Romeo e Giulietta gli amanti puri, agnelli sacrificali di una società avvizzita e corrotta.

Altra significativa e importante modifica è la trasformazione del personaggio della Balia in zia. Zia Angelica (Licia Lanera) è la sorella di Donna Capuleti (Lucrezia Guidone). Angelica ha cresciuto Giulietta diventando la zia giovane e di mondo pronta a fare da spalla e ad essere la custode dei suoi segreti più intimi della ragazza. Questa zia, con i vestiti provocanti, le mosse schiette, le battute sarcastiche, frequentatrice di sordidi pub e dominatrice di uomini è l’unico legame tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, fa da contrappeso alla gelida anaffettività di Donna Capuleti, statua di cera, ingessata nel ruolo di moglie, ma e uno spirito pronto a soffocare i pensieri e i gesti della figlia. Ottime le due interpretazioni, Licia Lanera e Lucrezia Guidone sono i due pilastri dello spettacolo, che reggono l’impalcatura della recitazione e danno ritmo alle scene.

Altro personaggio vicino al mondo dei giovani e loro alleato è Frate Lorenzo (Gabriele Benedetti) frate francescano freak, immerso nel suo mondo di pozioni e piante. Gli altri adulti vivono in una dimensione distaccata del mondo, il padre di Giulietta (Michele di Mauro) capo diventato un relitto degli anni passati, con la fissa di rimanere giovane, huppy tradito e derelitto s’attacca alla vitalità della gioventù per non naufragare nella disperazione.

Si dice che Romeo e Giuliettasia il dramma dell’amore, in realtà c’è un’unica protagonista, la morte. Evocata quasi per sbaglio nel testo, da sottofondo alla storia, diventa reale come il morbo della peste, una paura del contagio tornata presente nella nostra contemporaneità.  La morte, all’inizio se ne sta nascosta tra le fronde dell’albero, poi piano piano prende la scena. Gli adulti sembrano non volerla vedere, la scacciano con una bevuta e la preparazione di una nuova festa, ma si fa sempre più presente. Il corpo di Tebaldo (Leonardo Castellani) è un momento mori da far sparire subito, l’uccisione di Mercuzio (Alessandro Bay Rossi) un allarme che gli adulti non vogliono ascoltare. Come nella nostra società la morte, viene nascosta, taciuta nel vano tentativo di far finta che non esista. Il suo elogio portato ai massimi livelli da Romeo e Giulietta è un ulteriore schiaffo al mondo degli adulti, un grido contro l’indifferenza.

La portatrice di questa morte sempre più presente è Giulietta già inconsciamente consapevole del destino a cui andrà incontro. La giovane figlia dei Capuleti muore due volte, con un salto si getta nel mondo dei morti e poi torna in vita per ritornare immediatamente alla morte cavalcando il cadavere del suo amante. La scena della cripta dove si manifestano gli spettri di tutti i giovani uccisi dalla faida tra Capuleti e Montecchi proietta questa nuova generazione in una dimensione nuova dove il mondo mortifero appare come una resurrezione verso una realtà rigenerata da una pioggia forte, (suggestiva la messa scena di questo temporale, video Alessandro Papa) un mondo ancora immerso nel buio e da dove spunta, disegnata su un muro, la scritta colorata: We can do it.

2 Commenti

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere

Il tabù della maternità

«Quando i libri non ti lasciano in pace li porti