Gibellina. Memoria e utopia

15 Aprile 2023

Nella notte compresa tra il 14 e il 15 gennaio la valle del Belìce, nella punta occidentale della Sicilia, viene attraversata da un violento terremoto. Molte cittadine vengono gravemente danneggiate; altre, come Gibellina, vengono ridotte al suolo. Il parlamentare Ludovico Corrao diviene promotore di un intenso processo di rinascita; il suo progetto, per quanto visionario, si è poi trasformato in una prassi effettiva. Con la ricostruzione, concepita come attuazione di una grande utopia artistica e architettonica, Gibellina ricostruita si impone quale laboratorio di sperimentazione per le espressioni e i linguaggi del contemporaneo. Un museo a cielo aperto, la cui vicenda è stata ricostruita in Gibellina. Memoria e utopia. Un percorso d’arte ambientale (Marsilio), saggio scritto da Cristina Costanzo, storica dell’arte, curatrice e ricercatrice presso l’Università degli Studi di Palermo.

Il testo, di recente pubblicazione, si presenta come una guida ponderata, puntuale ma agevole, utile a fare il punto sugli snodi estetici e sociali di maggiore rilevanza. Così, il saggio si articola in tre parti fondamentali: un momento di discussione storica e teorica, un catalogo ragionato delle opere che puntellano il paesaggio urbano della cittadina, un prontuario che raccoglie le biografie degli artisti coinvolti da Corrao. Davvero è possibile impugnare il testo aggirandosi per le vie di Gibellina: a completare lo studio, non a caso, una mappa con monumenti e installazioni.

Come chiarisce l’autrice già nell’introduzione, il carattere progressivo e aperto proprio della ricostruzione di Gibellina richiede «un focus speciale sulla prospettiva del museo a cielo aperto anche alla luce delle nuove risorse offerte dalla tecnologia e degli studi maturati nell’ambito dell’archeologia virtuale». Per questo motivo, Costanzo si avvale di una lettura multidisciplinare svolta lungo differenti medium: arti figurative, performative, visuali. Tra queste, la fotografia in particolare si presenta quale strumento d’elezione per l’indagine del profilo paesaggistico e antropico del luogo, sondato nei suoi rapporti con gli interventi degli artisti. È il caso del Grande Cretto di Burri, monumentale opera di land art realizzata immergendo interamente, nel cemento, i resti di Gibellina Vecchia: «la complessa esperienza visuale del Grande Cretto come dispositivo relazionale e produttore di immagini (in forma di fotografia, teatro, performance) invita a riflettere anche sulla sua originalissima attitudine antimonumentale, aspetto centrale nella scultura del secondo Novecento». Immortalato dall’obiettivo di Massimo Siragusa, il Cretto si mostra come un “sudario in cemento”, «un segno di Burri sulla ferita della terra», che «accoglie sempre nuove stratificazioni dovute al passare degli anni che lo hanno reso permeabile al tempo e alla natura».

Lo stratificato insieme di opere che a partire dai primi decenni della ricostruzione hanno puntellato la mappa della nuova città sono analizzate da Costanzo come un sistema interconnesso, un ipertesto nel quale ogni elemento è legato all’altro dalla condivisione di denominatori comuni: il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, l’individuo e la collettività, il centro e la periferia, il presente e la memoria, in una prospettiva che non può non essere “archeologica”, stratificata nelle direttrici di passato, presente e futuro. Si parla di arte urbana, ambientale, pubblica: le categorie ricadono l’una nell’altra e lo specifico delle nuove espressioni si pone all’intersezione di campi differenti, dialogando con quanto ha preceduto. La fluidità, l’indistinguibilità tra differenti domini inserisce le creazioni di Gibellina all’interno di un circuito contemporaneo internazionale, affiancandosi a interventi site specific o land artistici di valore ormai storicizzato (si pensi a un artista come Richard Long, che di qui è pure transitato).

La compiuta opera di sintesi effettuata dall’autrice non manca neppure di affrontare una questione fondamentale, sulla quale adesso, grazie a una maggiore distanza storica dagli eventi, vale la pena soffermarsi: quella della scarsa comprensibilità della proposta artistica contemporanea, che a Gibellina prende avvio, tra le altre, con le poetiche informali di personalità come Carla Accardi o Alberto Consagra, al grande pubblico. Costanzo parla di “inaccessibilità”: un nucleo sul quale sarebbe interessante riflettere ancora, anche alla luce delle difficoltà emerse con riferimento alle effettive condizioni di vita degli abitanti di Gibellina. Come dimostra un recente studio di Alessandra Badami, il progetto della ricostruzione ha comportato l’adozione di modelli urbanistici non adeguati alle abitudini di chi quelli spazi ha poi dovuto viverli; il museo a cielo aperto pecca di scarsa funzionalità. Come a dire: bella l’utopia, ma non ci vivrei.

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