“Rubedo”, la forma non vince altra forma

5 Maggio 2023

«Discendere, attraversare, riapparire», ogni fase, momento, frammento, di ciò che viviamo è una piccola esperienza alchemica, a contorno del principale viaggio di trasformazione: la scoperta di sé stessi, lo svestirsi di ogni definizione, forma o pretesa esterna. La “rubedo” è l’ultima tappa di questo percorso chimico-interiore, la trasmutazione definitiva dei metalli nella pietra filosofale, dunque la rinascita, o meglio la nascita, dell’essere, libero, puro e selvaggio.

Giuseppe Affinito, con la pièce “Rubedo”, scritta, diretta e interpretata da lui stesso, andata in scena al Teatro del Lido il 30 aprile, ha voluto portare sotto i riflettori questo particolare cammino, la rubedo di un’anima, personale, ma anche collettiva e generazionale; un’anima fuori posto, che cerca di emanciparsi dalla catena del sessismo e dell’omofobia.

Affinito si aggira nel mezzo degli elementi della ricca scenografia, aggregazione di specchi, bauli, valigie, cassette, vestiti; oggetti della vita quotidiana, che l’attore tocca per ripercorrere il passato e il presente, suo e civile. Sottofondo sonoro sono le riproduzioni di canzoni o famose interviste segnate da frasi populiste, retrograde e bigotte. Sui vetri specchiati vengono scritte le date e le didascalie di certi episodi, la cui mancanza di riferimenti o premesse contestuali, rende poco fluida la successione logico-narrativa, affidata alle riflessioni postume degli spettatori, privandola della scorrevolezza che uno spettacolo su una “trasformazione” in itinere, mutabilità pura, dovrebbe avere. Esclusa l’ultima scena, la comunicazione è affidata a una serie di gesti e movimenti dal gusto puramente aesthetic che contornano gli spaccati dialogici: Affinito si cambia d’abito, svariate volte, fino ad indossare i panni rossi di un diavolo ribelle, fuma e mostra fiero un tappeto di rose, in tinta con i suoi colori. L’impatto estetico lascia spazio all’impatto didascalico solo nel monologo finale che esplode in una cascata di parole e riflessioni significative, in cui l’autore finalmente dà prova delle sue capacità emozionali.

La pietra filosofale, il risultato, lo abbiamo visto, lo sviluppo è stato frammentario, intuitivo; l’attitudine registica di Affinito è evidente, punto di forza è la ricercata cura scenica; il vigore comunicativo, l’efficacia verbale dietro la forma è, tuttavia, ancora in potenza, come l’essere, non ha raggiunto del tutto la sua rubedo, ma le premesse sono fertili e promettenti.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere

Il tabù della maternità

«Quando i libri non ti lasciano in pace li porti