«Fare piangere è meno difficile che far ridere. Per questo, teatralmente parlando, preferisco il genere farsesco. Io sono sicuro che il dramma della nostra vita di solito si nasconde nel convulso di una risata provocata da un’azione qualsiasi, che a noi è sembrata comica» (Peppino De Filippo)
Peppino De Filippo, accanto a Totò, è stato la commedia napoletana degli anni cinquanta e sessanta; una commedia tragicamente realistica, un ritratto della dismessa condizione del sottoproletariato italiano, esorcizzato dal puro divertimento a cui il pubblico non poteva non lasciarsi andare assistendo alle gag farsesche del De Filippo commediografo.
Una risata pura, la sua, mai borghese, rivolta a tutti, che genuinamente e non inaspettatamente abbiamo ritrovato nell’adattamento di Miseria Bella con la regia di Roberto D’Alessandro, andato in scena al Teatro Nino Manfredi di Ostia, con i noti talenti di Francesco Procopio e Enzo Casertano nei panni, rispettivamente, di Eduardo e Vittorio. Un rifacimento contaminato con un altro atto unico del De Filippo, Don Raffaele ‘o trombone, un’unione morale scenograficamente accurata e non banale, che a pieno ricrea, conservandolo, lo spirito burlesco dell’autore originario.
Si apre il sipario, ed è subito risata: Eduardo e Vittorio sono a letto, buffamente abbracciati, si svegliano e ci raccontano, raccontandosi tra loro, lamentandosi della misera condizione di artisti falliti che li accomuna, costringendoli a vivere in uno scantinato milanese con poco cibo. Eduardo non ha ancora perso le speranze e si lascia andare in brevi prove canore e coreografiche da lui scritte e composte per le fantomatiche sette opere teatrali che prima o poi realizzerà.
Per inseguire le sue ispirazioni creative coinvolge il fratello in situazione e relazioni bizzarre ed eccentriche, con personaggi ancora più bizzarri ed eccentrici, quali Giulia (Loredana Piedimonte), una cantante squattrinata, il padrone dello scantinato (Giuseppe Cantore), innamorato di Vittorio, e un produttore teatrale (Geremia Longobardo), professionale ma non troppo.
Un allestimento dalla verve cabarettistica incalzante, una spassosa catena di gag e giochi di parole, saldamente ancorate alla trama narrativa con la tecnica della ripetizione, cara alla tradizione comica; una farsa dall’umorismo solo a tratti esasperato, elegante grazie alla professionalità attoriale di Procopio e Casertano, comici che, parafrasando Alberto Sordi, “scherzando, sono seri”, nello sguardo e nella gestualità tra una battuta e l’altra.
Scenograficamente mai si esce mai dallo scantinato, salotto-cucina-camera da letto, un ambiente unico dai tratti moderni, che insieme ai riferimenti verbali culturali, collocano la vicenda nella Milano del 2023, descrivendo, l’ancora attuale realtà della migrazione interna da Sud al Nord; dal meridione si sale in cerca di fortuna, una fortuna che a quanto pare, né a Nord né a Sud spetta ai lavoratori dello spettacolo, e D’Alessandro, così, ha portato in scena un altro tema caldo, ancora oggi; ma non è la critica socio-culturale a essere obiettivo dello spettacolo, la satira è leggera, vive in funzione della risata, una risata per evadere dalla realtà, non per denunciarla.
Un solo atto per svagarsi e assaporare, ricordando, la genialità di Peppino.