“Cirano deve morire” al Teatro Vascello Di Roma

4 Dicembre 2022

In scena da martedì 29 novembre a domenica 4 dicembre, presso il prestigioso Teatro romano “Il Vascello”, lo spettacolo “Cirano Deve Morire” di Leonardo Manzan e Rocco Placidi, diretto da Leonardo Manzan ed interpretato da Paola Giannini, Alessandro Bay Rossi e Giusto Cucchiarini con le musiche originali di Franco Visioli ed Alessandro Levrero eseguite dal vivo da Filippo Lilli.

A volte – ma non in questo caso, è bene chiarirlo subito – l’innovazione, o il tentativo di essa, in Teatro in particolare o nelle Arti in generale, può pericolosamente puzzare di stantio e non è infrequente imbattersi in prodotti fatti e finiti che abbiano la presunzione di vendersi al pubblico come sconvolgenti e totalmente originali senza però raggiungere né l’uno né l’altro risultato.

Bene: lo spettacolo che, invece, risulta essere l’oggetto di questa recensione, a differenza degli anonimi “colleghi” solo evocati e non citati, può fregiarsi di una reale patente di freschezza e novità, pur – convinzione assolutamente personale della firma a calce dell’articolo – non essendo partito da codesti presupposti rivelatisi poi risultati quanto invece – altro convincimento del “recensore” – dalla necessità di fare a pugni con la durezza, l’ingiustizia, il tormento e l’estasi del sentimento per definizione più atroce di tutti, declinato nel mito inscalfibile di un personaggio francese famoso per il suo talento poetico, il suo coraggio monco e la sua protuberanza nasale di difficile equivocabilità.

“Cirano deve morire – Uno spettacolo concerto al vorticoso ritmo della musica Rap”, vincitore del Bando Biennale College indetto dalla Biennale Teatro di Venezia 2018, è un lavoro per certi versi rivoluzionario senza per questo far saltare alcuno schema prestabilito o senza la caratteristica di aver inventato alcunché: questa riscrittura scenica del testo di Rostand “semplicemente” rimette la volontà di condivisione, di crescita collettiva e di partecipazione attiva – di cast artistico e spettatori, si intende – al centro dell’esperienza teatrale consentendo a tutti i presenti di essere parte delle vicende di tre fanciulli sovrastati dalle loro stesse esistenze, dai loro sistemi ormonali in subbuglio e dagli innamoramenti che passando dagli occhi si trasferiscono alle orecchie prima e ai lobi temporali dopo (leggere l’opera per comprendere il riferimento), alterando i destini degli esseri umani coinvolti in certi intrecci amorosi. E non solo i loro, ma, piuttosto anche quelli di tutti gli esseri viventi che seguono i malumori del personaggio che dà il titolo alla pièce, della donna desiderata (Rossana) che in questa versione offre prepotente e finalmente libera dal mero ruolo di oggetto del desiderio il proprio punto di vista e del giovanotto dal sorriso smagliante – Cristiano – descritto come grossolano ed invece in possesso di una sensibilità che nulla ha da invidiare al suo collega/nemico più accreditato in fatto di poesia.

“Cirano deve morire” è uno spettacolo che a partire dalla forza urticante e ribelle del Rap – utilizzato per quasi tutto il tempo della rappresentazione – si offre in pasto ai suoi ascoltatori/osservatori come un grido di solitudine e di paura, ben conscio che l’attrazione a buon fine, la comunione di amorosi sensi e l’organizzazione per coppie della società rappresentano la meraviglia e l’eccezion ben più di quanto la semplice apparenza e l’osservazione non approfondita della società vorrebbero farci intendere, mettendoci così nell’odiosa condizione di considerarci incompleti in assenza di  un’altra metà tanto desiderata quanto paurosamente complicata da mantenere. A maggior ragione, se raggiunta, quando raggiunta.

Insomma, Manzan e Placidi architettano con le loro parole – coadiuvati dalle voci degli interpreti e dalle note del compositore e dell’esecutore live – un mondo che lo stesso Manzan poi provvede ad incanalare in un’atmosfera di gioiosa spettralità. Non c’è salvezza nel lavoro in questione, ma non l’hanno vinta neanche le tenebre.

C’è solo un senso di sconfitta che, ad ogni modo, fiorisce tra i giorni vissuti nella speranza di ottenere quello che si vuole e che non necessariamente devono essere associati ad un misero pensiero di fallimento.

D’altronde la vita non ti dà quello che sogni, ma quello che vuole.

L’importante – come diceva Beckett nel suo “I tried. I failed. Doesn’t matter. I try again. I fail Again. I fail Better” – è non smettere di provarci.

Pare.

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