Sara Lazzaro: il mio melting pot artistico! Ritratto di un’attrice a tutto tondo.

8 Aprile 2024

È entrata nel cuore e nelle case degli italiani grazie al suo ruolo di Agnese Tiberi ( ex moglie del dott. Fanti) in “Doc” e ultimamente nei panni di Monica, devota e impeccabile assistente di Claudio Maiorana in “Call My Agent-Italia”, ma l’attrice Sara Lazzaro è molto di più. Carisma, classe, sensibilità e quella visione lungimirante frutto della sua educazione italo-americana. Un mix perfetto tra due culture, due modi di vedere la vita, l’arte, la recitazione, che l’hanno portata ad essere un’attrice a tutto tondo che spazia dalla tv ( Doc, Call My Agent Italia, Braccialetti Rossi, Volevo fare la Rockstar, The young Pope, Diavoli), al cinema nazionale e internazionale (Dieci Inverni, La scoperta dell’alba, 18 regali, The young Messia, Siccità), al teatro (Le donne gelose regia di Giorgio Sangati , Afterplay di Brian regia di Mattia Berto, Tempi nuovi, regia di Cristina Comencini, Scene da un matrimonio regia di Raphael Tobia Vogel ), alla radio. Una professionista che tiene particolarmente al processo creativo, a tutti i “tasselli umani e tecnici” che servono per costruire il risultato finale. Una donna tenace, idealista, ironica, interessata alla profonda conoscenza di se stessa, dei sentimenti e debolezze umane, e quindi, degli altri. 

Sia per le tue origini, che per la tua formazione, hai un respiro internazionale. Ci sono differenze tra l’estero e il modus operandi italiano? E se si, quali?

Sono Italo-americana. Mia madre è californiana e mio padre invece di Padova. Sono cresciuta tra Rovolon e Carmel, tra queste due realtà, tra queste due città, e sono bilingue. Ho vissuto fino ai 10 anni in America, poi sono rimasta un po’ più stabile qui e andavo solo lì d’estate. Alla fine della della laurea in arti visive dello spettacolo allo IUAV di Venezia ero sempre sul palco durante il mio tempo fuori all’università e ho detto ora o mai più. Ho fatto i provini per due scuole a Londra,mi hanno preso entrambe e mi sono resa conto che la faccenda si faceva seria. Ho accettato e sono entrata al Drama Center, ho preso un master in recitazione, e poi dal 2008 sono diventata professionista. Credo che da un certo punto di vista proprio produttivo bisogna anche considerare che nei paesi anglofoni, come l’America e il Regno Unito c’è un mercato molto più ampio, la lingua inglese è in qualche modo smerciata ovunque nel mondo, quindi c’è proprio un mercato molto più ampio, una quantità di contenuti maggiore, c’è un sistema produttivo che, secondo me, investe molto di più sull’intrattenimento,sul cinema, e in America, ma soprattutto a Londra, anche molto nello spettacolo dal vivo, come il teatro. Il teatro penso che sia radicato proprio nel tessuto culturale dell’Inghilterra, per esempio ci sono 50 teatri in un’unica strada, quindi c’è proprio un atteggiamento diverso nei confronti del dell’intrattenimento, dello spettacolo. Penso che anche economicamente ci sia un’industria molto più ricca, nel senso che ha più risorse a disposizione, quindi riescono ad azzardare un po’ di più. In Italia hanno meno risorse, anche se ormai le coproduzioni stanno aprendo degli orizzonti molto interessanti, però c’è questa incapacità, a volte, di poter rischiare, come fanno in America.

Penso che in Italia ci siano ruoli femminili poco coraggiosi che non consentono alle interpreti femminili di emergere totalmente, penso ad esempio un ruolo come quello di Bella Baxer. Credi sia così? Ci sono margini di crescita in tal senso?

È da un po’ che non lavoro che non lavoro all’estero,in America o a Londra, però riconosco che nel presente che stiamo vivendo stanno avvenendo molti cambiamenti, anche dal punto di vista delle narrazioni femminili. Necessariamente stiamo cercando di pareggiare con la realtà dei fatti, nel senso che non c’è più questo divario, o meglio si si sta cercando di colmarlo dal punto di vista sia di storie, che dal punto di vista del gap remunerativo. Molte cose stanno cambiando. Ci sono dei tentativi più radicati e forse più espliciti all’estero rispetto l’Italia, ci sono delle nuove aperture, ma c’è ancora molta strada da fare. Adesso c’è una consapevolezza diversa da parte anche delle attrici: c’è una volontà di portare nel proprio lavoro, di raccontare certe femminilità, un approccio molto più consapevole, a tratti oserei dire quasi politico, c’è un gran lavoro anche interpretativo che sta cercando di scardinare un po’ lo status quo di alcune dinamiche.

Hai tanto cinema alle spalle. Hai lavorato con tanti grandi maestri. Quale maestro e quale set porti nel cuore?

