Si trema, leggendo il nome ‘Faust’ sulle locandine. Toccare i pilastri popolari, simboli atemporali dell’umanità, in atto e in potenza, è un salto nel vuoto, sia per il pubblico sia per un attore, tanto è il magnetismo, il misticismo e l’onirismo da cui sono avvolte le loro storie, sopra tutte, quella dell’alchimista tedesco alleato con il diavolo in un viaggio di perdizione e desensibilizzazione animista ai confini del bene e del male.
Faust scava nelle ombre più profonde del libero arbitrio alla luce di una tangibile immortalità che può renderlo eterna umana sostanza in un’eterna dannata sofferenza; è la più alta rappresentazione di come l’uomo non può non essere uomo, peccato e miracolo, anche immerso nel possibilismo della vita eterna.
Portare sul palco le surrealistiche epifanie del racconto è, come la scelta del protagonista, atto di superbia, una prova che la Compagnia Abraxa, con il suo Faust! L’attimo irripetibile, firmato Emilio Genazzini, ha superato con un originale allestimento destrutturato, con cui ha strappato Faust dalle penne di Goethe, Marlowe e Spies, consegnandolo al pubblico, al nostro spazio, alla contemporaneità, sottolineando l’attualità ontologica del sogno immortale.
Dal sapore di un chiaro anticonvenzionale e interessante sperimentalismo scenico, lo spettacolo itinerante ha preso forma da ogni angolo, esterno ed interno, del Teatro Marconi, dove il 25 luglio ha debuttato; la voce del Gran Custode del libero arbitrio chiama l’attenzione dall’alto di una scala. Lentamente scende, si mescola tra il pubblico e con lui la sinossi della storia di Faust, Mefistòfele e Margherita che verrà rappresentata. Alle nostre spalle vibra un coro, ed ecco apparire sei attori con occhi coperti avvicinarsi a noi, incitati a sbendarli.
La prefazione si stringe e si dilata sulla platea libera di muoversi, avvicinarsi, toccare, approfondire con il corpo ciò che sente e vede; viene guidata, ma è libera di decidere la posizione e la direzione per arrivare dove gli attori conducono; siamo immersi nello scorrere del tempo, quel tempo che Faust vuole fermare, e immobile, sul palco esterno, dentro una gabbia, “nell’attimo irripetibile della sua scelta” consegna l’anima al Diavolo; il suo tempo si ferma, e con lui anche il pubblico, ma non per molto. Entriamo nel palco interno, nella psiche faustiana, nei subliminali e spettrali risvolti delle carezze di Mefistòfele sugli ardori dell’ex dottore: dall’omicidio della madre e del fratello di Margherita, alla morte di quest’ultima in stato di febbrile follia.
Libertà, costrizione, desiderio e punizione: la storia di Faust è spada di Damocle tra Anti Calvinismo e Provvidenzialismo, Romanticismo e Illuminismo; la drammaturgia di Genazzini è fedele al dualismo narrativo, rendendo, a tratti, secondaria la storia principale, a vantaggio di un’esplorazione dall’universale al particolare, dall’essere umano a Faust, sulle sfumature pratiche ed etiche del libero arbitrio, che scordiamo essere anche nello spirito mortale della carne; uno spettacolo per chi ha già familiarità con la storia e ne vuole assaporare le moderne implicazioni esistenziali.
È innegabile la personalizzazione drammaturgica, dalla musica d’ispirazione tantrica, ai dialoghi impreziositi di formule in latino e in greco antico, alla gestione dello spazio: è Abraxa Teatro. L’innovazione passa per le scelte operative, quanto per quelle speculative, creando un tessuto d’indagine nuovo, spaziale, temporale, ma soprattutto morale; dimostrazione di come il teatro sia ancora ricerca e scoperta di anticlassiciste possibilità rappresentative.
Massimo Grippa, Francesca Tranfo, Rita Aprile, Marco Bandiera, Francesca Barbieri, Alberto Brichetto, Riccardo Ferrauti, Stefano Palazzo ammaliano con le loro performance dai ritmici tempi recitativi, ognuno, perfettamente in simbiosi col personaggio, osa, provoca, rompe gli schemi, regalando un prodotto scoppiettante e ben costruito, che appaga le esigenze dei più cinici tradizionalisti.