Ezio Schiavulli sarà in scena a Bari al Festival DAB 2023 con “Heres: nel nome del figlio”, una creazione che coniuga danza, mito e società

5 Aprile 2023

In occasione della replica della sua creazione Heres: nel nome del figlio al festival DAB di Bari il prossimo 28 aprile il coreografo pugliese Ezio Schiavulli narra con la sua danza il complesso rapporto con la figura paterna trasponendo il mito classico nella società contemporanea.

Ezio, Heres: nel nome del figlio è la creazione con cui lo scorso anno ha vinto il Premio Danza&Danza nella categoria autore/interprete, ex-aequo con Boris Charmatz. Te lo aspettavi?

È stato un riconoscimento sorprendente, assolutamente inatteso, che ha reso me e i miei colleghi in scena, Dario De Filippo e Donato Manco, batteristi della stessa creazione, ancor più orgogliosi e fiduciosi verso questo progetto che racchiude un lungo processo di ricerca, su diversi punti di vista: concettuali e psicologici, coreografici, musicali e drammaturgici.
Sostanzialmente una bella sorpresa che mi motiva ad esplorare territori artistici sempre più ermetici e ignoti. È un riconoscimento che voglio condividere con tutte le figure professionali che mi sostengono e che credono nel mio lavoro giorno dopo giorno.

Mi lusinga la correlazione, che la giuria di Danza&Danza, ha fatto tra il mio lavoro e quello di Boritz Charmatz, un coreografo tanto affermato e dal percorso artistico di notevole spicco, una personalità della danza che stimo moltissimo e che ho avuto modo di conoscere anni fa a Parigi.

La tua creazione affronta il tema del rapporto padre-figlio dal mito classico fino ad un’analisi sociale contemporanea. Come mai questa scelta?

Quando mi è stato chiesto di tornare in scena mi sono posto diversi quesiti sulle tematiche e le motivazioni che avrebbero giustificato questa scelta. Non volevo che fosse solo una volontà estetica e/o narcisistica.
A questo proposito ho concentrato le mie riflessioni facendo un bilancio di vita personale, quello che spesso capita di fare alla soglia degli “anta”.
Il rapporto con mio padre, persona complessa, artista, musicista, batterista, per me un tassello ancora troppo incompreso e irrisolto. Non che con questo lavoro tutto sia diventato limpido, ma ho analizzato me stesso, lui e il “noi” da molti aspetti. Ne ho approfittato per osservare questo “noi” anche da un punto di vista sociale e antropologico, allontanandomi dal nostro modello.
Da subito, è apparso nella mia ricerca un inevitabile parallelo: la condizione psicologica e lo studio dei diversi comportamenti, definiti in ambito psicologico “complessi”.
Nella psicoanalisi, il complesso di Edipo e il complesso di Telemaco, raccontano attraverso due figure emblematiche della mitologia greca, il rapporto padre-figlio con analisi e conclusioni opposte tra loro.

Inoltre, l’analisi dell’identità dell’erede, scandito da colui che riceve e colui che cede, mi ha permesso di indagare sul “quando” e sul “come” queste  figure iniziano a dialogare inevitabilmente tra loro durante il percorso di vita.
È stato estremamente interessante analizzare tutto ciò sotto diversi aspetti e estrapolarne il senso, per trasportarlo nella costruzione drammaturgica articolata dalla composizione coreografica e musicale.
Step by step, nelle diverse fasi della creazione il lavoro ha preso una direzione specifica: la volontà di raccontare questo rapporto partendo  dallo sguardo del figlio, dell’erede, di colui che riceve. E così, in tutta chiarezza ha preso vita anche il nome: Heres: nel nome del figlio.

Ci sono altre tematiche che ti piacerebbe affrontare nei tuoi prossimi lavori?

Da sempre sono affascinato dalla condizione psicologica degli individui, è qualcosa che non riesco a scegliere, è come se la tematica stessa scegliesse me.
Nelle mie creazioni ho esplorato diversi formati, con un numero vario di interpreti e molto spesso mi sono ritrovato a concentrarmi su questioni psico-sociologiche. Nell’anno 2022 abbiamo presentato HERES e qualche mese dopo, JEUX DE SOCIETE, un lavoro per 6 danzatori. Quest’ultimo lavoro si focalizza sulle dinamiche sociali e la filiazione. Un parallelo tra l’analisi trascendentale e le regole, le strategie nei giochi. Come si costituiscono i legami e le rotture all’interno di un gruppo.
Due lavori assolutamente diversi ma che inevitabilmente creano un filo conduttore tra loro.  
In seguito a due importanti produzioni, credo di non lanciarmi immediatamente su un nuovo progetto ma ho bisogno di far vivere i lavori prodotti e far sedimentare tutto questo processo che ha sovrapposto riflessioni ed energie durante lo scorso anno. Non nascondo che le tematiche che ho affrontato hanno suscitato altre riflessioni e curiosità che mi spingono, adesso, verso nuove tematiche che mi piacerebbe iniziare a indagare, incontrando esperti e professionisti di diversi settori (fisici, psicologi e sociologi)…

In Heres: nel nome del figlio sei stato coreografo e interprete. Che differenza c’è tra creare per altri danzatori e creare per sé stessi e come convive questa duplicità nel tuo lavoro?

