Il giovane Berlusconi: la serie Netflix

29 Aprile 2024

Recentemente è stata trasmessa su Netflix la docuserie Il giovane Berlusconi, a pochi mesi dalla morte del suo protagonista. Tre puntate lungo le quali si svolge l’ascesa dell’imprenditore a partire dalla posa della prima pietra a Milano Due fino alla Presidenza del Consiglio: è a questo punto che la produzione si ferma lasciando fuori il racconto delle successive vicende politiche e giudiziarie. Diretta da Simone Manetti e scritta da Matteo Billi e Piergiorgio Curzi, il progetto è stato prodotto da B&B Film, in coproduzione con la tedesca Gebreuder Beetz Filmproduktion e con l’emittente franco tedesca ZDF Arte.

Il Pizzone è il nome del supporto magnetico sul quale si registravano i programmi televisivi che le piccole TV locali, acquisite da Fininvest, trasmettevano in simultanea per aggirare la normativa nazionale. Ma è anche il titolo del primo episodio della serie, inaugurato da una vassallesca intervista rilasciata dal Cavaliere a Mike Bongiorno. Attraverso filmati di archivio, interviste a individui del calibro di Felice Confalonieri e Marcello Dell’Utri, si ricostruisce il rapporto con una Milano dove succede tutto, dove si costruisce un intero quartiere dotato di un’emittente locale. La crescita di TeleMilano coincide con l’affermarsi di un personalismo propagandistico, sostenuto da massicce quote di spot televisivi. Mediaset determina una rivoluzione dei consumi, dei modi di pensare e di rapportarsi alla cosa politica. La rivolta dei Puffi è il titolo del secondo episodio e designa il malcontento collettivo scaturito dall’oscuramento delle reti Mediaset – oscuramento sventato grazie all’interessamento di Bettino Craxi. Ormai Berlusconi è nelle condizioni di esportare il proprio modello televisivo in tutta Europa; tuttavia, investire nelle emittenti internazionali si è rivelato un flop, così come l’acquisizione della mitica Standa. Nel terzo episodio, L’Italia è il paese che amo, si ricostruiscono le prime fasi dell’impegno parlamentare del protagonista: la “discesa in campo” viene presentata quale necessario escamotage per ovviare alle difficoltà finanziare. La macchina propagandistica altro non è se non un’enorme operazione di marketing, contro la quale i linguaggi della “vecchia” politica poterono ben poco.

Non è la prima volta che Berlusconi finisce su schermo: si pensi al Caimano di Nanni Moretti, o ancora a Loro 1 e Loro 2 di Paolo Sorrentino, o ancora il documentario Draquila di e con Sabina Guzzanti. Questa serie Netflix depone manifesti giudizi morali, rifiutando tra l’altro di addentrarsi in questioni affettive, e lascia che la vicenda si qualifichi nella ricostruzione imparziale degli eventi. L’intelligenza imprenditoriale di Berlusconi viene descritta nella sua innegabile evidenza e seppure gli aspetti più oscuri sembrano, apparentemente, lasciati in secondo piano, in realtà viene restituito un ritratto a tutto tondo del personaggio. Come nella precedente serie Wanna (di Alessandro Garramone, scritta con Davide Bandiera, per la regia di Nicola Prosatore), il racconto descrive con esattezza i modi in cui il potere possa affermarsi quando cadono limitazioni di natura etica a favore di una discutibile, eppure affascinante, creatività nella gestione degli affari. Ma non manca comunque la presa di coscienza rispetto al problematico affermarsi del politico, quale evoluzione dell’imprenditore.

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