“Barbablù” di Hattie Naylor, per le donne contro le donne

4 Dicembre 2023

Consacrato a personaggio popolare dalla mano trascrittoria di Charles Perrault nel XVII secolo, Barbablù è un uxoricida fiero e consapevole; non è vittima di repentini e dominatori raptus; Barbablù vuole il sangue delle sue mogli-amanti; la loro morte, la cerca, la provoca e l’occulta. Barbablù non può non desiderare osservare e ascoltare l’ultimo sospiro fuoriuscire dalla loro carne.

Corpi di donne, innocenti, volitive, sacrificati per intensificare e accrescere un ego padrone solo di ciò che distrugge, e ciò che distrugge è sempre ciò che ama.

Ineluttabilmente, fatalmente, Barbablù è nato Barbablù, seduttore, provocatore, assassino; e da questa apparente condanna ontologica, una condanna la cui effettiva predeterminazione è diventato attuale dibattito culturale dopo gli ultimi fatti di cronaca, si incentra il moderno Barbablù della drammaturga inglese Hattie Naylor, portato in scena al Cometa Off dalla regista Giulia Paoletti, con la traduzione di Monica Capuani.

Una passionale quanto sinottica messinscena in forma monologica, dove a interpretare le perversioni del carnefice, archetipo del contemporaneo serial killer, è Edoardo Frullini, maneggiando e personificando la delicata materia del femminicidio con tale puntuale strutturazione attoriale da fondere le estremità di studio e carisma.

Il palco è una simbolica gabbia mentale; tra corde e vestiti appesi, il protagonista ripercorre con una lucida un’autoanalisi retroattiva le ultime sue tre relazioni, con Susan, Annabelle e Judy; ed è proprio dalla sua bocca che veniamo a conoscenza di ogni sua infima depravazione emotiva; ogni sua mania di controllo e potere fisico e psichico su donne non deboli, non incoscienti, ma dannatamente vittime raggirate, permettendosi anche di avanzare rivendicazioni lessicali, rinominando le parti intime con nomi non personali ma generali: “rossa” è l’organo genitale, “loro” sono le tette; oggettificandole e privandole di ogni individualità.

È un borghese cecchino, “individua” la sua preda e la studia con occhio attento, trasportandola in un gioco di seduzione in cui Barbablù scrive, dirige e interpreta il suo personaggio costruito ad hoc per puntare, colmare e appagare i loro più profondi bisogni e le loro più scottanti fragilità. È un uomo capace, di volta in volta, di dar vita a un essere sempre nuovo, in simbiosi con le donne.

Non sono dunque loro a cucirsi su di lui, come egli crede, ma è lui stesso a plasmarsi dipendentemente su di loro.

Barbablù cerca in loro quello che da anni lui soffoca e reprime, la piccola irrisoluta parte del nostro essere sicura solo di meritare il male; solo la loro può avere, essendo la sua inarrivabile; per compensazione la violenta e la zittisce, così come senza parola è la sua.

Frullini con voce, sguardo e corpo colpisce e impressiona, la sua è una sentita interpretazione: rabbia, innocenza, crudeltà, viscida e cruda serenità, ripropone ogni emozione con ogni sua fibra personale e recitativa, trasportando con ferocia anche il pubblico; supportato altresì da una scenografia figurativamente essenziale che ben ricrea l’oscurità dell’animo del protagonista.

La Paoletti ha diretto uno spettacolo socialmente utile e originale, strutturato interamente sul punto di vista maschile, testualmente sintetico, concedendo a ciascuna storia brevi simili linee guida narrative, concentrandosi maggiormente sugli impulsi sessuali nocivi lievemente a discapito di quelli emotivi e sentimentali; uno spettacolo la cui risonanza impattante è senza dubbio merito della vivida performance dell’attore protagonista il quale riesce a rendere la sala contingente momento educativo per prendere consapevolezza che “Barbablù può essere chiunque e può essere vicino a noi”.

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