Sono due ruoli che implicano uno stato psico-fisico assolutamente diverso. Quando questi devono coabitare insieme, nella stessa persona, per un periodo più o meno lungo, che va dalla ricerca alla presentazione al pubblico, le cose si complicano. Sorrido, ma sono assolutamente cosciente che non è facile coordinare e armonizzare per molto tempo queste due identità professionali.
L’essere autore porta con sé un lungo bagaglio di ricerca e di costruzione architettonica della creazione con una concentrazione dedicata al senso che muove tutto il processo creativo. Il danzatore o meglio, l’interprete, mette a disposizione completamente sé stesso, dal punto di vista intellettuale e fisico, dall’autore alla scena, verso il pubblico.
Questo è stato per me un lungo viaggio, spesso non semplice, innanzitutto perché affrontavo delle tematiche che mi toccavano personalmente e che restano ancora molto vivide. Inoltre, mettersi nuovamente in gioco fisicamente verso un lavoro tanto esigente mi ha richiesto una preparazione fisica non indifferente che dovevo imporre a me stesso, motivandomi quotidianamente e in solitudine. Allo stesso tempo coadiuvare una serie di riflessioni verso la drammaturgia e la costruzione della pièce. Senza dimenticare i diversi ruoli paralleli che racchiude un coreografo, come coordinare le volontà e i bisogni degli altri interpreti, i batteristi in questo caso, e l’impegno e la gestione della compagnia che naviga parallelamente all’universo artistico.   
Non è stato un viaggio sicuramente facile ma sono felice di averlo attraversato in questo modo e con questa determinazione.

Perché hai scelto di far confrontare il tuo assolo con due batterie in scena e che legame hai creato con la musica?

La batteria è stato lo strumento musicale evidente, nel momento in cui ho preso la decisione di osservare da vicino il legame padre-figlio, come tematica della pièce.
Mio padre è batterista , e per me quell’oggetto incarna l’uomo, il padre in tutte le sue sfaccettature.
Non è stata solo una scelta estetica o musicale ma quell’oggetto rappresenta la sintesi della presenza del padre in scena.
Due batterie, una di fronte all’altra è stata una decisione presa per fronteggiare due sonorità diverse, due caratteri, e allo stesso tempo l’idea della trasmissione tra maestro e allievo, l’uno di fronte all’altro, per me e per noi è stato il modo ideale per rendere lo strumento vivo.
Inoltre, la scelta di rendere la batteria mobile e dinamica ha da subito incarnato la mia volontà di danzare con lo strumento e non intorno ad esso. Volevo un dialogo, uno scontro o un incontro tra noi due nello spazio, non sopportavo l’idea di vederla immobile. La creazione musicale è stato un processo importante, che ha alimentato la danza e viceversa. Mi ritengo fortunato perché ho avuto modo di creare, per il 99% del tempo, con i batteristi, durante o quasi tutte le residenze di creazione. Questo, inevitabilmente, ci ha influenzato e ha creato una simbiosi, ci ha legati l’uno all’altro, senza pertanto dover rispondere o far corrispondere ogni gesto ad ogni ritmo. È stata una ricerca di insieme con un’indipendenza artistica, sempre, sia in creazione, sia in scena, ad ogni spettacolo.

Sei pugliese ma come tanti talenti sei stato costretto a emigrare. Oggi che rapporto c’è tra la tua splendida regione d’origine e la danza?

Mi sono avvicinato alla danza molto tardi, rispetto agli standard, all’età di 18 anni.  E’ stata una scoperta e un’immersione totale che mi ha portato a scegliere tra quest’arte e la chimica, materia di cui ero appassionato e fulcro del mio percorso di studi precedente.
Mi sono quindi ritrovato in un’altra città, non perché avessi riscontrato che il mio territorio natio non offrisse molto, ma semplicemente perché mi era stato proposto così, ed io ho accettato.
Ho strutturato tutta la mia professione, dai 18 ai 35 fuori dalla mia regione, attraversando diversi territori nazionali e internazionali, dalla Francia al Canada, dalla Svezia alla Cina. Poi all’età di 35 anni ho deciso, per una serie di motivazioni personali, di trasferirmi, in parte nel mio territorio d’origine. È stata una grande scoperta: colleghi, modalità e gestioni che ho dovuto abbracciare. Oggi per me la Puglia e l’Alsazia, in Francia, sono i miei territori di vita e di lavoro. Condivido perfettamente il mio tempo tra queste due realtà.
Oggi in Puglia dirigo un progetto di sensibilizzazione e formazione della danza a 360 gradi ed una rassegna, con il sostegno di vari partner locali, nazionali e internazionali. Un progetto che abbraccia diverse realtà: danzatori, insegnanti e pubblico.
Oggi, lavorare in questi due territori è per me molto motivante, offre una grande ispirazione, slancio artistico e umano anche se i continui spostamenti non sempre sono semplici  da gestire.

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