È notizia di ieri sera – deflagrate, peraltro, nella mattinata di oggi – le candidature di attori e attrici, registe e registi, spettacoli e testi alla 45° edizione dei “Premi Ubu”, i riconoscimenti italiani – senza timore di offendere niente e nessuno – più prestigiosi del panorama teatrale nazionale.
E tale premessa risulta assolutamente funzionale rispetto allo spettacolo – “Il Ministero della Solitudine” – che si andrà a recensire in quest’articolo e lo sarà proprio in funzione dei numerosi attestati di qualità – se in tal modo le suddette candidature possono essere considerate – che lo stesso spettacolo e la compagnia recitante può dire di avere ottenuto dall’”Associazione Ubu per Franco Quadri” che si fa carico dell’organizzazione e della cura di tale Premio.
E per la cronaca “lacasadargilla” ha ottenuto le nominations – inglesismo utilizzato per non ripetere l’equivalente lemma italiano già parecchio speso nelle righe precedenti – per la “miglior regia” proprio per la direzione a quattro mani e a due teste degli spettacoli “Anatomia di un suicidio” e “Il Ministero della solitudine” da parte di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, per “lo spettacolo dell’anno” – “Anatomia di un suicidio” -, per “Miglior attore o performer” nella persona di Francesco Villano – il cui lavoro viene valutato per entrambe le proposte teatrali -, “Migliore nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica” per “ Il Ministero della Solitudine” – a cura del collettivo de lacasadargilla –, “Migliore nuovo testo straniero o scrittura drammaturgica” per “Anatomia di un suicidio” di Alice Birch e per la migliore scenografia nella persona di Marco Rossi per lo spettacolo “Anatomia di un suicidio”.
Insomma, a prescindere da quanto accadrà nella serata di premiazione che si svolgerà il prossimo 18 dicembre presso il “Teatro Arena del Sole” di Bologna, una sicura messe di soddisfazioni e attestati di stima.
E in questi giorni è in scena, dopo aver debuttato il 23 novembre e con la possibilità di assistervi fino a domenica 3 dicembre, presso il Teatro Argentina di Roma, proprio uno dei due lavori stracitati nel capoverso precedente e ossia “Il Ministero della Solitudine”.
In scena – una volta che risultano già scritti tutti gli altri crediti artistici – gli attori Caterina Carpio, Tania Garriba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino e Francesco Villano, autori anche delle parole che il sempre bravo Fabrizio Sinisi inserisce in una drammaturgia del testo che per 100’ racconta un’unica vicenda collettiva di aspirazione ad un calore umano che personaggi e spettatori paiono inseguire dall’inizio alla fine della rappresentazione.
A partire dalla notizia – vera – che in Inghilterra, nel 2018, è stato istituito la struttura governativa che dà il titolo allo spettacolo, lacasadargilla sviluppa un tema, una storia, delle storie che ruotano intorno alle esistenze singoli di individui che ambiscono ad un riscatto emotivo più che economico o professionale.
Cinque attori, cinque personaggi, cinque linee narrative che nella migliore tradizione della tecnica teatrale della compagnia in questione alternano, con una precisione orchestrale, la fonazione dei loro pensieri e il concretizzarsi delle loro azioni, costruendo, passo dopo passo, nello spazio scenico ideato da Alessandro Ferroni e costruito nel Laboratorio di Scenotecnica di Ert, un mondo in cui l’assenza delle relazioni diventa un bagliore insostenibile e chiarissimo nel momento in cui si palesano i rari, quasi unici, momenti di interazione tra esseri umani.
“Il Ministero della Solitudine” è uno spettacolo di corpi e anime – a rischio di passare per retorici – che si esprimono ancor prima di pronunciare le parole.
Parole che a volte appaiono addirittura pleonastiche sottolineature di imbarazzi fisici già ben disegnati dai corpi esposti e quasi immolati nel dolore irrecuperabile di essere perennemente “inopportuni” e fuori posto.
Lo spettacolo de lacasadargilla – spettacolo anche questo, come i precedenti loro, arricchito da una selezione musicale che difficilmente trova luogo nelle proposte di prosa coeva, ma che conferma, una volta di più, la sincera attinenza a sé stessa della regia – è dunque uno spettacolo di cui si fa esperienza più con i sensi che con l’intelletto, ponendo questo l’attenzione su un’atmosfera quasi apocalittica di una società che si odia ancor prima nelle intenzioni che non nelle pratiche d’uso e ciò che pare conseguirne – da un punto di vista teatrale, si intende – è, per l’appunto, una bolla nella quale trova spazio più un grido d’aiuto della società per la società che non una sterile e fine a sé stessa opera di denuncia che nulla potrebbe sortire se effettuata dall’alto di un podio lontano, solo teorico e di fatti irraggiungibile.
E invece, no: invece “Il Ministero della Solitudine” denuncia con onestà e senza l’intenzione di farlo – anche questa è una pura e dura impressione dello scrivente – una triste realtà che odora di malinconia ancor prima di diventare ricordo, quanto piuttosto proprio nel corso del suo svolgersi.
Da vedere, da rivedere, da tenere a mente come vademecum spirituale di riflesso nel tentativo di salvarsi da un’alienazione subdola per la quale l’essere umano non sembra aver approntato ancora alcuna controffensiva.