Il tango delle capinere di Emma Dante in scena al Teatro Argentina di Roma fino al quattordici maggio.
La regista palermitana torna in scena con i due storici attori della compagnia Sud Costa Occidentale, Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri, con l’approfondimento di uno studio su Ballarini, spettacolo della Trilogia degli occhiali.
I vecchi bauli impolverati e dimenticati in soffitta non dovrebbero mai essere aperti. Dentro si possono trovare una quantità di ricordi capaci di farci rivivere parti della nostra vita o come nel caso del Tango delle Capinere dare l’avvio all’azione scenica dello spettacolo.
Da un baule una donna anziana, gobba e con il volto coperto da una maschera grottesca estrae un flacone di pillole che usa come uno strano richiamo, risponde da un altro baule il marito evocato come fosse uno spirito.
I due ballano, s’abbracciano, tossiscono, in uno strano duetto comico e grottesco, come due spettri che si ritrovano dopo la morte.
Lo strano incantesimo che anima i due protagonisti è dentro i bauli, s’avvia con gli oggetti che contengono: un carillon, una bottiglia di spumante, un albero di Natale, un vestito da sposa… Ognuno evoca un momento della vita dei due vecchi, riavvolge le loro esistenze trasformandoli in giovani e spogliandoli dei vestiti. Vite snocciolate sul palco con il sottofondo di un jukebox anni Sessanta, amarcord dei tempi andati.
Flash back temporali, diapositive di anni passati insiemi, gesti ripetuti come il fazzoletto mostrato al marito dopo una soffiata di naso, costruiscono la scena con ritornelli di un’intimità assoluta che preannunciano una dolorosa fine.
La vita coniugale con le sue battaglie quotidiane, i suoi momenti felici e la sua complicità è raccontata in maniera tenera e nostalgica, ma la ferocia ancestrale del teatro di Emma Dante non è sparita, spunta fuori da dietro un’ombra, una parola, aggredisce lo spettatore all’improvviso nella scena di uno strano gioco tra i due coniugi e un bambolotto.
In questa maniera nonostante tutto sia edulcorato e quasi appiattito da un’atmosfera tenera e frizzante, rabbonito dallo sciorinare delle musiche, lo spettatore esattamente come i due coniugi anziani, tramite piccoli particolari ricorda spettacoli passati della registra palermitana.
Nel vestito da sposa rivive, Carnezzeria, in una frase in dialetto MPalermu, in un gesto o in un movimento si intravede La scimia, la soglia tra vita e morte ricorda Vita mia.
La nostalgia dalla storia dei due protagonisti si trasmette a quella dell’intera idea di teatro di Emma Dante.
Nonostante gli anni, nonostante cliché diventati firme, un espressionismo mediterraneo che il pubblico ha imparato a riconoscere dai gesti degli attori e dal dialetto palermitano, qualche tecnica per venire incontro al pubblico, ogni spettacolo della Dante, riesce ancora a trasmettere qualcosa di ferino, di estraneo che incuriosisce, spaventa, provoca lo spettatore con i suoi valori ribaltati e le sue domande senza risposta.
Fin dall’inizio il teatro di Emma Dante è stato un teatro aperto che ha previsto la presenza dello sguardo dello spettatore dallo scossone del primo incontro con MPalermu (2001) sono passati molti anni, l’amore per la regista palermitana si è straformato è diventato maturo e le si può perdonare qualche indugio tecnico per rabbonire il pubblico, alla stessa maniera in cui si perdona un vizio a un amante di vecchia data.