Piergiorgio Milano racconta la sua vertigine

16 Febbraio 2024

Il 18 e 21 febbraio al Teatro Palladium, in collaborazione con Fondazione Musica per Roma/Equilibrio Festival, riflettori puntati sul coreografo, performer e pioniere del circo contemporaneo Piergiorgio Milano, già vincitore del Premio Equilibrio nel 2010, in stagione con due dei suoi spettacoli più acclamati: Denti White Out, due creazioni che sono rispettivamente la prima e l’ultima dell’artista in cui quest’ultimo presenta al pubblico una ‘divertente tragedia’. Abbiamo intervistato Piergiorgio Milano che ci  ha spiegato come il suo lavoro, singolare ma al tempo stesso trasversale, si pone pone a metà strada tra il circo e la danza, due mondi che l’artista è riuscito a mettere in equilibrio.

Piergiorgio, nel tuo lavoro tu fondi circo e danza. Cosa rappresentano per te queste due arti ?

Il mio è un lavoro transdisciplinare che cerca di mettere vari elementi a servizio di un lavoro più unico e completo possibile. Il mio percorso è stato eterogeneo, ho studiato come circense all’Accademia Flic di Torino e poi a Tolosa al Centro Nazionale di Arti Circensi Le Lido. Ho lavorato come danzatore con artisti come Sibi Larbi Cherkaoui e David Zambrano che sono stati due riferimenti molto importanti per nell’ambito della danza, così come l’esperienza del circo belga e francese. In seguito ho iniziato a produrre da solo i miei lavori per una mia esigenza di far confluire il mio percorso in un unico e personalissimo linguaggio. Per me danza e circo sono inscindibili e il mio lavoro si colloca esattamente a metà tra queste arti.

Perché spesso usi l’ossimoro ‘divertente tragedia’ per definire le tue creazioni? 

Il tragicomico è sempre stato il motore fondamentale delle mie creazioni. La cosa interessante è che il pubblico qui a Roma vedrà Denti, il mio primo lavoro nato nel 2009, ma anche White Out, la mia ultima creazione compiuta. Chi verrà a vederli potrà ritrovare quest’ossimoro in entrambi. In essi compare sempre la volontà di ridere che secondo me è una delle più grandi abilità dell’essere umano: saper sdrammatizzare anche le situazioni più difficili e affrontare le cose più tremende, trovare la forza dell’ironia anche nella tragedia. In White Out, ad esempio, si racconta di un dramma di montagna in cui nessuno sopravvive ( e non dirò di più per non spoilerare) ma si ride anche tanto. Anche Denti nasce proprio da questa volontà di prendere una situazione tragica, dura come la perdita di qualcuno e ricercare al suo interno quei conflitti interiori che potevano essere sdrammatizzati e ironizzati. Questo permette di comprendere ancora più a fondo tali conflitti e renderli in pieno.

Piergiorgio Milano in White Out

Nel circo si è spesso in bilico, ad alta quota, e spesso si soffre di vertigine, altro tema che ricorre nel tuo lavoro. Cos’è per te la vertigine?

Pur essendo stato molto ‘a terra’ ho ripreso, mio malgrado, la dimensione aerea che, tuttavia,  ho sperimentato meno. Per me il circo non ha mai voluto significare ‘in alto’ o ‘stare in alto’ bensì vedere le cose da un altro punto di vista. Il mio lavoro è sempre stato molto ‘in movimento’ tanto che definirei il mio lavoro ‘teatro fisico’. Allo stesso tempo so e riconosco che il mio modo di concepire il movimento non apparterrebbe di certo a un danzatore, anche perché il mio passato non è solo quello. Credo di avere un approccio trasversale al movimento, alla coreografia e la capacità di creare quegli atti fondamentali che utilizzo poi per mettere in scena ciò che voglio comunicare. La vertigine in tutto questo ha un significato più profondo. Per me è accettare il rischio della sfida, il rischio di essere in bilico tra due mondi diversi e scoprire cosa li tiene in equilibrio in modo uniforme e coerente. Ad esempio, in White Out, creazione incentrata sull’alpinismo, c’è una parte effettivamente aerea, così come anche nell’ultima produzione non ancora ultimata. La vertigine è accettare che la terra può mancarti sotto i piedi a un certo punto e accettare questa condizione. Anche se da un punto di vista personale la vertigine significa incipit della creazione, iniziare a creare o salire sul palco. Quella è la vertigine più forte che ho provato.

Che difficoltà secondo te incontra il circo oggi rispetto al pubblico, alle istituzioni e alle programmazioni dello spettacolo dal vivo?

Io non penso che il pubblico abbia problemi ad abbracciare messaggi transdisciplinari. I miei spettacoli hanno debuttato in paesi diversi come Francia, Svizzera, Italia, Ecuador Germania, Olanda. Posso dire che ho incontrato pubblici differenti, abituati a vedere cose diverse, ma sempre entusiasti. E questo credo accada perché in questo tipo di creazioni cerco sempre di creare un livello di lettura che possa abbracciare il pubblico in maniera totale. Questa è una cosa a cui non rinuncerò mai e che mi deriva soprattutto dal circo e non perché sia un’arte più facile e compiacente ma sicuramente perché ha un maggiore occhio di riguardo per chi è in sala. Allo stesso tempo io lavoro per strati e sono felice di vedere che a volte nei miei lavori ci sono gradi di comprensibilità più complessi, meno evidenti, che forse richiedono un occhio più allenato o riferimenti più strutturati che magari non abbracciano tutto il pubblico ma vanno più verso una parte di esso. Globalmente ho un riscontro soddisfacente, ‘federatore’, cioè che unisce tutti in una stessa comunità dove ognuno può arrivare come, dove e quando vuole nella comprensione. Rispetto alle istituzioni il momento non è dei migliori. Sicuramente in Italia vige una certa tendenza a classificare e quindi tutto ciò che è trasversale ne esce un pò sconfitto a priori. La domanda  che più spesso mi sento porre è ‘dove ti collochiamo nella programmazione (danza circo altro)?’. Quasi sempre i miei lavori vengono inseriti sotto la voce ‘danza’. A me non interessano tanto le nomenclature, l’importante è che ci siano delle circuitazioni. Sicuramente c’è una visione limitata rispetto a quella che è la potenzialità e l’attualità del circo di creazione e che, rispetto alla visione italiana, oggi in realtà è avanti anni luce. Ad esempio gli artisti circensi francesi sono eccezionali e non perché siano migliori di quelli italiani ma perché in Francia c’è una struttura, una rete, un sistema di sovvenzione, una protezione di quel settore che ne ha favorito l’eccellenza. In Italia nel 2024 posso dire che il livello sia lo stesso a parità di mezzi. Essendo i mezzi incomparabili il livello soffre quella differenza. Ma in realtà gli artisti italiani sono molto più avanti di quanto l’Italia non sappia. Il problema è che la maggior parte se ne va perché la legislazione italiana presenta delle criticità. Anche se bisogna dire che da alcuni anni il circo è entrato nel F.U.S., cosa impensabile fino a dieci anni fa. Quindi è innegabile che ci sia un’apertura e si stiano facendo dei passi avanti. Dunque, speriamo in un sempre più progressivo miglioramento.

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