“Questa non è casa mia”. Adolescenza e vita adulta, esistono ancora?

12 Dicembre 2023

Non è solo la precarietà lavorativa ed economica quella che impedisce alla nostra generazione di immergerci spensierati nell’inevitabile passare del tempo e nel mutamento fisico e mentale interno ed esterno, nostro e sociale, ma è un tipo di precarietà identitaria, che ci frammenta in tante piccole irrisolte parti, difficili da tenere unite così da permetterci di costruire un io forte, risoluto e indipendente.

Eterni adolescenti cerchiamo il nostro posto nel mondo, la nostra “casa”, senza un tragitto da seguire, direzioni da battere e scorciatoie da scartare; nessuna strada ha cancelli aperti e non ci resta che essere chiunque e andare ovunque per cercare di trovare libero qualche passaggio. Ci accontentiamo, smarriti, guidati da possibilità occasionali, perché non abbiamo possibilità di scelta.

Qual è la soluzione? Nessuna se non quella di continuare a camminare e liberarci dei vecchi stereotipi che ci vogliono trentenni, quarantenni, risolti sotto ogni punto di vista, personale, famigliare e produttivo.

A ironizzare su questo critico e complesso collante generazionale ci ha pensato Giulia Trippetta, nello spettacolo Questa non è casa mia, da lei scritto e interpretato, andato in scena al Teatro Basilica; un racconto di formazione in chiave monologica, comico quanto riflessivo, dove l’attrice ripercorre le tappe del percorso di crescita di una ragazza insicura in cerca di sé stessa e di una stabilità che difficilmente assaporerà; rispettando, seppur in modo non convenzionale, la linearità narratologica di un perfetto storytelling, dettata dal manuale Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler.

Giulia non ha scenografia né oggetti di scena, ha solo il suo corpo, la sua voce e un adatto supporto musicale per personificare e costruire scene, situazioni e compagni di viaggio della protagonista; dà vita a una messinscena frizzante, dove è impossibile non ridere, anche amaramente, riconoscendosi e identificandosi nelle sventure e nelle diverse direzioni sbagliate da lei intraprese, con l’ingenua speranza di aver trovato finalmente qualche mattoncino per costruire casa.

Giulia lascia il suo paese natale, il fittizio Fossoperduto, luogo di pregiudizi, chiusura mentale e nessuna finestra sul mondo in evoluzione; con coraggio prende in mano la sua vita, ma non è sola, come il personaggio di Zerocalcare ha con sé l’iconica coscienza armadillo, lei ha Luigia, che con uno irriverente accento tedesco, cinicamente le ricorda ogni sua fragilità e punto di debolezza.

Tra assurde esperienze lavorative e un amore sbagliato, la protagonista compie il suo viaggio; un’avventura che tuttavia, da un punto di vista pratico, non ha un plot twist risolutivo, lasciandola ballare spensierata con ancora nodi da sciogliere e mete da raggiungere.

 La presa di coscienza di ogni eroe al fine di un’esperienza formativa è proprio qui, nella leggerezza e nella serenità nell’accettare l’effettiva attualistica assenza di ogni punto fermo.

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