Ha debuttato ieri giovedì 23 novembre, presso l’Argot Studio di Roma in quel di Trastevere, e rimarrà in scena fino a domenica 26, lo spettacolo “Diario di Lina” per la compagnia teatrale “Teatrodilina”, scritto e diretto da Francesco Lagi ed interpretato da Anna Bellato, Francesco Colella e Leonardo Maddalena.
Suono di Giuseppe D’Amato e luci di Martin E.Palma.
La drammaturgia e il Teatro coevo, più che contemporaneo, hanno tantissime vie e tra queste numerosissime, quasi infinite, possibilità di scrittura e rappresentazione una è, senza dubbio, quella della quotidianità elevata ad unico registro di restituzione.
“Diario di Lina”, testo e spettacolo di grande immediatezza e volutamente mancante di costruzioni che allontanino da atteggiamenti comuni e riconoscibili, è un lavoro che, per l’appunto, sembra cavalcare tale ideale di normalità, puntando tutto su una semplicità registica e attoriale che si mantiene tale dall’inizio alla fine dei quasi 60’ di durata.
L’atmosfera della serata, a partire dalla presenza informale – almeno apparentemente – degli attori e dello stesso regista tra il pubblico in attesa nel foyer e nel cortile interno dove lo stesso Teatro ha sede, contribuisce immediatamente a rendere il clima della proposta artistica allo stesso tempo leggero, ma non superficiale, smentendo una volta di più, qualora fosse necessario, il falso legame esistente, per dolosa pigrizia, tra i due termini appena utilizzati.
La storia – ammesso e concesso che si possa parlare di “storia” e non semplicemente di profonde, argute ed interessanti riflessioni sui fatti della vita e del mondo – prende le mosse dai ricordi dei tre attori che sulle “gradinate” dell’Argot – gradinate “sopraelevate” rispetto alla platea che si accomoda sulle sedie poste sul pavimento dello spazio scenico abituale – chiacchierano a proposito della loro fu cagnetta Lina, animale di 16 anni e mezzo che ha accompagnato il loro lungo percorso umano e professionale fino alla sua dipartita.
Di più, sul testo, forse è poco utile scrivere, considerata la mole di argomenti intorno alla quale ci si aggira, anche se importante, ad avviso dello scrivente, è sottolineare la bravura degli interpreti che scansano – anche abbastanza agevolmente, pare – la subdola trappola dell’equivalenza “quotidianità/facilità performativa”, dato che i più o meno addentro alle dinamiche fisiche e psicologiche dell’Arte orale declinata secondo i parametri professionali della recitazione sono perfettamente a conoscenza di quella che è, esattamente, l’opposta verità.
Dunque, in definitiva, nella valutazione complessiva di tale spettacolo, c’è da fare un plauso per il delicato equilibrio trovato e mantenuto dall’ensemble responsabile della creazione e fa piacere anche mettere in risalto la mano registica meritevole di aver sezionato con grande umiltà il percorso al quale si è assistito, utilizzando con garbo dei “finti bui” che segnano il passare della scrittura da un capitolo all’altro e riempiendo ciascun segmento di effetti sonori e musicali di gradito accompagnamento.
Di buona fattura quindi, in questo insieme senza dubbio piacevole, anche il lavoro tecnico su luci e suono affidato ai professionisti citati nei crediti iniziali.