“Farà giorno” grazie alla potenza di un confronto 

11 Febbraio 2024


È un confronto, scontro, un abbraccio paterno tra due generazioni diverse, tra due modi di pensare, due ideologie e sensibilità “Farà Giorno”, spettacolo di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, diretto da Piero Maccarinelli, andato in scena al Teatro Parioli.

Il testo e’ ironico, delicato e allo stesso tempo potente, ed esplode grazie all’abilità recitativa del binomio Alberto Onofrietti – Antonello Fassari che percorre una parabola evolutiva dei loro personaggi e del loro rapporto.

In una casa modesta, tra una camera e un salotto, si compie una storia civile, umana. Protagonisti sono Romano Battistini (Antonello Fassari), comunista fedele a Gramsci, un antifascista che ha vissuto la guerra, e di Manuel Solimando (Alberto Onofrietti), un giovane fascista della periferia romana che incasella la vita in “stronzi, negri e froci”. Un incidente li fa incontrare e avvicinare. 

Il giovane, infatti, investendolo, si ritrova a doverlo accudire, in cambio di una non denuncia.

È l’incontro di due solitudini opposte: quella di un anziano solo, circondato da esperienze, libri, ricordi, e di un giovane immerso in finti rapporti, convinzioni, povertà valoriale, precarietà economica, sempre al limite della legalità. Uno colto,l’altro ignorante, uno di destra, l’altro di sinistra, uno con tutta la vita davanti, l’altro con tanta vita alle spalle. Eppure non è la vecchiaia la fine di ogni speranza, ma vivere privi di speranza, che è come essere vecchi, anzi morti.

Così vive Manuel, eppure la convivenza forzata con Romano lo trasformerà pian piano, facendo emergere la sua vera anima e natura, ammorbidendo i suoi ideali estremi, omofobi e razzisti, e in qualche modo, a sua volta, il ragazzo andrà a scalfire l’anziano cesellando alcuni lati del carattere e soprattutto andando a sanare il conflittuale rapporto con sua figlia Aurora, che torna a casa dopo 30 anni. Aurora, ex brigatista denunciata dal padre alla polizia, e ora medico volontario, interpretata una una sempre precisa Alvia Reale, che pure appare un passo indietro rispetto ai due protagonisti maschili, irrompe tra i due con il suo carico di debolezze, paure e orgoglio. 

Sarà proprio la presenza di Manuel ad appianare i dissidi del passato, a ricomporre l’abbraccio tra la figlia e il padre, quel padre che in un certo modo lo è diventato anche per lui.

Pietro Maccarinelli tra le diverse dissolvenze al buio e un andamento registico semplice, tratteggia uno spaccato storico sociale di tre generazioni, giocando con la lingua, con quel romanesco che si presta a battute ironiche, strappando sorrisi, e infondendo leggerezza, mentre si snodano sentimenti e temi alti: dal rapporto padre/figlio, binomio etica e politica, morale e spirituale, vita/ morte, giustizia/ ingiustizia. Lo fa costruendo un microcosmo in cui una piccola storia si fa portavoce della Storia, dei suoi corsi e ricorsi. La piece, infatti, è un grande successo del passato, che non sente il peso degli anni, anzi si carica di attualità e modernità parlando al cuore degli spettatori, in un’atmosfera neorealista. Si riflette, si sorride, ci si emoziona di fronte a questo confronto/incontro dei protagonisti reso sicuramente ancor più potente dall’interpretazione che tiene alto il ritmo del racconto, ci spiazza mostrando l’evoluzione psicologica e umana dei personaggi, frutto di un lavoro costante e di un’abilità istrionica dirompente che ci lascia un messaggio di grande speranza: può far giorno, anzi sicuramente farà giorno anche dopo le notti più buie. Basta mettere da parte le false convinzioni, i pregiudizi, le paure e lasciarsi andare alla potente arma del dialogo, del dibattito costruttivo, dell’abbraccio dell’altro, del diverso, e terminare quel libro “della vita” che qualcuno prima di noi non è riuscito a finire.

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