Un principe in arte Totò, Re di Napoli e della risata

20 Gennaio 2023

«Signori si nasce ed io, modestamente, lo nacqui», un tuffo nell’intima verità di queste iconiche parole.

Di Totò è stato detto tanto, se non tutto, ma lo spettacolo di Antonio Grosso, andato in scena per la prima volta nel 2021, ora riproposto tra i suggestivi vicoli di Trastevere nella sala del giovane teatro OFF/OFF, ha una marcia in più: un perfetto equilibrio nel raccontare Totò uomo, ribelle scugnizzo del rione Sanità con il desiderio di diventare un comico di fama mondiale e Totò maschera, con quel noto talento e quelle eccentricità, fisiche e caratteriali, tali da avergli procurato un ruolo di prim’ordine nella storia culturale del nostro paese e l’appellativo di ‘principe della risata’; un doppio pasolinianamente ritenuto la sublimazione con cui «Totò è riuscito a fare il cliché di Totò»:

«I poli di Totò sono: da una parte questo suo fare da pulcinella, da marionetta disarticolata, dall’altra è un napoletano buono, realistico. Questi due poli sono estremamente avvicinati da fondersi continuamente. È impensabile un Totò buono, dolce, napoletano, bonario, crepuscolare, al di fuori del suo essere marionetta»

Ma chi era Totò prima del successo?

Era già Totò, nomignolo datogli amorevolmente dalla madre in tenera età: Antonio de Curtis, figlio illegittimo della nobiltà napoletana che Mammà voleva sacerdote, da subito lascia il posto al sognatore, soffocato dalle velleità passionali rivolte al teatro, sviluppatesi in lui fin da giovanissimo.

Nella semplicità di una scenografia realizzata solo con diverse giacche appese e due sedie, il registra, allo stesso tempo interprete del protagonista, accompagnato dalla talentuosa spalla Antonello Pascale, nei panni della madre, del maestro, del datore di lavoro, del medico e di ogni figura d’impatto nella cornice pubblica e privata dove Totò ha mosso i primi passi, con cui mai si sfiora, mantenendo simbolicamente la distanza tra il comico e la società napoletana, ripercorre il lungo e difficile cammino che l’attore, come chiunque, anche al giorno d’oggi, abbia l’aspirazione di vivere d’arte e creatività, ha intrapreso fino a diventare colui che ha suggestionato e profondamente fatto ridere, prima di noi, i nostri nonni; gettando luce sul rapporto madre-figlio e sul legame che più di tutti ha inciso, graffiandolo, l’animo del protagonista, quello con le sue radici, Napoli.

Come una madre è facile peccatrice d’incomprensione, dura e ingiusta con i figli, anche Napoli lo è stata inizialmente con l’esordiente Totò, che ha cercato con i suoi primi spettacoli di farsi amare e coccolare dal grembo natio, esibendosi in impeccabili imitazioni del comico Gustavo De Marco, senza riuscirci.

Napoli non era ancora pronta a Totò, ma il resto dell’Italia si, e solo dopo aver raggiunto il comprovato successo, l’attore, non senza paure, ha il coraggio di tornare dalla madre matrigna e trasformarla in benigna, orgogliosamente riscattandosi proponendo, di nuovo, la sua imitazione di De Marco.

La narrazione proposta da Grosso sembra aver poco della biografia storica: è a tutti gli effetti una fiaba, un racconto di formazione, dai ritmi serratissimi, di un antieroe che insegna a perseverare coraggiosamente senza fermarsi mai, a lavorare per raggiungere il destino che ci aspetta, dove non arriviamo senza sforzi.

Un omaggio studiato, in onore di Totò, trasformatosi, ai nostri occhi, in un omaggio anche all’autore, risultando una notevole esplicita conferma delle sue capacità attoriali e registiche; significativi e determinanti, difatti, sono gli episodi di vita che Grosso decide di mettere in scena; come impeccabili e pertinenti sono gli intermezzi canori delle strofe di canzoni popolari napoletane; siamo stati catapultati nella Napoli del dopoguerra, nella Napoli di Lila e Lenù della Ferrante, e non ci sorprende che sempre dalla povertà e dalla purezza nascono  le grandi storie di riscatto.

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