“Pupa e Orlando”, spettacolo che fa parlare.

9 Febbraio 2024

Nei giorni 1 e 2 Febbraio è andato in scena, all’interno della ricca, variegata e interessantissima stagione del Teatro “Lo Spazio” di Roma, lo spettacolo “Pupa e Orlando” di Pippo Fava, diretto ed interpretato da Marco Aiello e Claudio Pomponi.

“Pupa e Orlando”, storia di un amore nato e cresciuto in una Sicilia rurale, violenta e, per certi versi, retrograda, è il racconto di una donna – Pupa, interpretata da Claudio Pomponi – innamorata, abbandonata – più dalla società che dal ragazzo che la renderà un prospetto di madre ancor prima di essere assassinato -, e vilipesa nella necessità di vendere il proprio corpo per sopravvivere e di un uomo – Orlando, a cura di Marco Aiello – cantastorie d’accatto – notevoli comunque le capacità musicali del polistrumentista Aiello che lo interpreta – che è amante, “magnaccia” ( il termine viene scelto appositamente da chi scrive per la sua dimensione particolare volgare), ostaggio e carnefice della stessa Pupa.

Pomponi, bravo attore e perfettamente calato nel ruolo della donna madre spogliata del frutto della propria carne, interpreta con grande intensità un ruolo che nessuna eventuale fluidità di genere potrebbe in natura riservargli – si parla, nello specifico, della funzione biologica della maternità – e lo fa con estrema bravura, mentre Aiello – porteur energetico della drammaturgia “declamata” – mette a disposizione la propria figura nella restituzione di numerosi personaggi che, eccezion fatta per uno – il giudice -, non mutano caratteristiche vocali e corporee, creando così un insieme all’apparenza omogeneo.

Ma, per l’appunto, tali perplessità – assolutamente personali e senza pretese di verità – trovano un soddisfacente scioglimento nel confronto con lo stesso Aiello che, con le sue parole, aiuta a chiarificare il sofisticatissimo meccanismo teatrale di meta narrazione che prevede la recitazione multipla ad opera del personaggio già di per se recitato, obbligando l’attore in questione – calabrese d’origine, peraltro, e credibilissimo nel suo vocabolario fonetico e linguistico palermitano – ad un triplo carpiato del quale, a questo punto, si ammira il risultato quasi perfetto senza averne compreso i meccanismi d’esecuzione, mentre la scelta dell’attore uomo per la donna generatrice di vita viene inscritta, oltre che nelle soggettive scelte di produzione, nella volontà poetica di donare una dimensione onirica ad un racconto che intende travalicare la sostanza e la carnalità della vita materiale per innalzarsi – o abbassarsi, a seconda dei punti di vista – in un contesto filosofico eterno che fa da riferimento teorico ai fatti del mondo.

Insomma, si sono incontrate difficoltà nel tentare di decodificare questa proposta teatrale, ma l’augurio è quello di aver accolto quanto la sensibilità di questa recensione permette, restituendo nella maniera più onesta e gentile possibile il proprio punto di vista.

Si consiglia la visione di questo spettacolo anche solo per, poi, potersi confrontare in merito.

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