Dr. Jekyll e Mr. Hyde, un caso non più così strano

2 Febbraio 2023

«Essere ciò che siamo, diventare ciò che siamo capaci di diventare, questo è il solo fine della vita» (Stevenson); chi è l’uomo senza repressioni? Stevenson, prima di Freud, aveva già risposto.

Con il consacrarsi della psicanalisi freudiana come pratica condivisa dalla comunità psico-terapeutica, l’eterna lotta tra Eros e Thanatos, ES e Super-io, ragione e passione, che la letteratura ottocentesca aveva poeticamente definito ‘doppio’, è diventata culturalmente una realtà nota a tutti; le sue bibliche battaglie si sono umanizzate, perdendo quelle magiche suggestioni e quel mistero che la sua oscura natura ha reso creativo terreno fertile per poeti e scrittori.

Testimone di questa perdita di intimo sublime, a timido parere, sono le contemporanee narrazioni cinematografiche dedicate a chi del doppio ne ha fatto uno stile di vita: i serial killer, dal Silenzio degli Innocenti ad American Psycho, per quanto ci si sforzi di romanzare e di enfatizzare l’interna, ma specialmente esterna, divergenza bene-male dei protagonisti, sembrano ormai un ricordo dei gotici nostalgici del romanticismo letterario le magnetiche confessioni dei personaggi di James Hogg, Oscar Wilde o Dostoevskij.

Nonostante l’attuale comprovata concretezza scientifica di ciò che in questi romanzi sembrava innaturale, prodotto di qualche strano sortilegio, opere come queste ancora non hanno perso il loro alone suggestivo, ne è prova l’adattamento di un’ora e mezza, con la regia di Matteo Tarasco, del romanzo emblema universale del tema del doppio, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde di Robert Louis Stevenson, liberamente ispirato al pioniere Hogg, che, rivestendo di tenebra le pareti del Teatro Ciak, ha reso possibile tornare a sorprendersi per l’aterreo labirintico sostrato della psiche umana che ora abbiamo la pretesa di saper curare e coltivare.

Ad accompagnare l’intero allestimento è la costante riproduzione sonora di tuoni e lampi; scandendo il tempo, lo ritma, anche allorquando dei prolungati tempi morti tra una battuta e l’altra hanno verbalmente cristallizzato lo spazio scenico, e con lui lo spettatore; uno spazio gotico, romantico, in cui si alternano tre ambienti della casa del Dr. Jeckyll (Ruben Rigillo), di giorno celebre scienziato e benefattore, proprietario di una scuola da lui fondata per garantire il diritto allo studio ai meno abbienti, di notte carnefice, lascivo e amorale: biblioteca, esterno del palazzo e il suo laboratorio; essenziali i primi due, caotico il terzo, essendo luogo del caos stesso, dell’incarnazione del male dentro di lui. 

Quando si apre il sipario il protagonista è già conscio del suo demone, e del suo crescente, inarrestabile, controllo sulla sua civile personalità, causandogli strani comportamenti e dimenticati atti omicidi; dialoga con lui scrivendo su un libro rosso, unica nota di colore tra la grigiastra sala spoglia, ed è solo li, su quelle pagine, che i due mondi si incontrano, come Jung ha dato vita agli archetipi nell’omocromo Libro rosso.

Nemmeno l’incontro e l’affetto per la nuova domestica Mary (Linda Manganelli) potrebbe riuscire a fermare il definito insorgere del mostro, e anche di questo il Dr. Jeckyll è consapevole.

La chimica tra la coppia d’attori, contraddistinti da un’impeccabile scolastica tecnica recitativa, è tale da rendere la rappresentazione tragicamente travolgente, ma al contempo ordinata e disciplinata; vibra delicatamente, ma con carattere, lo ‘sturm und drang’ nel lungo monologo della confessione sulla volontaria creazione di Mr. Hyde; come l’uomo è angelo e bestia, anche la messinscena sembra avere una doppia personalità, mite e tempestosa, un ordito filologicamente accurato,  appagante le fantasie dei gelosi gotici romantici.

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