“Barbablù” fa la sua comparsa a teatro, per dirci che è ancora in mezzo a noi

13 Febbraio 2023

Una favola dalle chiazze rosse e dalle tinte nere, attuale come non mai. “Barbablù”, il celebre racconto scritto da Charles Perrault e incentrato sulle azioni di un sanguinario femminicida – Gilles de Montmorency-Laval conte de Rais, detto Barbablù, combattente al seguito di Giovanna D’Arco e maresciallo di Francia – è ricomparso nei giorni scorsi a teatro, al Vittoria di Roma, in una originale riscrittura firmata da una donna, Costanza Di Quattro, e interpretata da un uomo dalla barba tinteggiata di blu, Mario Incudine. Alternando recitazione e canto, l’eclettico artista siciliano si è occupato anche delle musiche,  avvalendosi del contributo di un fenomenale polistrumentista, il compagno d’arme Antonio Vasta.  Produzione firmata Teatro della Città di Catania, per la direzione di Moni Ovadia. Regia che ha istruito lo svolgimento intorno a ripetuti cambi di costume del protagonista, ciascuno a identificare il rapporto e l’esito sempre tragico dei rapporti tra Barbablù e le varie donne incrociate sul suo percorso.

Sette le vittime di un personaggio incapace per sempre di superare la perdita della madre, avvenuta al primo respiro del pargolo fuori dal grembo. Figlio non amato, che si fa adulto e colmo di  perfidia, abile manipolatore, incapace di concepire uno scambio relazionale con l’altro sesso. Le donne per Barbablù sono capricci, oggetti di piacere e passione vibrante, ma improvvisamente, da un momento all’altro, la fiammella nel suo cuore si spegne: non servono più, anzi diventano un fastidio o un ostacolo da eliminare, verrebbe da dire “scientificamente”.
Ciascuna di esse mostra aspetti e comportamenti che Barbablù non tollera. Ogni peculiarità femminile delimita un ostacolo all’affermazione virile. Si sente, lui, un amante frustrato. E allora via, a ciascuna decide di recidere il cordone che le lega alla vita. In proscenio Ovadia disciplina il posizionamento di installazioni, opera di Elisa Savi, a simboleggiare simulacri. Diversi uno dall’altro, alludono agli episodi delittuosi e alla sorte delle malcapitate.

Il monologo di Incudine, nel suo svolgersi, inizia dalla fine, dal funerale di Barbablù, arrestato e giustiziato per i suoi efferati e ripetuti atti sanguinosi. Percorso a ritroso di un uomo insoddisfatto e scellerato, amante compulsivo, lucidamente folle, dipendente dalla furia omicida. Che si alimenta in forme sempre diverse, ma con una costanza diabolica e fredda. Esito definitivo rispetto ad un controllo che gli sfugge di mano: lui, il mostro, può solo dominare, dall’altro del suo mastodontico trono. La donna deve essergli sottomessa.

Una vera e propria incarnazione del demonio, descritta e animata da Perrault nel XVII secolo, che – e qui punta la Di Quattro – risulta purtroppo ancora presente e diffuso. Di femminicidio e uxoricidio si legge e si discute praticamente ogni giorno. E, di più, Ovadia e lncudine – alternando la parola al “cunto” che rimanda alla sua Trinacria – trasferiscono al pubblico il messaggio che Barbablù può trovarsi e a piede libero in mezzo a noi, in ogni momento. E’ l’indole malvagia e subdola dell’essere umano, avvezzo alla prevaricazione e al sopruso. Sempre sospeso tra il bene e il male.

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