“Corpi liberi” contro l’omofobia: intervista a Fabiomassimo Lozzi

10 Maggio 2022

intervista di Emiliano Metalli

“Non abbiamo slogan per contenere le nostre identità”. Recita così uno striscione del primo Pride avvenuto nell’università La Sapienza di Roma, nel 2018. Un evento storico: a raccontarne la potenza in immagini e parole è il film documentario transfemminista – prodotto da Inthelfilm, Nuvole Rapide Produzioni e Fabiomassimo Lozzi e distribuito da OpenDDB – “Corpi Liberi” di Fabiomassimo Lozzi, il regista che per due anni ha seguito studenti e studentesse in questo percorso di rivendicazione ed emancipazione, durante le manifestazioni e in occasione del festival Sapienza Pride. Protagonista di primo piano è il collettivo studentesco Prisma che, rivendicando “l’intersezionalità delle lotte”, riesce a parlare dei diritti dei migranti Lgbt+, di disabilità e sessualità liberata e molto altro ancora. Il regista Fabiomassimo Lozzi si nasconde, si mimetizza, muovendosi a suo agio tra Pride e corpi colorati, collettivi e rivoluzionari.

“Il corpo è uno strumento potente, è un materiale rivoluzionario” lo ripetono per strada e nelle aule universitarie. Gli obiettivi sono tanti: cambiare il mondo dell’istruzione dando spazio alle storie sulle persone LGBTQI+ per formare cittadine e cittadini migliori, rinnovare il linguaggio contro il sessismo del maschile, avere un’università gratuita e di qualità. E infine: rovesciare la società capitalistica. Il punto d’arrivo è il comunismo queer per una società liberata.

Un percorso difficoltoso e ardito, che Fabiomassimo Lozzi cerca di chiarire insieme a noi, in attesa di presentare nuovamente “Corpi liberi” il 13 maggio a Verona per l’apertura di PORTӘ APERTӘ, un prestigioso convegno di studi LGBTQIA+ organizzato dall’Università di Verona, e a Torino il 22 maggio in occasione del Salone del Libro.

photo Corrado Murlo

Cos’è l’omofobia? Il cinema può combatterla?

Una delle espressioni più autentiche della tossicità della cultura patriarcale: la paura e l’odio per tutte le diversità. L’ignoranza sicuramente contribuisce fortemente. Per questo ogni mezzo di espressione può e deve essere utilizzato come strumento di diffusione e di conoscenza

E il Pride?

Anche il Pride può essere uno strumento utile a combattere ignoranza, paura e odio. Il Pride storicamente nasce proprio come momento di rivolta contro l’oppressione a cui eravamo e siamo ancora sottopostә. Ma è anche un momento celebrativo di tutte le diversità. E inclusivo anche: aperto a tuttә, offre l’occasione a chiunque lo voglia di avvicinarsi e conoscere la nostra comunità. Proprio per questo sono contrario all’idea di un Pride “rispettabile” in giacca e cravatta, per così dire: il Pride deve esprimere e celebrare tutti i diversi colori e sfumature della nostra comunità. Mi spiace davvero per quelle persone LGBTQIA+ che non partecipano in quanto lo reputano una buffonata e non riescono a comprenderne l’importanza fondamentale che i Pride hanno per tutta la popolazione a livello politico, sociale, culturale e civile.

Ne ricordi uno, in particolare?

Il primo a cui ho partecipato: a Londra nel 1992 insieme a colui che sarebbe diventato mio marito. Una grande emozione è un gran senso di libertà: erano ancora i tempi in cui il Pride conservava le sue caratteristiche di aggregazione e di protesta.

Ti senti un attivista?

