Fantasie di complotto: QAnon e dintorni

24 Gennaio 2022

Riflessioni a partire dall’ultimo docu-romanzo di Wu Ming 1:
“La Q di Qomplotto”, edito da Alegre

Testo Giulio Cascia

Torniamo con la memoria al 6 gennaio 2021. A Washington DC, USA, nel parco dietro la Casa Bianca, una massa eterogenea di supporter politici è accalcata per sentire uno degli ultimi comizi di uno sfortunatissimo presidente della repubblica che ha da poco perso le elezioni più discusse della storia del proprio paese. Donald Trump, il presidente uscente sconfitto dall’attuale Joe Biden, da tempo lamentava brogli elettorali, ma dopo riconteggi ufficiali e sentenze giudiziarie era stato ampiamente messo in chiaro che le elezioni erano valide e i repubblicani avevano perso. Questo non ha fermato “the Donald”. Ha continuato le lamentazioni e ha organizzato una marcia per “salvare l’America”
con appuntamento davanti al Campidoglio per il 6 gennaio. Migliaia di simpatizzanti si sono riversati nella capitale dai giorni precedenti per protestare contro il riconteggio falsato dei voti.
A mezzogiorno l’ex presidente tiene un comizio in cui ripete le solite accuse di brogli, insulta più volte l’ex vice presidente Michael Pence per la sua mancanza di collaborazione e incoraggia i manifestanti a marciare verso il Campidoglio insieme a lui. Poi il caos. La folla scontenta inizia a scavalcare le barricate, la polizia si ritira e viene sopraffatta, i primi rivoltosi entrano nel palazzo del Congresso. Dopo tre ore di vandalizzazioni e saccheggi, 5 morti e più di 140 feriti, i manifestanti vengono dispersi e termina quello che i media hanno battezzato “l’assalto di Capitol Hill”.
Avvenimento senza precedenti nella storia statunitense, ha generato molta risonanza mediatica a livello internazionale. Molti si sono chiesti quali fossero le motivazioni profonde che hanno mosso i manifestanti: tensioni socio-economiche dovute al covid-19? Una profonda mancanza di rispetto per le istituzioni democratiche? L’impatto della destra estrema sui social media?
Personalmente, gradisco molto una versione che, sebbene un po’ fantasiosa, mi ha dato molto materiale su cui riflettere: i manifestanti erano semplicemente dei veri patrioti americani che volevano solo proteggere la loro nazione da un complotto internazionale perpetrato dai membri di un’organizzazione segreta nota come “la Cabala” che si prefigge l’obiettivo di controllare il mondo dietro le quinte e rapisce bambini per torturarli ed estrarre da loro adenocromo, una sostanza naturalmente prodotta dal cervello che garantisce a chi ne fa uso svariati poteri tra cui un
sostanziale allungamento della vita. L’unico che poteva cambiare le cose era il presidente Trump, che, collaborando in gran segreto con l’esercito e gli ultimi ufficiali fedeli alla repubblica, stava demolendo dall’interno il governo-ombra costruito dalla Cabala attraverso i suoi membri di spicco del partito democratico, tra cui Barack Obama e Hillary Clinton, per riportare legalità e giustizia e, soprattutto, salvare tutti i bambini dalle sevizie pedo-sado-sataniste di cui erano vittime.
Incredibile vero? Questa bizzarra teoria del complotto è la sub-struttura ideologica che collega una certa tipologia dell’elettorato trumpiano che ha devastato la sede del Congresso. Mentre saltavano le barricate ed entravano, diversi manifestanti mostravano bandiere e striscioni con la lettera “Q”, guidati nell’assalto da pittoreschi figuri come Jake “lo Sciamano”, un dichiarato sostenitore delle teorie di QAnon. Ma chi o cosa è QAnon?
Dare una risposta semplice non è impossibile, ma non è nemmeno troppo facile. Lo dimostra l’ultimo docu-romanzo scritto da Wu Ming 1: “La Q di Qomplotto”, edito da Alegre, dal sottotitolo “QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema”. L’autore, già membro del Luther Blisset Project e del collettivo Wu Ming, in circa 600 pagine traccia la genesi e lo sviluppo del movimento che ha generato tanti proseliti e simpatizzanti in tutto il mondo. Sostanzialmente QAnon è una screditata teoria complottista legata alla destra estrema statunitense, ma è anche un gioco di realtà alternativa, un modello di business, una setta, una potenziale rete terroristica, una contro-narrazione.

