Parlare di adolescenza, o meglio, di adolescenti, è quasi sempre sinonimo di ‘problema’, si discute sui loro stati d’animo solo quando la loro spontanea voglia di libertà e autodeterminazione contrasta con le aspettative esterne e soprattutto interne, fertili di modelli stereotipati di perfezione irraggiungibile da idolatrare e con cui misurarsi.
L’adolescente ha iniziato da poco a rapportarsi con l’ambiente socio-culturale d’appartenenza, che nell’era della digitalizzazione non è più solo territoriale, ma internazionale, e si pretende da lei e da lui matura consapevolezza delle sue azioni e, in primis, della sua identità.
Infinite e diversificate le teorie psicologiche sullo sviluppo e il funzionamento dei processi cognitivi di questi piccoli uomini, tanta la teoria, poca la pratica, si tende a studiarli meccanicamente, per capire cosa pensano, senza, di fatto, fare ciò che dovrebbe essere prassi naturale e istintiva: parlare con loro e sentire dalla loro voce, cosa provano, immaginano e sognano.
A lasciare spazio alla loro intimità ha provveduto lo spettacolo Mirror, andato in scena il 24 febbraio al Teatro Biblioteca Quarticciolo nell’ambito del festival Fuori Posto-Festival di teatri al limite 2023, scritto e diretto da Emilia Martinelli; un vero e proprio eco delle paure, delle insicurezze e del senso di vuoto e inadeguatezza tipici di quell’età, la cui risonanza ha di certo avuto il potere di far realizzare, a chi ormai quella fase l’ha passata, quanto la negatività giovanile non si abbandoni mai del tutto con la vita adulta, e di come a 12, 16, 17 anni, sia solo più accesa per la tensione alla ribellione non ancora soffocata dalle repressioni in cui l’uomo annega inevitabilmente.
Alex (Michele Breda) e Alix (Jessica Bertagni) sono compagni di classe, amici, complementari l’uno dell’altro: lui introverso, amante della musica, sua arma personale contro i silenzi e i rumori dei pensieri, ama mangiare, vuole bene ad Alix, oltre a questo non sa come definirsi; lei si chiama Alice, ma non accetta sia stato qualcun altro a scegliere il suo nome, così, si fa chiamare Alix, dinamica ma profondamente fragile, e, a pare suo, inadeguata.
È Alix, ispirata dal romanzo Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò di Lewis Carroll, a proporre ad Alex di attraversare lo specchio per parlare proprio con lei, Alice, la ragazzina arrivata al termine delle sfide, che sembra sapere quali mezzi usare per conoscere se stessi.
Quella che si presenta come una realistica messinscena, una classica storia di formazione, si trasforma in un racconto fantastico, un fresco, giovane, allestimento in cui la fantasia è resa visibile grazie alla tecnologia.
I due, in abiti casual, diventano macchie di colore che si muovono sullo sfondo della parete nera, animatasi all’accendersi di luci stroboscopiche e dell’istallazione digitale a blocchi di cornice bianca, usata per riprodurre le testimonianze di Viola Bufacchi, Elsa Ceddia, Lukman Cortoni, Alessio Falciatori, Anna Profico e Daniele Prosperococco, giovani scissi, come i blocchi da cui parlano, tra senso di inadeguatezza e senso di maturità.
A rendere impattante, emotivamente, lo spettacolo è proprio la malinconica sincerità della voce di questi ragazzi e ragazze:
-Chi siamo?- è una domanda scomoda, da porre, ma soprattutto da porsi, la ricerca sul campo, poco scontata, diventa specchio dell’intero pubblico, perché in fondo, nessuno arriva mai a conoscere se stesso.