Marleen Scholten e Alessandro Riceci presentano “Il disperato” al RomaEuropa Festival

23 Settembre 2024

Di violenza di genere non se ne parla mai abbastanza. Tante sono le sfumature, le cause, gli effetti, i silenzi, delle vittime e dei carnefici da denunciare e su cui sensibilizzare. A proporre un ulteriore contributo di analisi ed esposizione ci ha pensato la compagnia olandese Wunderbaum, fondata dall’attrice e regista Marleen Scholten, con lo spettacolo Il disperato, in scena il 24 e 25 settembre al RomaEuropa Festival 2024.

La piecè vede al centro una famiglia tradizionale, un padre, una madre, una figlia e una nonna. Ma quello che sembra un’intima, ordinaria cena si trasforma ben presto in un incubo dove, ancora una volta, un pluri femminicidio fa da protagonista.

Ripercorrendo le orme della tradizione classicista, non vediamo in scena l’atto di crudeltà, ma una crescente tensione della quale lo spettatore non può non indovinare il tragico, ormai fin troppo conosciuto, epilogo.

In occasione della rappresentazione al Mattatoio, ne abbiamo approfondito il significato con Marleen Scholten stessa, interprete della moglie, e con Alessandro Riceci, il quale presta voce e corpo all’assassino.

Marleen, cosa rappresenta “il disperato” per la compagnia Wunderbaum?

Per la nostra compagnia è stata la prima volta in 23 anni che abbiamo creato una vera tragedia. Una cosa che mi ha sempre fatto paura. Il nostro lavoro è sempre politico, però mai senza speranza, umorismo, ironia. Per ‘Il disperato’ volevo scrivere una storia nera, universale e dura. Credo che i tempi in cui viviamo mi hanno portato a farlo. 

In un panorama artistico in cui si affronta sempre più il tema della violenza di genere, su quale sfumatura del problema vi siete concentrati, psicologico o culturale?

Rispetto a questo tema mi interessava il percorso psicologico, niente effetti, niente sangue. Capire come una persona possa arrivare a un atto del genere. Quando cambiano tutti i parametri, una persona può essere completamente persa. Nello spettacolo non cerchiamo giustificazioni, assolutamente no. Abbiamo soltanto cercato di sviluppare un racconto trasparente. 

Da un punto di vista culturale è una favola pensare che in Olanda sia molto meglio. Da olandese che vive in Italia, dove leggo con regolarità queste notizie orribili nei giornali, vedo che la differenza è che in Olanda il tema non è così esposto, viene mantenuto su un livello più privato e protetto. 

Interpreti la moglie, madre e lavoratrice, una delle vittime; che tipo di vittima ci ritroveremo davanti? Consapevole del proprio destino?

Credo che anche lì c’è la vera tragedia. Come purtroppo nella realtà tante donne in una situazione del genere non vedono i segnali. Non li leggono. Non ha niente da fare con il tuo background, il tuo stato sociale, il tuo livello di intelligenza. È una questione di amore, di dedizione che ci può rendere cieche. 

Anch’io sono una madre, una moglie. Posso capire perfettamente la necessità animale di voler tenere tutta una famiglia insieme. E di sperare che le cose miglioreranno. 

In che modo hai lavorato al personaggio?

Nel personaggio, che si chiama donna, cerco di fare vedere questo meccanismo. Lei ama suo marito, sua figlia, sua mamma. Vuole cercare di sopravvivere con loro, con lui. Senza perdere la sua dignità, la sua forza.

Anche lui ama alla follia la sua famiglia. Ma purtroppo in un modo fatalista e criminale. 

Alessandro, il tuo personaggio è il carnefice, ma anche un uomo disperato, che tipo di sentimento ti aspetti che il pubblico provi per lui?

Non c’è un sentimento specifico che mi aspetto, o uno che mi lascerebbe più appagato di altri.  Qualunque sentimento nasca nello spettatore spero susciti una riflessione su quanto e come siamo tutti coinvolti e che possa essere l’innesco  di un’azione personale verso la fine di questa tragedia.

Come interprete e uomo, cosa ti lascia dar voce a un familicida?

In questo senso, in quanto artista, maschio, con una compagna, e padre di due bambine questo spettacolo è a tutti gli effetti un’assunzione di responsabilità rispetto a questa tragedia. 

Lo spettacolo si presenta come un accumularsi di tensione, la scena della tragedia non viene mostrata: in che modo riesci a far trapelare la consapevolezza di un’imminente sciagura?

 Penso che la messa in scena abbia il merito più grande. L’aver scelto come luogo e tempo dell’azione una cena, seduti a tavola e con il pubblico intorno e così vicino aumenta la densità di ogni momento, di ogni respiro, di ogni silenzio.

Per il resto credo sia l’accumulo di sentimenti molto diversi tra loro, spesso opposti che sento crescere forti in me. Un senso di costrizione e frustrazione e spero che si percepisca.

(Ph. Luca Chiaudano)

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