La nascita del movimento si fa risalire ad un’enigmatica dichiarazione del presidente Trump che, il 6 ottobre 2017, poco
prima di una cena ufficiale alla Casa Bianca chiede ai reporter se sentissero nell’aria “la quiete prima della tempesta”. Alle richieste di spiegazioni da parte dei giornalisti, il presidente mantenne il silenzio e congedò la stampa. Immediatamente Calm Before The Storm diventa una discussione nella sezione politica del forum 4chan e iniziano le speculazioni. Il 28 ottobre, sullo stesso thread, appare il primo messaggio firmato “Q Clearence Patriot”:
scrive che era stata approvata l’estradizione di Hillary Clinton, che sarebbero scoppiate delle rivolte in segno di sfida e che la Guardia nazionale era già stata mobilitata per motivi di sicurezza nazionale. Deus ex machina! L’autore del post fa intendere di essere un funzionario di alto livello in possesso dell’autorizzazione Q che gli permette di accedere ad ogni segreto di Stato, da qui l’anonimo Q, QAnon.
Q manda messaggi stringati e misteriosi che l’utente è invitato a decodificare per scoprire il quadro completo: il misterioso funzionario li chiama “briciole” e chi le raccoglie si fa chiamare “fornaio”. Come nel film Matrix, un novello Morpheus invita chi vuole seguirlo a scegliere la pillola rossa e vedere quanto è profonda la tana del Bianconiglio. Questo è il gioco di realtà alternativa. Da lì in pochi anni QAnon esce dalla rete ed entra nella vita reale. Con tutto quello che la realtà comporta. La stampa statunitense, dal 2018, riporta notizie di aderenti di QAnon invischiati in casi di cronaca, anche nera, dovuti al loro credo: rapimenti di bambini in via cautelativa per protezione, minacce e violenze contro i detrattori del movimento, omicidi di persone ritenute appartenenti alla Cabala, fino all’assalto del Campidoglio in cui si è apparentemente stemperata la carica eversiva del movimento.

Ciò che colpisce maggiormente, e Wu Ming 1 lo scrive nero su bianco, è che a leggere le biografie di alcuni membri sono molto spesso persone comuni, normali padri e madri di famiglia con lavori normali, tristemente caduti in quella rete di irrazionalismo che solo i culti religiosi sanno sostenere. Uno dei meriti dell’autore è quello di demistificare una narrazione tossica cara ad alcuni media secondo la quale chi aderisce alle teorie del complotto sia invariabilmente legato ad ambienti socio-economici di bassa levatura, pregni di ignoranza e di odio che votano a destra. Una certa sinistra è rimasta attratta dal “gioco delle briciole” e ha cercato significati nascosti addentrandosi sempre di più nella tana del coniglio fino a che non ne è rimasto assuefatto. Chiunque può essere vittima dei meccanismi psicologici che portano verso conclusioni irrazionali con connessioni illogiche, ma le dinamiche con cui si formano hanno una loro logicità intrinseca. Di base è il modo in cui funziona il cervello umano: lo psicologo Daniel Kahneman ha proposto la distinzione tra pensiero lento, localizzato nella corteccia prefrontale e predisposto al raziocinio, e pensiero veloce, emotivo e istintuale, situato nel sistema limbico. Al ricevimento di uno stimolo, prima entra in azione il pensiero veloce come rapida risposta, poi subentra il pensiero lento. Gli umani si sono sviluppati in questo modo per fronteggiare pericoli ed ambienti ostili, all’alba dell’umanità serviva pensare velocemente oppure si era cibo per una belva feroce.

