Lo Spettacolo dal vivo tra riforma e ricostruzione. Intervista al Professor Antonio Taormina

24 Gennaio 2022

Testo Roberta Leo

Lo Spettacolo dal vivo sta attraversando una grave crisi, sicuramente acutizzata dall’emergenza sanitaria, ma comunque già preesistente. Le difficoltà del settore sono sempre state affrontate mediante contributi ‘a pioggia’ o
provvedimenti ‘tampone’ mettendo in luce la necessità di una legislazione di settore unitaria. Nonostante si stia tentando di pensare una riforma globale essa non è ancora avvenuta concretamente.
Così il mondo dello Spettacolo vive ancora una fase di drammatica attesa ma, allo stesso tempo, sono sempre più evidenti i cambiamenti che lo stanno attraversando sotto il profilo della formazione, dell’organizzazione, dell’occupazione e del rapporto col pubblico.
Il Professor Antonio Taormina, docente dell’Università di Bologna e membro del Consiglio Superiore dello Spettacolo del Mibact (da pochi giorni Mic-Ministero della Cultura) ha fornito un’analisi dettagliata del settore auspicandone una reale ricostruzione.

In un momento in cui forse le professioni dello Spettacolo stanno venendo gradualmente riconosciute in quanto tali, in che modo le imprese di settore potranno muoversi in un’ottica di progettualità e prospettiva occupazionale? Parlando delle professioni dello Spettacolo non si possono non affrontare le ricadute sul settore dovute alla pandemia Covid-19. Questa gravissima circostanza ha portato istituzioni, associazioni di imprese e di lavoratori a denunciare le criticità legate all’occupazione e alla previdenza del settore. Ne è emersa l’immagine di un settore frammentato e caratterizzato dalla discontinuità dei rapporti di lavoro. A livello governativo è stata attuata per la prima volta la cassa integrazione per categorie come gli intermittenti, ai quali era prima preclusa, così come sono stati erogati, attraverso diversi DPCM, ristori a imprese e lavoratori. Tutte iniziative lodevoli che ovviamente non incidono, se non maniera episodica. La pandemia ha acceso i riflettori su un mondo i cui problemi legati al lavoro si trascinano da decenni, non
si può infatti dire che la situazione precedente alla pandemia fosse serena. Le statistiche Inps sono rivelatrici: nel 2019 il numero delle giornate medie lavorate per gli attori è stato pari a 15 e per i concertisti e gli orchestrali pari a 43, altre categorie vivono condizioni migliori, in particolare, il personale amministrativo, ma le figure prima citate sono tra quelle artistiche quelle numericamente più rappresentate. È positivo che l’emergenza abbia portato all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica questa situazione. Ed è altrettanto positivo che siano stati presentate di recente due proposte e due disegni di legge che condividono (seppure siano di diversa matrice politica) l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori dello Spettacolo, una categoria di cui il legislatore non si occupava da anni. Su di essi, in forma congiunta le Commissioni Cultura e Lavoro della Camera, stanno altresì svolgendo indagini finalizzate
ad approfondire le condizioni di lavoro e previdenziali che devono affrontare. Non possiamo prevedere il futuro ma questa nuova consapevolezza avrà sperabilmente un effetto positivo sulla condizione dei lavoratori dello Spettacolo.

Lei si occupa da anni di formazione per l’imprenditoria dello Spettacolo. Cosa significa oggi intraprendere
questa professione? Sarebbe necessaria una revisione del piano didattico di tali percorsi formativi?

