Cosa resta del mito. Beuys a Palermo

8 Dicembre 2022

Alla Haus der Kunst di Palermo, nei Cantieri Culturali alla Zisa, si è tenuta tra ottobre e novembre la collettiva Kontext Beuys, curata da Haus Der Kunst. La mostra è stata concepita come un momento di riflessione intorno all’eredità di uno degli artisti più significativi del secondo Novecento, Joseph Beuys, in occasione del centenario della nascita. Alcune sue opere, provenienti dallo Stadtmuseum di Düsseldorf, sono state posto a confronto con gli interventi di cinque artisti e artiste contemporanee attive a Palermo (Andrea Cusumano, Adriano La Licata, Federico Lupo, Blanca Matìas, Giulia Sofi).

Tornare a Beuys e ai suoi manifesti, alle sue inclassificabili poetiche, costringe all’adozione di uno sguardo critico, di una lente attraverso la quale considerare il lascito tramandato. La stampa Kunst-Kapital, memoria di una “lezione” tenuta da Beuys in occasione della settima Documenta di Kassel, appartiene alla serie di incontri pubblici da lui organizzati sul ruolo dell’arte e dell’artista nella società capitalistica. Nella mostra palermitana, essa sembra il documento di un’utopia mancata: ma è proprio in questo il valore precipuo dell’allestimento. La selezione di opere, differenti per temi, tecniche e supporti, ha per l’osservatore il senso di un archivio eterogeneo – come, d’altronde, eterogenea era l’attività dello stesso Beuys – ma ragionato e, attraverso il dialogo con opere di età successive, ne problematizza l’appartenenza a uno specifico contesto storico.

Tra i molti possibili spunti, comprendere quanto l’arte dello sciamano neoavanguardista sia ancora strumento di comprensione del contemporaneo, è senz’altro una questione significativa. La risposta viene proprio dallo sguardo degli e delle artiste viventi ospitate dalla mostra, e oscilla tra continuità e aperto contrasto. Insomma, il dibattito è aperto. Così, le installazioni di Andrea Cusumano, eleganti specchi dai quali emergono immagini messianiche o sui quali sono stati appesi crocifissi, forse possono ancora presentarsi come riflessione sul sacro e sul santo. Ma se Beuys si era autoinvestito di crismi sovrumani, l’allotropia cui ci invita Cusumano ci ricorda maggiormente le analisi spaziali di un Pistoletto. Sulla linea dell’aperta continuità si pone invece Giulia Sofi con il suo Fiiiuuumm, una foresta di tronchi di alberi arsi dal fuoco, esposti tra fruscii e sibili. Nell’ambiente sonoro sembra riverberarsi il senso del rapporto uomo-natura, tra i motivi fondamentali dell’opera di Beuys. Un punto davvero attuale, questo, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti.

Un discorso a parte merita la performance Come spiegare il femminismo a un merluzzo morto, di Blanca Matías, ispirata alla celebre Come spiegare i dipinti ad una lepre morta (Wie man dem toten Hasen die Bilder erklärt) di Joseph Beuys (1965). Nel corso di questo intervento Beuys, il volto cosparso di miele e foglia d’oro, teneva in braccio la salma di una lepre: al cadavere l’artista parlava e mostrava i dipinti della galleria Schmela di Düsseldorf, luogo della performance, con l’atteggiamento di chi impartisce una lezione. Qui si raccoglieva l’universo del performer, nei suoi simboli più ricorrenti: tra gli altri, la lepre, animale sociale e ricettivo, metafora della vitalità della natura, o il miele, materia organica fluida e nutriente; ma soprattutto, a invadere l’ambiente era l’esuberanza di una presenza avvertita dagli osservatori come religiosa, eccedente. Matías sceglie la via della re-interpretazione: volto dipinto di nero, grembiule rosso gommato, in mano un merluzzo al quale, seduta al sommo di un’impalcatura metallica, la performer elenca nomi di artiste scritte su vari fogli. Il suo è un intervento femminista, volto a fare luce sul buio che circonda le professioniste spesso escluse dalla storia ufficiale, dal manualismo fallocentrico. Ma la riscrittura di quanto è irripetibile per eccellenza, appunto l’atto performativo, fino a che punto è nuova scrittura? Manca il carisma che lo sciamano e i progressisti di allora vollero attribuirsi e attribuire alla persona dell’artista. Semplicemente, dopo il crollo delle utopie, siamo forse disposti a crederci un po’ meno.

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