Praticamente il pensiero veloce ci ha fatto sopravvivere come specie, quello lento ci ha fatto evolvere in homo sapiens-sapiens. La società di oggi, vittima di un sistema economico-tecnologico che rende sempre più rapide le vite delle persone, favorisce sentimenti di stress, paura e collera che portano ad esprimere giudizi affrettati o a compiere scelte sbagliate prima che il pensiero lento possa entrare in azione. Ma ormai è troppo tardi e da ciò nascono molti dei bias (pregiudizi) che condizionano la vita di molte persone.
Wu Ming 1 ricostruisce in sequenza ciò che avviene nella mente di chi cede ad una fantasia di complotto: a partire da una generica situazione di stress si innescano i meccanismi che influenzano i giudizi futuri (primary effect), l’euristica della disponibilità rende più valido un pensiero che si può richiamare con poco sforzo e il bias dell’ancoraggio fa sì che pensando non ci si allontani troppo dal punto su cui la mente si è fissata precedentemente. Se in uno stato mentale non sereno si riceve un primo input all’insegna del “niente-è-come-sembra”, potrebbe aprire la strada ad altri pregiudizi: se è avvenuto un incidente, allora deve esserci un motivo (bias di intenzionalità), quindi si iniziano a
scegliere le informazioni che rafforzano le proprie convinzioni (pregiudizio di conferma) e che alimentano il sovrastimare delle proprie conoscenze (effetto Dunning-Kruger). Arrivati a questo punto, più ci si sopravvaluta, più si esagera la propria capacità di leggere il mondo e si iniziano a vedere collegamenti e schemi dove non ci sono (apofenia) e la pareidolia fa vedere e sentire immagini o suoni che non esistono. Il colpo di grazia lo dà la dissonanza cognitiva: quando credenze o opinioni interne al soggetto sono in contrasto tra di loro, il cervello “decide” una
posizione semplice da mantenere per non sprofondare in un caos interno. Se il soggetto dovesse scegliere tra salvaguardare la propria autostima o mettersi in discussione rispetto ai propri comportamenti, sceglierà probabilmente la prima. Una “ricetta per un disastro” dicono gli inglesi nella loro lingua.

Quindi, insomma, come si combattono le fantasie di complotto? Anche qui una risposta non facile da esprimere, forse anche non rassicurante: è molto difficile, al limite dell’impossibile. Anzi, il debunking, ovvero la confutazione analitica di una notizia falsa, credenza pseudoscientifica, fantasia di complotto, non solo non è funzionale, ma spesso controproducente: porta l’altro ad arroccarsi sulle proprie posizioni per difendere a spada tratta non più la sua idea, ma la propria sanità mentale. D’altronde, come si può discutere e cercare di far ragionare qualcuno utilizzando il pensiero logico razionale quando l’altro usa altri metodi cognitivi per validare la realtà? Se anche si mettessero in discussione delle “vere” discrepanze tra la teoria e la realtà, l’altro risponderebbe che chi ha prodotto questo giudizio non si è informato abbastanza, o che in realtà è solo un hater e non permette agli altri di pensare come vogliono, oppure, caso estremo, che fa parte anche lui della cospirazione. Anche i demistificatori sbagliano ad approcciarsi al debunking con disincanto e superiorità: quando lo fanno dimenticano e non riconoscono i nuclei di verità nelle fantasie complottiste.