Sicuramente oggi l’istruzione superiore e la formazione professionale rivestono, rispetto al settore, un ruolo
centrale. L’università si occupa delle figure gestionali e organizzative dello Spettacolo dal vivo in particolare attraverso corsi di alta formazione professionalizzante, quali i master, e ancor prima, affrontava quest’area professionale con i corsi di perfezionamento. Parliamo precisamente degli anni 90. La prima realtà italiana ad occuparsene è stata però, già dagli anni ’70, la Scuola del Piccolo Teatro di Milano, ora Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi.
I percorsi formativi universitari sono ormai indispensabili, anche se in realtà l’approccio al mondo dello Spettacolo è purtroppo ancora associato da molti ad una visione “romantica”. Vedono nella “gavetta” – nel “lavoro di bottega”, sul campo – l’unica modalità di formazione. La pratica è essenziale, tuttavia, esistono discipline come il marketing e l’economia della cultura che non possono prescindere dalla formazione teorica, dalla formazione universitaria e plausibilmente da quella post-laurea. Lo Spettacolo è sempre più associato a temi quali l’inclusione sociale, la rigenerazione urbana, la sostenibilità economica, ma anche la funzione identitaria e al tempo stesso l’internazionalizzazione della cultura. Tutto ciò porta a ripensare gli insegnamenti, l’approccio e la didattica da adottare. Oggi gli insegnamenti che afferiscono al management e all’imprenditoria dello Spettacolo non possono prescindere
dalle politiche europee per la cultura e lo Spettacolo, così come dall’analisi dei reali fabbisogni del mercato.
È necessaria una ridefinizione delle figure professionali dello Spettacolo che passi per la “ibridazione” delle
competenze umanistiche con quelle tecnico-scientifiche. Occorrerebbe probabilmente una ridefinizione dei rapporti tra gli Atenei e le imprese in un’ottica di co-progettazione che abbia ben chiara la relazione, nel settore, tra pubblico e privato. Si dovrebbe, ad esempio, pensare anche alla formazione degli operatori pubblici destinati al settore, data l’assenza di scuole o percorsi con tali caratteristiche. Potrebbe forse essere compito della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali, emanazione del MIC, al momento orientata prevalentemente a intervenire nel campo dei Beni
Culturali. Altra questione importante esplosa con la pandemia riguarda la crisi occupazionale. Molti contratti a tempo determinato non sono stati rinnovati.
È altissima la percentuale dei lavoratori autonomi che sono stati espulsi dal mercato. Con la ripresa delle attività si auspica, anche dal punto di vista etico, il loro reinserimento. Ma rientrare nel mercato significherà tornarci con un’impostazione diversa perché le nostre professioni saranno necessariamente, almeno in parte, cambiate. Spetta alle università e alle Regioni una maggiore capacità di ascolto della realtà del settore. Forse nei prossimi anni ci sarà assai meno bisogno di nuovi operatori ma servirà ma un’attività formativa basata sull’aggiornamento e il perfezionamento delle competenze. Dobbiamo considerare che sta per essere avviato il nuovo ciclo di programmazione comunitaria nel quale la cultura avrà una funzione importante, dobbiamo altresì considerare il dettato del PNRR Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in previsione della nuova linea di finanziamento Next Generation EU.

La pandemia ha acceso
i riflettori su un mondo
i cui problemi legati al
lavoro si trascinano da
decenni

Cambieranno sicuramente modelli legislativi e organizzativi. Come dovrebbe cambiare il rapporto tra istituzioni pubbliche e private?
Il rapporto tra pubblico e privato va riaffrontato con riguardo alle relazioni tra istituzioni pubbliche e private e ai modelli di governance. Tali rapporti, la cui revisione è già in atto da qualche anno, vanno rafforzati soprattutto sul versante dell’innovazione, ad esempio sul versante sociale e per quanto concerne il rapporto con il territorio. Il confronto tra i due momenti è ora più che mai necessario e dovrebbe entrare nell’agenda politica con maggiore evidenza.

