Da una parte la logica, il pensiero razionale, il visibile, con i suoi meccanismi e le sue regole, dall’altra la fantasia, l’irrazionale, il disordine, ai limiti del surreale, senza convenzioni, ribelle; queste le forze a bilanciare mondo e mente.
Non a caso le moderne teorie psico-pedagogiche parlano dell’esistenza di pensiero convergente e pensiero divergente; il secondo è originale, non lineare, terreno da dove la fantasia crea soluzioni sempre nuove e aperte; ma è un pensiero, e come tale, logicamente sviluppato e strutturato. Gianni Rodari ha basato la sua intera carriera letteraria su questa idea, per lui convinzione, la certezza che alla base di ogni atto creativo, come per ogni elemento reale, esistano delle regole; regole che codificherebbero una vera e propria disciplina: la Fantastica.
Le sue storie arrivano, immaginifiche ma concrete, dirette, ricche, comprensibili e formative per adulti e bambini; e così, incantevole ed educativo è arrivato al gusto del pubblico, Esercizi di Fantastica, andato in scena il primo settembre per la terza edizione della rassegna di danza, musica e spettacolo Sotto l’Angelo di Castello, curata da Anna Selvi. Un’esibizione, creazione di Giorgio Rossi, Elisa Canessa, Federico Dimitri e Francesco Manenti, ispirata alle speculazioni di Rodari, al potere della fantasia, che ha trasformato il cortile di Castel Sant’Angelo in una visione surrealista, dove con comicità e un pizzico di satira sociale, ogni spazio, confine, è stato ridisegnato dalla fantasiosa gestualità e mimesis corporea dei performer.
Sul palco, in una casa grigiastra, si muovono tre atipiche figure (Elisa Canessa, Federico Dimitri e Francesco Manenti), in abiti culturalmente lontani e fuori stagione, lunghi cappotti e cappelli di pelliccia. Non guardano ciò che fanno, ciò che li circonda: si siedono, bevono, camminano meccanicamente, i loro volti sono spenti, chini sullo schermo dei tablet, fino a quando l’attenzione di due di loro (Canessa e Manenti) viene catturata da una farfalla, manovrata dalla terza figura (Dimitri), ora in abiti neri e volto coperto.
Lo strano essere, come uno squarcio pirandelliano, rompe la passiva inappetenza alla realtà, fa alzare loro lo sguardo su qualcosa di vivo, che suggestivamente vola, si muove, libera, come loro non sono più in grado di fare.
Una sola parola esce dalle loro labbra, con intonazioni diverse: «butterfly». Nonostante la loro testimonianza, il terzo soggetto, ora a volto scoperto, non crede alla presenza della farfalla, ma dovrà ricredersi.
La trasposizione non è un semplice spettacolo di danza; è sguardo, movimento, destrutturazione scenica e narrativa; è una storia che prende forma con il corpo, dai piccoli gesti a vere e proprie coreografie; è una storia che si forma sformando le geometrie della scenografia: la casa si chiude su sé stessa, e dentro, su di essa, e dalle sue finestre, i ballerini si attorcigliano, ballano, comunicano, senza rigidità di ruolo.
Il loro è un vero, puro, atto di fantasia, una creazione apparentemente senza regole, spontanea, una rinascita, che tramuta il teatro a cielo aperto da un ameno, pallido foglio grigio senza vita in colorato vitale dipinto, come le ali di una farfalla; ma è naturale solo a prima vista. La danza è libertà, tuttavia risponde a tempi e schemi precisi, specialmente se cantrice di racconti e messaggi, così come lo è lo spettacolo proposto, che ha centrato in toto l’esecuzione di un vero e proprio lavoro di Fantastica, così come Rodari lo descrive nella sua Grammatica della fantasia.
La messinscena ha sicuramente un linguaggio pensato e ragionato per l’occhio dei più piccoli, per loro è nato e confezionato, ma l’estro e la bizzarria dalla tempra così suggestiva non hanno potuto non far vibrare le corde d’apprezzamento anche dei più grandi.