Tra rito e sogno. Scaldati secondo Cutino

8 Dicembre 2022

Lo Spazio Franco di Palermo ha ospitato per la seconda volta, nell’ambito del Festival delle Letterature Migranti, sezione Art&Theatre, un recente lavoro di Giuseppe Cutino: Totò & Vicè, del drammaturgo palermitano, e voce di Palermo, Franco Scaldati. È un’Operina musicata per ombre e voci che il regista porta sul palco, un concertino di opposizioni qui incredibilmente tenui: luce e ombra, silenzio e voce, parola e musica si compenetrano in una suite nostalgica e ben cadenzata. Nel loro reciproco compenetrarsi, Cutino istruisce i momenti di una delicata cerimonia funebre: attraverso il suo intervento il testo scaldatiano si offre anzitutto come omaggio alla morte, ovvero a quanto resiste oltre la vita.

La vicenda di Totò e Vicè, vicini anche oltre la loro fine, viene introdotta da Sabrina Petix ed Egle Mazzamuto: racconto e canto si levano in un’oscurità quasi totale, accompagnati dal suono di Maurizio Curcio e dalla fisarmonica di Pierpaolo Petta. Le due donne filano, sedute in corrispondenza dei due rialzi posti sul fondo della scena: sono le Moire popolari di un destino ignoto, della storia che dipanano tra le dita. Totò (Rosario Palazzolo) e Vicè (Anton Giulio Pandolfo) entrano in scena indossando abiti smisurati. Alla stentorea e più brusca vocalità del primo, corrisponde la più ingenua, stralunata espressività del secondo. Il dialogo tra i due, uno sciorinarsi di paradossi nei quali soltanto è possibile la verità (e soltanto agli umili), è agito tra pose e movenze aperte e agili, quasi funambolesche.

Cutino intrattiene con il testo scaldatiano un rapporto più libero con quanto restituito, forse ormai canonizzato, dalla tradizione. Seppur nel rispetto della lingua poetica, il regista non teme di declinare il dramma in forme più aperte alle possibilità dello spettacolo. Il commento musicale, comprensivo di sonorità rock e canto campionato dal vivo, la gestualità degli interpreti, liberi di vagare sul palco in tutta la sua estensione, animano la parola attutendone il significato e la carica evocativa; il carattere surreale, tipico della poesia di Scaldati, qui scaturisce piuttosto dall’adozione di – comunque validi – espedienti scenici.

In questo Totò e Vice la regia di Cutino cerca il rito, e lo trova. Lo trova nella disposizione misurata di lumini lungo la scena; lo trova nella vestizione dei protagonisti, defunti loro malgrado; lo trova nella preparazione del loro letto di morte, sullo sfondo di un lenzuolo sospeso come un drappo; ma soprattutto, lo trova nella circolarità ponderata intorno alla quale il regista ha strutturato i momenti della sua liturgia. È una nuova, più fresca, possibilità.

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