Si. Esistono diverse forme di attivismo. La mia opera come autore cinematografico è sempre stata incentrata su tematiche LGBTQIA+. Cerco di contribuire alla costruzione di una narrazione dell’identità e della storia della nostra comunità (documentaristica e immaginaria) fin dal mio primo lungometraggio, Altromondo. In Italia abbiamo una scarsa cultura audiovisiva LGBTQIA+: moltә conoscono bene i moti di Stonewall, la ball culture, la lotta all’AIDS o le vite di Sylvia Rivera e Marcia P. Johnson in America ma non della nascita del FUORI, della lettera del ministro Donat Cattin alle famiglie italiane o della vita di Mieli, Bellezza o Tondelli per esempio. Ho sempre creduto che un popolo senza cultura è un popolo senza identità, e come persone LGBTQIA+ italianә abbiamo il dovere di costruire la nostra narrazione e non vivere solamente di quella, per quanto ben fatta e spesso anche militante, angloamericana. Abbiamo il dovere di riscoprire e diffondere l* nostr* pionier*, non solo Visconti e Pasolini, ma anche tuttә quellә che sono statә esclusә dalla narrazione mainstream quando non eteronormatә post mortem da famiglie e eredә. Abbiamo bisogno non solo di raccontare la nostra Storia – dai “balletti verdi” all’omicidio di Giarre per dirne un paio – ma anche di metterla in scena e creare il nostro immaginario presente e futuro. E mi riferisco principalmente a cinema e TV, perché fortunatamente la bibliografia è già molto più ampia e cresce sempre di più. Come autore cinematografico credo che sia questo il miglior contributo che io possa dare alla militanza LGBTQIA+ italiana.

shooting concept Edoardo Saolini, photo Denise Rosato, light design Marco Prato

Attivista di ieri, attivista di oggi: quali le differenze? Quali i punti in comune?

Credo che cambino solamente gli strumenti che si usano, ma lo spirito spero che resti sempre lo stesso

Ti senti più vicino ai diritti civili o alla narrazione di un universo sociale, umano e politico? Insomma, più combattente o più regista? Sono identità conciliabili o una prende il sopravvento sull’altra?

Come è possibile scindere i due aspetti? E perché poi? È possibile una narrazione autentica dell’essere umano che non contempli anche l’aspetto più sociale, civile o privato? Credo di essere entrambi contemporaneamente: a seconda dei momenti e delle esigenze probabilmente una parte prende il sopravvento, ma sono lo ying e lo yang della stessa persona.

Quando hai iniziato a utilizzare i video per testimoniare e narrare la realtà?

L’immagine è sempre stata centrale al mio discorso artistico, che è sempre stato concentrato sulla narrazione de reale, fin da quando misi le mani sulla mia prima Polaroid a undici anni.

Fra le tue esperienze ce n’è una indimenticabile? Nel bene o nel male?

Ogni esperienza artistica è indimenticabile, anche quelle negative, perché dagli errori c’è sempre da imparare. Io però preferisco ricordare quelle positive perché mi fanno bene al cuore. Sicuramente la realizzazione del mio primo film, Altromondo, per la totale libertà creativa e collaborazione artistica con cui si svolse, grazie agli autori dei libri a cui era ispirato, Antonio Veneziani e Riccardo Reim, e agli attori membri dell’Actor’s Center Roma. Un momento di sinergia creativa credo irripetibile.

E un’idea che vorresti trasformare in un film, ma ancora non ne hai avuto l’occasione?

Tantissime: dalla seconda parte di Altromondo agli adattamenti dei romanzi di due pilastri della cultura LGBT del Novecento a una commedia autobiografica. E poi un paio di progetti ispirati a fatti realmente accaduti nella storia e nel presente della nostra comunità. Come dicevo prima l’universo LGBTQIA+ ha ancora talmente tanto da raccontare e da esprimere!

immagine tratta dal film “Corpi liberi”

Come è iniziata la storia di Corpi liberi?

Da un incontro social con Riccardo Sala, uno dei protagonisti del film, con cui ho immediatamente simpatizzato in quanto entrambi comunisti. Quando mi ha parlato di Prisma, il collettivo studentesco LGBTQIA+ della Sapienza, mi sono subito chiesto come sarebbe stato il mio percorso non solo accademico ma anche esistenziale se ci fosse stata una simile realtà ad accogliermi quando mi iscrissi alla Sapienza tanti anni fa.

Perché la forma del documentario?

Perché prende le mosse da un avvenimento che ritengo storico: il primo Pride universitario ufficiale della più grande università d’Europa. Ma soprattutto perché intendevo, in quanto filmmaker, raccontare questa realtà senza nessuna rielaborazione di tipo creativo e farmi cassa di risonanza delle istanze portate avanti da Prisma.

Prima l’idea o prima l’azione: come approcci un’opera di questo genere?

