W am I, non siamo il nostro corpo

8 Febbraio 2023

«Per strada, voglio essere me. A casa, voglio essere me. Nella vita, voglio essere me. Nella performance, devo essere me» (Nunzia Picciallo)

Quando si assiste a una performance come W am I di Nunzia Picciallo, andata in scena il 3 e 4 febbraio a Spazio Recherce, innovativa, col chiaro fine di sensibilizzare al diritto di una personale ricerca della propria identità e alla conseguente liberazione di stereotipi di genere, bisogna stare attenti alla terminologia con cui dopo se ne parla e se ne discute.

«Trasgressiva», questa la probabile risonanza post spettacolo dalle labbra degli spettatori; ma la trasgressione presuppone la necessaria sussistenza di una norma, e la capacità della Picciallo, con i suoi ripetitivi movimenti di una danza priva di genere e classificazione, è stata proprio quella di ricreare un’oscillazione corporea così spontanea e naturale, da ribadire e consacrare la non originaria civile primordialità della cosiddetta norma.

L’artista ci ha accolti di spalle, accucciata, con una larga camicia blu cadente morbida su dei pantaloni a quadri, di cui nella seconda parte si è privata per mostrarci la sua fisicità non binaria, in un ambiente neutro, bianco, atemporale, che solamente alla fine, in un atto liberatorio, sporca di vernice con le sue stesse mani; ed è proprio sul candore del muro dinanzi che la sua ombra l’ha seguita per tutta la performance, fedele compagna inizialmente scissa in due, creando con lei un’immagine trina, di carne e anima, simbolicamente personificazione di quella pluralità di essenze potenziali che uomo e donna hanno dentro al di là del loro corpo di ‘uomo’ o ‘donna’.

La prestazione di mezz’ora è anch’essa formalmente divisibile: in una prima parte la Picciallo si esibisce vestita e in seguito, come sovraccennato, si libera di scarpe e camicia, ma i movimenti sono ripetutamente gli stessi; l’artista cammina, poi corre, si sdraia, apre le braccia, alza le gambe, è affannata, esplora lo spazio intorno a sé, come un animale appena uscito dal guscio, il suo è puro ‘Gaga movement language’, essenziale, dinamico e incisivo; a mano a mano sembra liberarsi sempre più della materialità per diventare fino in fondo figlia dell’istinto, servendosi solo di due piccole lampade esalanti luci di colori alternativamente diversificati, sotto i cui riflettori si è lasciata andare in una ‘danza’ psichedelica dai richiami tribali.

Spazio Recherce è diventato quella «stanza tutta per sé» in cui ogni artista ricerca, trova, se stesso, dà ascolto agli indicibili, quanto più intimi, bisogni, sprigiona energia e dà vita alla propria arte; in quella stanza tutta per lei la Picciallo, uscita di scena dal convenzionale palco d’esaltazione di forme e profili fisici, ha oltrepassato il confine del pregiudizio, esterno e interno, decidendo chi essere e chi non essere, mostrando a noi la sua scelta di non scegliere una preimpostata identità.

Con delicatezza travolgente ci ha trasportati nel suo mondo emancipato, rispondendo al Chi, Dove, Quando e Perché del suo lavoro artistico; audace ma riservata, profondamente sensibile, come specialmente chi si imbarazza per i troppi applausi dimostra di essere.

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