Nel mondo reale i traffici e le violenze sui minori esistono, i governi hanno interessi economici e le lobby hanno interesse a controllare i governi, gran parte dell’informazione mainstream serve interessi partitici e padronali. Il fatto è che QAnon ha costruito su tutto questo <>. Io però non credo sia impossibile riportare alla ragione qualcuno che ha perso la via della razionalità. Lo dico per esperienza personale. Più volte mi è capitato di “inciampare” in qualche bias e non escludo la possibilità di essere, in futuro, ancora vittima dei miei pregiudizi. Ritengo che il “ritorno alla realtà” sia un processo individuale e che in definitiva aiuti esterni servano fino ad un certo punto. La vicinanza di parenti e amici è molto utile a lenire sentimenti di solitudine e pensieri ricorsivi che conducono a visioni pregiudizievoli della realtà: è la presenza della diversità e il confronto con essa che permette visioni più ampie del mondo; l’aiuto di uno psicoterapeuta è a volte necessario e consigliato per “mettere ordine” in una mente confusa, ma non è un santo che opera miracoli, è uno specialista che può accompagnare mano nella mano il paziente per un percorso, ma il percorso lo deve fare e volere il paziente. Credo che non ci sia niente di meglio della realtà per farci prendere atto della realtà stessa. E deve colpire forte, dritto nel volto di chi cerca le risposte, come centrare in pieno un palo della luce mentre si corre. A me è accaduto: sia metaforicamente che letteralmente. All’inizio si è spaventati per il colpo improvviso e si cade in terra; finito lo stupore, il cervello attiva i meccanismi cognitivi del dolore e iniziano reazioni fisiologiche come sanguinamento e pianto; magari ancora in terra ci si può commiserare un po’, chiedendosi dove si è sbagliato e perché non si è stati più attenti. Dopo un po’ di tempo, a ognuno il suo, molto semplicemente, ci si rialza e si continua a correre. Tutto qui. Può capitare di non essere attenti nuovamente e fare altri sbagli: inciampare, prendere una storta, un crampo, schiacciare un escremento, urtare un altro corridore disattento. Si riprende atto della situazione e si ricomincia, di nuovo, ad andare avanti.

L’affaire del cosiddetto “pizzagate” è emblematico: è una teoria del complotto che ha preso piede durante le elezioni presidenziali USA del 2016. Considerato come il predecessore delle teorie di QAnon, nasce dopo il caso di hacking dell’account di posta elettronica del manager della campagna elettorale di Hillary Clinton e della pubblicazione delle e-mail sul noto sito WikiLeaks.
I promotori del pizzagate credono di scorgere all’interno delle mail un codice cifrato che collega i membri del partito democratico ad un giro di prostituzione e relativo traffico di bambini, localizzato niente di meno che nel seminterrato del Comet Ping Pong, una nota pizzeria di Washington DC. Il 4 dicembre 2016 Edgar Maddison Welch, un giovane uomo del North Carolina, padre di due bambine, prende la macchina e guida per 600km in direzione Washington DC; in autostrada fa un video con il cellulare destinato alle figlie in cui dice che non può farle crescere in un mondo così corretto senza almeno provare a lottare per loro e per gli altri bambini; raggiunge il Comet Ping Pong e entra armato di fucile semi-automatico, pistola e pugnale; inizia una fuga generale, Maddison spara qualche colpo senza ferire nessuno e resta nel locale per tre quarti d’ora, cercando qualcosa che non trova. Intanto davanti la pizzeria arrivano le macchine e un elicottero della polizia e Maddison inizia a realizzare la verità: non ci sono bambini schiavi, non ci sono né scale né botole, il negozio non ha un seminterrato. Esce dal locale e si consegna alla polizia. Durante l’interrogatorio avrebbe detto che le sue informazioni non erano al cento per cento corrette. È la realtà che crolla addosso, o come detto prima, un bel palo in pieno volto.

Era opinione comune che le masse umane del passato fossero costrette ad un regime di superstizione e irrazionalismo dovuto alla mancanza di istruzione e di informazioni in senso generale. A oggi, praticamente tutta l’informazione del pianeta Terra è raggiungibile potenzialmente da chiunque attraverso medium che ci collegano direttamente alla rete internet. Eppure fake news e distorsioni della realtà dilagano come non mai. Forse il problema non è la quantità di informazioni, ma la qualità delle suddette, che dovrebbero essere scandagliate con metodo critico e fact checking. Piuttosto che artefare mistificazioni della realtà per rispondere a semplici esigenze personali di controllo, preferisco ammettere che, qualche volta, le cose non le so. Era valido ad Atene quando Socrate predicava di sapere di non sapere, è certamente valido oggi, e credo che sarà valido anche in futuro. Certo, detta così appare come un pregiudizio… Ma almeno non fa male a nessuno… E poi non lo so. Però lo spero davvero.

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