Ritratti di donne e di danza

14 Gennaio 2022

La neo-étoile Susanna Salvi si racconta
ricordando l’immensa Carla Fracci

Testo Roberta Leo

Susanna Salvi, la giovane étoile del Teatro dell’Opera di Roma, e la ‘Signora della danza’ Carla Fracci, protagonista indiscussa della danza italiana nel mondo scomparsa lo scorso maggio, si incontrano sul grande schermo nel film ‘Carla’, diretto da Emanuele Imbucci. In realtà le due donne si conoscevano da molto prima. La prima ricorda la seconda raccontando la sua esperienza sul set come controfigura per le scene danzate a supporto dell’attrice Alessandra Mastronardi, mostrandoci con grande umiltà il suo percorso e offrendoci il ritratto di una ballerina ma
anche una donna nuova, moderna, figlia ed erede di una tradizione d’eccellenza dell’arte della danza.

Susanna, cosa rappresentava per te la Signora Fracci?
Per me è stata la ‘porta’ della professione. Ero una bambina e già dai primissimi anni di studio alla Scuola di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma ricordo quanto la Signora Fracci tenesse alla scuola, al vivaio dei ragazzi, futuri professionisti di domani. Presiedeva le commissioni d’esame, veniva a guardare le lezioni, dava suggerimenti e consigli. È stata la mia prima direttrice in tutti i sensi.

Lo scorso settembre sei stata nominata Étoile del Teatro dell’Opera di Roma e a novembre ti abbiamo vista volare sulle punte dal teatro al cinema. In che modo la Signora Fracci ti ha aiutato nella preparazione del film ‘Carla’?
Durante le riprese del film mi ha telefonato. Aveva visto un video delle prove e voleva darmi indicazioni per lo stile dei balletti che provavamo e in cui io facevo la controfigura per Alessandra Mastronardi, l’attrice protagonista che interpretava proprio Carla Fracci. Io ho fatto tesoro dei consigli di quest’ultima e ho cercato di trasmetterli anche ad Alessandra che, non essendo una ballerina, ha dovuto studiare tanto l’atteggiamento della parte superiore delle braccia e della testa nei balletti che venivano citati e interpretati nel film come, ad esempio, Lo spettro della rosa
e Schiaccianoci.

Dal film è venuta fuori una Carla Fracci soprattutto donna e non solo ballerina. Sei d’accordo?
Sicuramente al pubblico è arrivata una figura forte e determinata, molto avanti per quei tempi, una donna per cui un lavoro di tipo artistico non ha rappresentato un limite per la propria realizzazione familiare e affettiva. Secondo me incarna un grande esempio per ogni donna perché è riuscita a conciliare entrambi gli aspetti della sua vita. Spero di riuscire a farlo anche io in futuro.

Quali sono i ruoli in cui ti sei sentita più vicina alla Fracci?
Sicuramente l’ho sentita molto vicina quando ho avuto l’onore di ballare Giselle o La Silfide. Ho guardato molto i suoi video, mi sono ispirata tantissimo a lei, senza ovviamente volermi equiparare alla sua inimitabile interpretazione.

Nell’ultima masterclass tenuta per il Teatro alla Scala durante l’allestimento di Giselle Carla Fracci disse che “la tecnica va nascosta e che va danzata l’emozione del gesto e non il gesto fine a se stesso”. Tu ritrovi in questo ideale di ballerina? Io mi sono sempre reputata una ballerina puramente tecnica fin dagli anni della scuola di ballo anche perché ho avuto insegnanti cubani che tenevano tantissimo alla qualità della tecnica che trasmettevano. Con il tempo ho ricercato la mia parte più espressiva, ’eterea’ e ho riscoperto più potenzialità di quelle che pensavo di avere per quanto riguarda l’aspetto, in un certo senso, ‘attoriale’ dei balletti che di volta in volta ho interpretato. Danzando tanto ho avuto molte occasioni per scoprire tutti i vari aspetti dell’arte dell’arte della danza e ora mi sento più completa e matura. Credo che oggi nelle migliori compagnie di danza presenti sul panorama attuale, nonostante la parte virtuosistica e tecnica sia ormai estremizzata fino a sfociare quasi nell’atletismo, sia comunque conservato e valorizzato l’aspetto più etereo, emotivo e interpretativo della danza. Non è possibile scindere le due cose.
E forse questo ce lo ha insegnato proprio Carla Fracci.

Hai avuto delle figure di riferimento oltre a Carla Fracci nel tuo percorso? Oltre a Carla Fracci sicuramente Ofelia Gonzalez e Pablo Moret, i miei insegnanti della scuola di ballo del Teatro dell’Opera, sono stati dei punti fermi per me. Mi hanno insegnato tutto, anche il comportamento e la disciplina da tenere in sala e, in particolare, la capacità di saper lasciare i propri problemi fuori dalla sala di danza e dal lavoro; Elisabetta Terabust, artista immensa, è stata un’altra grande talent scout che credeva molto nei giovani e
ha creduto tanto anche in me; Francesco Ventriglia, direttore del MaggioDanza a Firenze, mi ha dato tante possibilità tra cui quella di entrare in compagnia anche durante un periodo difficile in cui non ero totalmente in forma; infine Eleonora Abbagnato, attuale Direttrice del Ballo del Teatro dell’Opera, mi ha permesso di danzare molti ruoli importanti dandomi piena fiducia e accompagnandomi nella mia crescita di carriera.

Hai avuto anche momenti no. Cosa ti ha spinto a continuare?
La passione è fondamentale per superare i problemi ma per continuare bisogna capire anche che la danza esige elezione e selezione. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Intorno ai vent’anni pensavo di iscrivermi all’università e mollare ma poi ho pensato alla mia famiglia, ai tanti sacrifici fatti per farmi studiare, affidandosi anche all’ignoto di quest’arte meravigliosa che è la danza. Passione e rispetto verso ciò che amo sono stati la mia più grande motivazione.

È un bellissimo momento per te pieno di grandi soddisfazioni. C’è qualcosa che desideri?
Mi piacerebbe tantissimo insegnare più avanti. La carriera da ballerina è splendida ma arriva un punto in cui senti l’esigenza e quasi il dovere di tramandare quello che sai perché capisci che tanti altri ne avranno bisogno. Inoltre, mi piacerebbe tanto anche avere una famiglia. Oggi non è ancora il momento ma non posso negare di desiderarla molto in futuro.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere

Il tabù della maternità

«Quando i libri non ti lasciano in pace li porti