Il mondo politico pare si sia sensibilizzato ma ci si chiede quale sarà la risposta del pubblico nello scenario post-Covid-19. Lei crede che ci sarà un pubblico nuovo? Cambierà la funzione educativa dello Spettacolo, i suoi benefici psico-fisici e la sua grande influenza sul concetto di comunità e civiltà?
Quanto sta accadendo vede una ricaduta importante sulla concezione del ruolo dello Spettacolo e della sua funzione. Il diffondersi, anche nello Spettacolo dal vivo del ricorso allo streaming – peraltro dando luogo anche a prodotti di alto valore innovativo – comporta ovviamente dei cambiamenti nella percezione di questo linguaggio e delle sue modalità di fruizione. Attualmente non abbiamo strumenti sufficienti per dare una valutazione sul fenomeno. Gli effetti si coglieranno nel corso degli anni. Pensando al teatro destinato agli adolescenti, alle scuole, plausibilmente potranno esserci, nel tempo, ricadute negative legate all’impossibilità per due anni accademici di entrare in contatto con il mondo dello Spettacolo dal vivo e di avvicinarsi ad esso. Complessivamente quanto sta accadendo potrà forse causare un ulteriore allontanamento del pubblico, la cui frequentazione agli spettacoli già prima della pandemia si attestava agli ultimi posti a livello europeo.
Apprendiamo dai dati ISTAT che nel 2018 solo poco più del 20% della popolazione aveva assistito nell’anno
precedente ad uno Spettacolo teatrale o a un concerto di musica, escludendo la musica classica, il cui dato
si ferma al 10%. Avevamo già prima la cognizione del “non-pubblico” che le politiche di audience development avrebbero dovuto avvicinare. Ci si domanda ora se il “non-pubblico” sia ancora più lontano. Dai dati Siae del 2020 apprendiamo che sono mancati rispetto all’anno precedente tra concerti e teatro circa 29 milioni di biglietti, per un totale di oltre 730 milioni di Euro.
Non sappiamo se la riapertura dei teatri e degli altri spazi di Spettacolo farà tornerà tutto come prima. Sicuramente ci sarà un pubblico più fidelizzato che tornerà volentieri, ma non è dato sapere la risposta del pubblico occasionale. È probabile che il pubblico dei concerti di musica rock e pop tornerà, ma che ne sarà della lirica e del suo pubblico mediamente assai adulto? Il rapporto con gli spettatori dopo il Covid sarà plausibilmente più difficile. Riguardo la piattaforma voluta dal ministro, la It’s Art,detta anche “Netflix della cultura”, non si ancora molto rispetto ai programmi.

Nel 2017 con la Legge n. 175/2017 era finalmente iniziata un’importante opera di riforma la cui concreta attuazione è stata, però, bloccata dalla pandemia. A che punto siamo in tal senso e secondo Lei quali sono le linee-guida che il legislatore dovrebbe seguire per rendere esecutiva la nuova normativa?

Lo Spettacolo dal vivo è da anni in attesa di una legge. Dopo la “legge madre” 163/1985 istitutiva del F.U.S
Fondo Unico per lo Spettacolo si è rimasti in attesa delle “leggi figlie” di settore. La risposta importante per lo
Spettacolo dal vivo è stata la Legge Franceschini, ossia, la Legge 175/2017 Disposizioni in materia di Spettacolo
e deleghe al Governo per il riordino della materia,
una legge i cui principi rispecchiano l’esigenza di innovazione di cui parlavamo prima. Ad oggi la legge, che dovrà condurre al cosiddetto Codice dello Spettacolo, non ha seguito l’iter previsto a causa di cambi di governo prima e della pandemia poi. Di recente il Ministro della Cultura Franceschini ha viceversa annunciato l’intenzione di presentare un disegno di legge collegato alla legge di Bilancio 2021 che consentirà la ripresa del percorso. Tuttavia, dal 2017 sono cambiate molte cose. A partire dalla consapevolezza delle istanze dei lavoratori di cui i prossimi provvedimenti – sempre il Ministro ha riferito – terranno decisamente conto. Nell’ultimo anno abbiamo assistito all’emanazione di molti provvedimenti a supporto delle imprese di settore e dei lavoratori, di
carattere emergenziale, e come tali vanno considerati. In una prospettiva futura il concetto di sostegno dovrebbe essere sostituito da una visione di investimento, che ricomprenda la qualità della proposta culturale ma anche l’occupazione e l’assetto gestionale delle imprese.
Si auspica non una ripartenza bensì un rilancio, stante la consapevolezza del ruolo economico e sociale riconosciuto alla cultura e allo Spettacolo, in primo luogo a livello europeo come sottolineato nella recente Risoluzione del Parlamento Europeo sulla Ripresa Culturale dell’Europa. Le ultime vicende che hanno coinvolto il mondo dello Spettacolo hanno proposto nuovi paradigmi di riferimento; non siamo in attesa di una ripresa ma di una ricostruzione. Lo Spettacolo, per utilizzare una definizione di Nassim Taleb che bene si adatta al futuro che vorremmo, dovrà scoprirsi “antifragile.

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