Interessi economici, tradimenti, debolezze, umane fragilità, crudeltà, legami familiari, verità non dette, celate, fagocitate, sete di potere, brama di successo, una morte improvvisa e malaffari, sullo sfondo di una Puglia rampante e decadente, si snodano ne “La Ferocia”, romanzo di Nicola Lagioia, Premio Strega nel 2015. Un kolossal letterario, un libro denso, crudo, attuale, che unisce saga famigliare e noir, spietatezza e debolezza umana. Circa 400 pagine in cui la prosa dello scrittore barese scivola inesorabile e che la compagnia VicoQuartoMazzini riesce nell’ardua impresa di trasporre alla perfezione in scena, al Teatro Vascello, nell’ambito del Romaeuropa Festival (che produce lo spettacolo insieme a SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, LAC, Tric Teatri di Bari, Teatro Nazionale di Genova). I personaggi prendono vita, corpo, voce e in meno di due ore di spettacolo restituiscono l’essenza, la ferocia, la bellezza dolorosa, l’intensità emotiva del libro.
Tutto parte e ruota intorno alla morte di Clara Salvemini, secondogenita di una famiglia di ricchi imprenditori pugliesi: un misterioso “suicidio” che muove interrogativi, dubbi, ambiguità e costringe i membri della famiglia e coloro che gli orbitano intorno a confrontarsi. Assente in scena, la donna è tuttavia presenza costante, è deus ex machina che muove come pedine i personaggi, le loro azioni, istinti e intenzioni, in qualche modo. Il mistero della sua morte nutre e suscita diversi sospetti, così il giornalista Sangirardi, posto al lato della scena, nella sua cabina da speaker radiofonico, è l’espediente drammaturgico che tiene insieme le fila della narrazione. Voce narrante, ricercatore della verità, si insinua, con la sua personale inchiesta, nelle pieghe dei Salvemini, nella loro bellissima casa, gabbia dorata che domina la minuziosa scenografia di Daniele Spanò, con una vetrata scorrevole da cui poter scorgere un interno e ,soprattutto, un esterno dal quale voler isolarsi per proteggere un indicibile realtà, che tuttavia man mano fuoriesce da alcuni spiragli.
Vittorio Salvemini, costruttore pugliese arrivato a Bari poco più che trentenne, dagli anni Settanta in poi ha inanellato una serie di successi professionali che l’hanno portato a essere proprietario di diversi cantieri edili. Un’ascesa irrefrenabile e “poco pulita “ che determina il crollo delle sue certezze e alla quale è legata la morte della figlia Clara, trovata nuda e ricoperta di sangue sulla provinciale che collega Bari a Taranto.
Così, dopo il funerale della donna, intorno a un tavolo si ritrovano si ritrovano lo spietato padre, la madre frustrata, il sottomesso fratello maggiore, il marito, pluritradito, Alberto, e Michele, il fratellastro con problemi psichici da sempre allontanato e bistrattato.
Proprio lui è il perno centrale, un credibilissimo Gabriele Paoloca’, che spicca sugli altri interpreti, incarnando la sofferenza e l’affetto di un fratellastro che nella sua particolarità e stravaganza, emerge probabilmente come unico eroe positivo di una famiglia/ generazione corrotta e malata. Ricerca, diventando spalla del giornalista la verità, scoperchiando il malessere di una classe sociale, una terra, una nazione che la famiglia Salvemini rappresenta, e delle sue vittime consapevoli e inconsapevoli, come Clara, una donna persa, tra uomini, droga, disonestà, sacrificata dal suo stesso “sangue” in nome delle logiche del Dio potere.
E poi, c’ è, la lunga schiera delle incursioni degli animali, in quanto, come sottolinea il pensiero di Lagioia, l’etologia è l’unica scienza in grado di spiegare l’intellegibile umanità, che conserva in se questo spirito ferino, animalesco, che si consuma proprio tra le mura domestiche. La ferocia si traduce in scena, nella vegetazione che si insinua piano piano nella lussuosa dimora, e grazie ai suoni e alle musiche di Pino Basile, che ricreano un’atmosfera enigmatica, come i comportamenti e gli stati d’animo dei protagonisti. Gabriele Paolocà e Michele Altamura cesellano la materia letteraria di Nicola Lagioia, grazie all’adattamento di Linda Dalisi, dando vita a uno spettacolo potente, intrigante, affascinante, potendo contare su un cast di spessore ( Roberto Alinghieri, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Andrea Volpetti), in grado di tradurre in gesti, espressioni, caratteri, la complessa psicologia di ogni personaggio, e sulla dirompente estetica della scenografia, microcosmo che tutto racchiude e da cui tutto emerge. È attraverso quella vetrata che lo spettatore spia, entra, riflette sulla natura umana, le debolezze, la corruttibilità, si sdegna, ripugna, denuncia, prova pietà, si guarda intorno e si accorge che la “Ferocia” è anche dove non sembra. Che tutti noi siamo ”Ferocia” da domare. Che il teatro può’ spiegarcela, insegnarcela ancora una volta, rivelandosi uno strumento, un veicolo in cui la letteratura può trovare corpo, sostanza, espressione. Forza.