È l’opera in sé che determina il metodo di approccio. In questo caso è venuta prima l’azione. Sono andato a riprendere il primo Sapienza Pride per puro spirito di militanza e non avevo minimamente idea che ne sarebbe nato un film. Solo ascoltando gli interventi e riconoscendone la totale sintonia con le mie convinzioni e il mio modo di concepire la militanza, mi sono reso conto che era necessario raccontare queste istanze in un film. Da qui la scelta di creare questo manifesto politico in forma cinematografica.

Perché l’accento sul corpo? Si tratta solo di una provocazione? La libertà della mente è già conquistata? In breve: cos’è Corpi Liberi, per te? Il corpo non rischia di essere un veicolo più manipolabile di un concetto?

No non è una provocazione. Il nostro corpo storicamente è da sempre il campo di battaglia principale in tutte le culture. Dall’infibulazione alla verginità, dall’aspetto fisico alle disabilità, ogni forma di potere – politica, religiosa, economica, morale… – viene esercitata principalmente sull’uso che facciamo (o non) dei nostri corpi. In questo senso proprio l’uso dei nostri corpi può diventare la forma più eversiva. Ovviamente la liberazione dei corpi comporta una liberazione delle menti – le due cose sono inscindibili. Non può esserci un corpo libero senza una mente libera e viceversa. Le nostre menti sono ancora ben lontane dall’essere liberate. La rivoluzione sessuale, per fare un esempio, è cominciata poco più di cinquant’anni fa, ma la maggioranza delle gabbie che contengono le nostre menti e i nostri corpi sono attive da almeno qualche millennio. È quindi un processo di liberazione molto giovane e in continua evoluzione.

shooting concept Edoardo Saolini, photo Denise Rosato, light design Marco Prato

Qual è il peso politico di questa operazione?

Non la definirei un’operazione, non è una cosa nata a tavolino. È un film nato in modo totalmente spontaneo e imprevisto. Come ho detto prima è un manifesto politico e credo che sia profondamente necessario non solo da un punto di vista divulgativo in quanto cerca di riassumere in modo facilmente comprensibile gran parte delle istanze e criticità dell’universo LGBTQIA+ odierno ma anche perché ribadisce la necessità di inserire queste istanze in una visione più ampia e globale della società in cui viviamo e di come vorremmo trasformarla.

C’è bisogno oggi di una nuova consapevolezza politica nella società?

C’è bisogno prima di tutto di consapevolezza tout court, a ogni livello: troppo spesso siamo costretti a dare per buone le narrazioni falsate e tossiche di media e social. Abbiamo gli strumenti intellettivi e la facoltà critica per analizzare il presente, ma siamo continuamente bombardati da un’informazione che ci distrae e ci impedisce di approfondire la nostra conoscenza del reale. Bisogna trovare la forza necessaria per resistere alla tentazione di prendere per buone le narrazioni più facili e mainstream, che poi generalmente sono quelle che rinforzano lo status quo vigente. L’antropologa Ida Magli ci dimostrò a suo tempo che gli schemi più profondi e potenti di una particolare cultura (e quella patriarcale specialmente) si nascondono proprio in tutto ciò che viene dato per scontato e ovvio e quindi non viene mai posto in discussione.

Quali differenze ci sono – se ci sono – fra te e i componenti di Prisma? Cosa hai dato loro, in questa esperienza? Cosa ti hanno restituito?

La differenza principale è ovviamente l’età e non è una differenza da poco, visto che il dialogo tra generazioni distanti tra loro rimane uno degli ultimi tabù vigenti. Io spero di aver dato loro una cassa di risonanza fedele per le loro idee e proposte. Loro mi hanno dato infinitamente di più: nuovi modi di praticare idee e ideali in cui ho sempre creduto; la possibilità di evolvermi come essere umano e continuare a aprire le gabbie; ma soprattutto la voglia di tornare a vivere e esprimermi artisticamente, dopo un lungo periodo di involuzione esistenziale e creativa.

In cosa il Sapienza Pride differisce da altre manifestazioni?

È un Pride che si ricollega allo spirito di rivolta dei primi Pride e esprime la visione del mondo delle generazioni più giovani, quelle che stanno costruendo il futuro di tuttә noi e a cui andrebbe dato ascolto con maggiore attenzione.

