“Che si trovino male”: l’efficacia della didattica popolare

18 Giugno 2023

«Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace» (P.P. Pasolini)

Con un toccante ritratto crudamente verista della Roma delle borgate anni ’60, dei pregiudizi e del contrasto linguistico-culturale, delineato nel dramma Che si trovino male, andato in scena al Teatro Trastevere, si è concluso il Festival Inventaria 2023.

Con la firma registica di Francesca Cassottana, la storia della compagnia teatrale I Franchi conta una narrazione degna della poetica del sottoproletariato, indagata a fondo dagli intellettuali del dopoguerra; un amaro spaccato del regime scolastico perbenista da cui l’Italia si è attualmente liberata solo su carta utopica dove si disegnano progetti d’inclusività dai contorni ancora troppo sfocati per essere messi in atto. Un monologo corale a forma di lettera che scorre liscio senza stonature interpretative, in cui ogni personaggio, ogni suo pensiero, ogni sua inclinazione caratteriale e sociale, sono vivi grazie a un’unica voce, quell’attrice e drammaturga Giulia Angeloni, dall’innegabile versatile e poliedrica verve attoriale.

Sul palco una scenografia semplice, una cassettiera a rotelle e una coperta, come semplice è la vita dei personaggi protagonisti. Rompe il silenzio la musica di Simone Arlorio, ora sax, ora percussione, accompagnamento musicale, sostegno di cambi di scena, di personaggi e di stati d’animo.

Subito conosciamo Esterina, che si presenta parlando con un certo “Franco”. La ragazzina abita in una borgata romana, è animosa, vitale, sogna di raggiungere il fantomatico fratello Fred, a detta sua, un musicista girovago, simbolico rifugio delle insicurezze e delle speranze da cui non può permettersi di lasciarsi travolgere.

Esterina non è quasi mai andata a scuola, ma ora qualcosa è cambiato: Lara Ledda, una nuova insegnante di 24 anni, giunta dalle montagne sarde per inseguire il “sogno romano”, è venuta a cercarla a casa, preoccupata per le troppe assenze. Non solo lei, la nuova maestra tenta di radunare tutte le assenti, perchè, sfortunatamente, sono tanti i nomi di quelle anime perse che in quella periferia non conoscono il valore della scuola.

Ledda, scrivendo al suo amico Gavino, si racconta: non le piaceva quella scuola, non le piacevano le colleghe e le alunne, ma, come ogni umanista nella storia della letteratura, a poco a poco è rimasta affascinata dalla purezza delle piccole donne, dalla semplicità di quella vita rurale fatta di rinunce, squadrata dalla “Roma bene”, solo per essere fisicamente troppo vicina da non poter far notare il contrasto.

Ledda, con un metodo d’insegnamento che guarda alla persona e non agli obietti comuni del gruppo classe, sfidando il Dirigente scolastico, sceglie una linea pedagogica anticonvenzionale ma funzionale, riuscendo a dimostrare come la letteratura, apparentemente così lontana dalla realtà, è specchio della quotidianità di ognuno. Tuttavia, l’imposizione esterna della didattica frontale e le bigotte malelingue sulla sua inclinazione sessuale sono finestre troppo pesanti da aprire per far passare aria nuova.

L’ Angeloni ha dato vita a un testo comicamente impegnato, realizzato sulla base di una serie di interviste sul campo a diversi educatori, richiamante i sapori d’innovazione e ribellione del cinema neorealista, evocati anche dalla presenza di oggetti quali un magnetofono a bobine, un microfono e la tastiera di una macchina da scrivere. Non li vediamo, ma sentiamo i suoni, i frastuoni, le voci della compagna, della periferia, la forte dignità e risolutezza di immigrati e prostitute; la Compagnia è riuscita a creare un intenso scenario immaginifico senza l’ausilio di una scenografia rappresentativa di luoghi e spazi, l’attrice-drammaturga usa voce e corpo come unici strumenti d’esplorazione e cambio di ambienti, passando da una baracca a una casa, a una scuola, da un personaggio all’altro, da una scena all’altra, da un dialetto a un altro, con una risonanza vocale e fisica che dialogano bilanciatamente, tra loro e con il pubblico, prive di forzature.

Lasciare che le ragazze e i ragazzi della periferia “si trovino male” in società non è l’unica alternativa: a dimostrarlo forte è questo spettacolo.

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