Guida al teatro di Harold Pinter

12 Febbraio 2023

Fino al 12 febbraio alla sala Umberto di Roma, va in scena Il Compleanno (The birthday party) per la regia di Peter Stein, maggiore regista italiano ad essersi cimentato nella rappresentazione dei testi del drammaturgo inglese. Ottima occasione per vedere un’opera di Pinter nel suo habitat naturale, il teatro.

Ecco una breve guida orientarsi nel mondo complesso e a tratti poco comprensibile del drammaturgo inglese.

HAROLD VS DAVID

Un giovane uomo degli anni Cinquanta su un palco indossa un completo elegante, ha i capelli neri tirati all’indietro alla moda dei tempi. Sta recitando una parte minore in un dramma borghese. Si fa chiamare con il nome d’arte di David Baron e ha confidato ai suoi compagni di corso della Royal Academy of Dramatic Art di Londra di preferire leggere, non gli piace molto stare sul palco. Durante il suo tempo libero David legge e scrive poesie, queste le firma con il suo vero nome: Harold Pinter.

Quel giovane dall’aria  seria, già adulto come tutti i ragazzi di quei tempi, non sa che di lì a poco, il suo vero nome entrerà a far parte del vocabolario della lingua inglese con una parola intraducibile in italiano: “pinteresque”

Harold Pinter, uno dei massimi drammaturghi del teatro contemporaneo ha iniziato la sua carriera sul palco, recitando come attore e questo suo imprinting sarà fondamentale per formare il drammaturgo, come anche la sua sconosciuta carriera di poeta che ha condizionato lo stile e il ritmo delle sue azioni teatrali.

Per tutte le opere di Pinter, vale una regola: vanno viste a teatro. Lette sulla carta risultano ostiche, labirinti e vicoli ciechi dove si riconosce la forza drammaturgica dell’autore ma spesso si perde il contenuto, tra allitterazioni, giochi di parole, assonanze.

Il teatro di Pinter per essere veramente vissuto ha bisogno di essere interpretato. Il drammaturgo ha bisogno dell’attore. Harold Pinter ha bisogno di David Baron. Questi due gemelli siamesi, divisi dalla parola scritta, potrebbero entrare a far parte della serie assurda e inquietante dei personaggi che animano le opere del drammaturgo inglese.

Spesso definito, l’uomo dell’anti teatro, odiato dalla critica, osteggiato da molti colleghi, che lo accusavano di essere indifferente alla politica. Il teatro di Pinter è politico non nell’azione, ma nella rappresentazione nuda di una borghesia morente e afflitta dal male dell’ipocrisia.

PINTER IL FUORICLASSE DEL TEATRO DELL’ ASSURDO

I testi vanno oltre la definizione di Teatro dell’assurdo, non si trovano nel mondo irreale di Beckett o in quello grottesco di Ionesco. Si trovano nella gabbia della realtà, di solito le sue opere sono ambientate in una normale casa borghese, ma bastano poche battute per far capire allo spettatore che in quella casa, nulla è normale. I personaggi di Beckett sono puri, innocenti, buttati in un mondo dove il senso non esiste, il loro scopo è trovare questo senso, aspettare Godot, anche se  non arriverà mai.

Nelle opere di Pinter, invece esiste un ordine preciso, asfissiante, claustrofobico contro questo ordine si staglia come un kamikaze l’antieroe pinteriano, escluso ed emarginato, con le sue colpe che di solito il pubblico può solo intuire. Lo svolgimento dell’opera appare come una Via Crucis lenta, senza nessuna resurrezione.

Le battute, i dialoghi diventano ambigui, inquietanti, sta per succedere qualcosa, lo sentiamo dalla tensione, dai mutamenti di scena, ma alla fine tutto rimane uguale.

Da dove proviene l’angoscia che si insinua nelle parole, subdola come un gas velenoso inodore che stordisce e chiude lo stomaco? Nessuno può capirlo, ogni tanto viene smorzata da una battuta, un’ilarità che fa sorridere, ma che allo stesso tempo aumenta quel senso di inquietudine e stordimento.

IL COMPLEANNO, REGIA DI PETER STEIN

Il Compleanno, scritto nel 1958 è il primo testo di Pinter a cui seguono altri quattro capolavori: La stanza, Il calapranzi, Il custode, La serra, tutti del 1960.

Ci troviamo nella cucina di una casa, che scopriremo essere una locanda di una zona marittima inglese, Mag (Maddalena Crippa) sta preparando la colazione per suo marito Petey (Fernando Maraghini). Tutto normale, una quotidiana mattinata di due coniugi di mezza età. Lui legge il giornale, lei cucina. Ma qualcosa non quadra, il gas velenoso di Pinter inizia a sprigionarsi nell’aria. Si ride per l’interpretazione di Meg volutamente sopra le righe con un accento del nord pronunciato. Ha qualche rotella fuori posto, forse. Poi dall’unica camera affittata della locanda spunta fuori, Stanley (ottima interpretazione di Alessandro Averone) in pigiama, sciatto, con un’aria da inetto. È lui, l’antieroe pinteriano, il personaggio che deve sfuggire all’ordine claustrofobico dell’ipocrisia, del non detto.

L’ambiguità del rapporto con Meg viene a galla, ma si nasconde dietro i dialoghi, le battute, i gesti. La tensione, il mistero emergono dall’arrivo di due strani personaggi, Goldbert (Fernando Maraghini) e McCann (Alessandro Sampaoli) il primo laido e viscido, il secondo straparlato e pieno di piccole manie. Cosa vogliono? Perché cercano Stanley? Nessuno risponde a queste domande. Come non si sa cosa sia il peccato che deve espiare Stan o quello che deve ancora commettere. Sentiamo il tic tac della bomba risuonare fino all’esplosione durante la festa di  Stanley, un non compleanno grottesco che  nascondo qualcosa di laido e animalesco.

 La violenza esplode a luci spente ai danni di Lulu (Emilia Scatigno). Qui è necessario spendere qualche parola per le figure femminile di Pinter; agnelli sacrificali che è difficile trattare a tutto tondo. In questo caso si è preferito darle una caratterizzazione eccessiva, sopra le righe, da bambola metallica, lavoro interessante, ma che abbassa il colore del carattere del personaggio.

La regia di Stein, ( a parte qualche passaggio, qualche effetto poco riuscito, come il bacio tra Goldbert e Lulu coperto da un lenzuolo bianco, citazione del quadro di Magritte, Gli amanti) si adatta molto bene al testo, esprimendo appieno la drammaturgia pinteriana.

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