Non rischia di essere un ulteriore frazionamento, una ennesima casella di un universo – quello delle associazioni LGBTQ+ – già abbastanza diviso?

No. Non condivido questa visione monolitica dell’universo LGBTQIA+. Riconoscere le diversità all’interno della nostra comunità non comporta necessariamente un frazionamento – inteso come divisione e parcellizzazione e quindi riduzione del peso politico dello stesso movimento, anzi, credo che garantisca una maggiore vivacità e stimolo del dibattito e del confronto interno – come stanno dimostrando gli Stati Generali riunitisi negli ultimi mesi, pur con tutte le difficoltà del caso. Come dice Riccardo Sala nel film, bisogna capire come mettere a sistema tutte queste diverse anime, tutte queste diverse pratiche e forme di militanza. Ma questo può avvenire solo a patto che tutte le associazioni siano disposte a mettersi in una posizione di ascolto e confronto paritario, senza che nessuna si erga a portavoce di tutta la comunità, come purtroppo è troppo spesso accaduto finora.

photo Corrado Murlo

Cosa pensi della comunità LGBTQIA+ oggi?

In Italia la comunità LGBTQIA+ è estremamente vivace e variegata, spesso in modi anche contraddittori. C’è la parte più attivista e militante e poi c’è quella che invece vive il proprio essere LGBTQIA+ come un fatto privato. Se osserviamo gli scambi che avvengono sui gruppi social di LGBTQIA+ è possibile rendersi conto che spesso queste due parti sono ancora molto lontane tra loro. All’interno della parte militante della nostra comunità si sta verificando un confronto più ampio, grazie anche al lavoro di collettivi come Prisma, studenteschi e non, che hanno portato alcune istanze a lungo considerate marginali al centro della conversazione odierna, al contrario delle associazioni storiche mainstream che invece hanno progressivamente adattato le nostre rivendicazioni nel quadro dello status quo vigente.

Quali sono le nuove esigenze?

Tutto il discorso sull’identità di genere va portato avanti e liberato dalla tossicità e dalle falsità di cui è stato impregnato negli ultimi tre/quattro anni (e questo andrebbe fatto in generale su tutto quello che viene concepito o catalogato come politicamente corretto). Ma principalmente credo che sia il concetto di intersezionalità delle lotte che debba diventare sempre più centrale al nostro modo di intendere il nostro attivismo e le future strategie politiche e sociali. Diritti civili e diritti sociali devono procedere di pari passo, non possono essere più barattati.

E le precedenti? Si è perso qualcosa nel passaggio generazionale? Ci sono generazioni “perdute”?

Sì credo la mia e la tua abbiano perso, a livello generale – e escludendo i singoli esempi di militanza generosa e instancabile che pure ci sono stati e tanti – il senso rivoluzionario di un movimento così come era stato inteso dalla generazione che ha fatto l’esperienza del FUORI e di tutto quel periodo. C’è un’amara frase nel film C’Eravamo Tanto Amati di Ettore Scola che in quel caso riguardava alcuni segmenti della resistenza e del Comunismo italiano, ma che potrebbe benissimo essere applicata alle generazioni di quaranta/cinquantenni: “volevamo cambiare il mondo, ma è il mondo che ha cambiato noi”. Se pensi che nel 1982 siamo riuscitә, le donne trans in primis, a ottenere una legge come la 164 che era all’avanguardia per tutta l’Europa e più di trent’anni dopo non siamo riuscitә a avere una legge decente per le unioni civili – anzi, per la prima volta in Italia proprio quella legge sancisce la subalternità giuridica delle persone LGBTQIA+ in rapporto a quelle etero.

Il ricordo è importante? Come integrarlo alla contemporaneità, senza sembrare nostalgico?

La memoria storica è sempre fondamentale. Lo è a livello generale – specie in questi tempi di rigurgiti neofascisti mascherati da sovranismo e populismo. È fondamentale per poter riconoscere i pericoli in agguato: in un momento storico in cui anche importanti conquiste come il divorzio e l’aborto vengono rimessi in discussione da più parti, è importante conoscere la nostra storia. A maggior ragione lo è per una comunità che ha ancora poca conoscenza della propria storia proprio per mancanza di una narrazione autoctona. Per fortuna questo sta cambiando ultimamente grazie ai lavori di miei colleghi, come l’ultimo film di Coluccini e Botrugno.