Tutti i set, per un motivo o per un altro, hanno segnato molto il mio percorso, sia set che spettacoli, perché faccio anche tanto teatro e ho avuto degli incontri incredibili. Diciamo che un set che mi trovo spesso a ricordare, ma perché per me è stato un po’ uno spartiacque sotto mille punti di vista, è “The young Messia” dove interpretavo Maria di Nazareth, perché mi è successo un po’ un “The american dreams”. Ero a Los Angeles, sono arrivata Los Angeles nel 2013 a trovare mia nonna e non ho preso il volo di ritorno, sono rimasta a vivere lì. All’inizio dormivo sui divani, ho fatto duemila lavoretti possibili, ovunque, e nel giro di nove mesi mi hanno offerto un ruolo da protagonista in un film americano, cosa che in Italia, fino a quel momento, non era mai successa. Per me è stato incredibile. L’ironia ha voluto che mi hanno preso a Los Angeles, ma il film è stato girato a Cinecittà e a Matera. E’ stato un film stupendo, che mi porto dietro. Non so se riesco a scegliere un’unica cosa che ho imparato, penso che appunto tutti i registi e tutti i set mi abbiamo lasciato qualcosa. E’ interessante perché,non è stata una persona con cui ho direttamente lavorato, però c’è una regista inglese, Katie Mitchell, che quando ero a Londra nel 2007 sono andata a vedere a teatro e mi ha folgorato con la sua regia e mi ha folgorato ascoltare una sua intervista dove, teatralmente parlando, ma in qualche modo lo si può anche trasporre nel cinema, dice che lo spettacolo perfetto non esiste, ma è la somma di tutte le repliche. Non esiste la perfezione delle cose, la raggiungi provando e riprovando, e riprovando: è un messaggio interessante che va aldilà forse della realizzazione di per sé, ma del processo di essere attrice, di fare questo mestiere.

Sei il volto di diverse serie tv di successo, da Doc a Call my agent-Italia. Le serie sono il nuovo cinema? 

Le serie sono una nuova opportunità narrativa nel cinema. Il cinema rimane il cinema secondo me. Anzi il cinema adesso sta un po’ tornando in auge, perché con tutta questa serialità è anche interessante finalmente avere qualcosa che inizia e che finisce, che è un po’ anche il rischio di molte serialità. Io penso che come in tutte le cose bisogna saper finire, credo che la televisione abbia creato un nuovo modo di affrontare il lavoro, sia da un punto produttivo-registico, estetico, e anche attorialmente. Lo vedo nel mio piccolo, non so mai quello che succederà al il mio personaggio nella seconda o terza stagione, lo scopro man mano, quindi anche il mio compito è fare un lavoro tale per cui alla fine di una stagione si possano aprire delle possibilità interpretative coerenti con il percorso fatto prima e delle volte, anzi, si scoprono dei territori che mai avresti immaginato, che sono molto stimolanti. Quindi c’è un nuovo modo di affrontare la narrazione visiva.

Sei in scena a teatro con Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, regia di Raphael Tobia Vogel . Com’è stato tornare a recitare sul palco? Cosa rappresenta per te il teatro? A quali voci e messaggi bisognerebbe dare spazio?

Non tornavo su un palco da quasi quattro anni, i motivi sono molteplici tra cui il covid che ha limitato tantissimo gli spettacoli dal vivo ed è stato veramente un problema e una difficoltà complessa per il settore dello spettacolo dal vivo e per la musica, e poi chiaramente anche per una cosa positiva, ossia una mia presenza assidua dell’audiovisivo gli ultimi anni. Sono felicissima di quest’occasione, mi mancava come l’aria recitare sul palco e soprattutto per il contatto diretto con il pubblico. Ammetto che ciò che mi mancava tantissimo era il processo creativo, cioè passare otto ore al giorno a provare una scena, a cercare l’azione fisica, cercare il sottotesto e cercare di capire anche delle ulteriori possibilità di analisi di determinate scene senza saperlo prima e scoprirlo con il regista e con il mio compagno di scena. Il tempo è una cosa che differenzia molto tutti questi medium, spesso sul set non riusciamo a provare una scena prima di girarla e poi la cosa incredibile è che se la prima scena e’ buona magari, quella va, quella rimarrà ai posteri su Rai play, in streaming, su qualsiasi cosa. Il processo teatrale, invece, è molto bello, perché penso che la cosa più interessante sia il processo e la creazione, poi la restituzione al pubblico è il momento di condivisione, ma c’è tutto un percorso prima che è fondamentale. Ne avevo tantissimo bisogno proprio creativamente, il teatro è stata la mia prima casa, il primo luogo, quindi è stato un po’ un tornare a casa, però non mi identifico con l’essere un’attrice teatrale. Mi riconosco come un’attrice, un’attrice che fa teatro, cinema, televisione, radio e videogiochi, mi piace spaziare e credo che continuerò a farlo.

Chi è Sara Lazzaro? Se ti chiedessi di definirti con tre aggettivi…

Riconosco di essere tenace, idealista nel bene nel male, e mi piace pensare ironica, nel senso che secondo me l’ironia salverà il mondo, quindi mi piacerebbe pensare di esserlo anche io un po’.

Se ti chiedessi di scegliere e leggere un brano che hai a cuore?

Vorrei leggervi un estratto dallo spettacolo che ho appena terminato per ora, ma riprenderemo la tournée la prossima stagione, “Scene da un matrimonio” di Bergman. Oltretutto è una battuta non del personaggio di Marianne che interpreto io, ma di Giovanni, interpretato da Fausto Cabra. Un momento di confronto abbastanza tosto tra i due personaggi. Parliamo delle scene finali dello spettacolo in cui c’è questa analisi che fa il personaggio di Giovanni, che secondo me è molto molto forte. Si verbalizza qualcosa che difficilmente si verbalizza in modo così schietto.

“In materia di sentimenti noi siamo degli analfabeti, non solo te e me, ma quasi tutte le persone. Noi apprendiamo qualsiasi cosa sul corpo umano, sui decimali del p greco, ma neanche una parola su noi stessi e sui nostri sentimenti, sulla nostra paura, sulla solitudine, sulla rabbia. Come possiamo mai capire gli altri, se non sappiamo niente di noi stessi.”

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