Il ritorno al Femminismo o l’approdo politico al Transfemminismo è una evoluzione o una involuzione necessaria del dialogo fra le parti?

Non è certo un’involuzione, piuttosto il superamento del contraccolpo restauratore del perbenismo borghese e patriarcale che negli ultimi trent’anni aveva segnato un’inversione di tendenza in rapporto al progresso e alle conquiste sociali e civili del ventennio precedente.

Perché ancora oggi si sente il peso dell’eteropatriarcato machista e del capitalismo?

Non è che ne sentiamo il peso, siamo ancora in una società pienamente patriarcale, capitalista e eteronormativa. Il fatto che in alcune situazioni ci sia una maggiore tolleranza e inclusività – peraltro molto fragili e ancora in discussione – non può esimerci dal riconoscerne le fondamenta e gli schemi che sottendono ad esse, che rimangono immutati nell’apparente evoluzione di superficie.

In che modo potremmo liberare i corpi dal patriarcato? E dal capitalismo?

Prima di tutto riconoscendo le forme, i modi e i tempi in cui questi agiscono e ci agiscono senza che neanche ce ne rendiamo conto. È necessario un processo di auto consapevolezza che ci porti a saper distinguere quando questi meccanismi entrano in azione prima di tutto dentro di noi.

La questione identitaria ha bisogno di una nuova definizione politica o di una definitiva libertà sociale? Cioè è il riconoscimento politico-amministrativo o quello della società a fare la differenza?

Credo che ci sia bisogno di entrambe e che l’una e l’altra si rafforzino a vicenda. È nato prima l’uovo o la gallina?

Cos’è il Comunismo Queer?

Spero che non me ne voglia il padre del Comunismo Queer, Federico Zappino, che ha coniato questo termine e l’ha teorizzato nel suo libro omonimo, ma con eccessiva sintesi credo che si possa dire che è la liberazione sia dall’eteropatriarcato che dal capitalismo.

Essere fuori-norma mi ricorda la Traviata Norma di Mieli, ma lì i riferimenti erano altri. Cosa rimane in comune?

La rivolta alla norma così come viene intesa dalla società eteropatriarcale capitalista e cattoborghese. Niente è normalità, tutto è differenza.

La definizione “intersezionale, anti-fascista, anti-sessista, anti-razzista e contro ogni forma di omobitransfobia” è molto ampia: non c’è rischio di perdere l’obiettivo?

Non credo. Il rischio vero è stato pensare che lo fosse negli ultimi trent’anni e di conseguenza ridurre le nostre rivendicazioni a poche briciole al tavolo dei potenti senza neanche peraltro ottenerle – vedi la Legge Cirinnà, con il suo vergognoso stralcio della stepchild adoption o il disastro del DDL Zan. Sono sconfitte derivanti anche dall’impoverimento delle politiche attuate in questi ultimi decenni.

photo Corrado Murlo

Quali saranno le prossime sfide per te e per la Comunità?

Personalmente ogni film è una sfida, arrivare a completarne uno è sempre una scommessa dall’esito molto incerto. Per me è continuare a raccontare sia la storia che il presente della nostra comunità in un’ottica sempre attuale e consapevole degli sviluppi della nostra comunità. Per la comunità in generale credo sia principalmente cercare di superare la narrazione mainstream e trovare una nuova unità dal basso, come si sta cercando di fare con gli Stati Generali, seppure con tante difficoltà oggettive, superando le gravi fratture provocate da Arcilesbica per esempio. La sconfitta del DDL Zan inoltre è una sconfitta politica di cui il PD, e conseguentemente l’Arcigay, che da troppo tempo ha scelto di appiattirsi completamente sulle politiche di quel partito, deve prendersi la responsabilità senza più arrogarsi il diritto di poter parlare a nome di un’intera comunità ma invece iniziare a collaborare in modo paritario con tutte le diverse anime della nostra variegata (e favolosa, diciamocelo) comunità.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere

Sei fratelli: la famiglia non si sceglie, ma gli occhi con cui la vedi sì

«Siamo nel mondo reale e bisogna sapersi accontentare». Così cita