Il rischio e lo stupore. Conversazione con Maura Teofili

17 Marzo 2024

Il 7 aprile scade il termine per partecipare alla call Powered by REf. Il progetto, compreso nella programmazione di Romaeuropa Festival, rientra nella rassegna Anni Luce_osservatorio di futuri possibili. L’iniziativa prevede la collaborazione di differenti partner, tra cui Carrozzerie | n.o.t, 369gradi, Periferie Artistiche, ATLC, Cranpi, Teatro Biblioteca Quarticciolo; un solido network perché, come afferma Maura Teofili, curatrice del progetto, «Il teatro non si può fare da soli. Anzi le cose non vanno proprio fatte da soli». La raggiungiamo al telefono per conoscere più da vicino il progetto e lo sguardo attraverso il quale il bando guarda alla nuova generazione di Under-30, a cui si rivolge offrendo tutoraggi e residenze.

Powered by REf. giunge al suo quinto anno. È possibile avanzare un primo bilancio, rispetto agli inizi? In che modo si è modificato il vostro approccio in questo primo arco di tempo?

La call è un oggetto che non può esistere se non continua a informarsi attraverso quello che poi riesce a realizzare: cinque anni fa il punto dove siamo ora era davvero poco prevedibile. Dal 2020 Powered By REF è un luogo di grande sperimentazione. Devo dire che nel tempo abbiamo visto nascere progetti davvero interessanti; molti ci hanno stupito per la capacità di fare di questo piccolo tratto insieme un elemento determinante per il processo artistico di compagnia. Il dato da cui partiamo è sempre il dialogo con gli artisti, a cui chiediamo in che modo possiamo migliorare e migliorarci. Fin dall’inizio l’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di creare un luogo dove il contatto con tutte le realtà creative del territorio poteva essere invertito: non dovevamo essere solo noi ad andare verso gli artisti e le artiste della nuova scena teatrale, ma anche loro potevano trovare una porta attraverso la quale presentare le proprie idee. Rimanere curiosi rispetto a quanto può arrivare attivamente dalle proposte degli artisti è un’opportunità in cui io ho sempre creduto fortemente. La funzione di Romaeuropa e di tutta la rete di partner è stata quella di accettare questa sfida, permettendo a progetti giovani di rendersi più ambiziosi, di pensarsi più arditi. Adesso siamo arrivati a una call che ha una certa eco, una certa attenzione. Si presentano progetti sempre più interessanti, sempre più vicini alle premesse del bando. Ora sappiamo di poter aprire dei dialoghi non solo con i tre progetti che selezioniamo, ma anche con una rosa di soggetti con cui continuamo a dialogare nel tempo. Io sento che il progetto continua a respirare grazie al contributo di tutti gli artisti e di tutte le artiste che lo hanno attraversato, che lo hanno abitato. Dico sempre che, a prescindere da chi viene selezionato, è cruciale che esistano occasioni come queste perché motivano, si fanno motivo di innesco ed in qualche modo alimentano il lavoro di tutti gli altri.

Il bando guarda da vicino a una fascia di età proiettata verso il futuro. Quali sono i codici artistici più frequentati dalle nuove generazioni?

I linguaggi molto spesso sono ibridi per loro stessa natura, perché effettivamente le giovani generazioni non si esprimono quasi mai in maniera monodisciplinare, e neanche più in modo intenzionale. Nel tempo si è creata una grande varietà di registro, di linguaggi. Nelle edizioni precedenti abbiamo accolto molti registri: dal teatro di narrazione fino alla performance confidando che in mano a un ventenne ogni forma scenica diventi un fatto diverso, nuovo, che accelera e si sbilancia rispetto ai canoni tradizionali. Con Powered by Ref vogliamo offrire un’opportunità a progetti che indagano il campo del teatro e della performance, ma con uno sguardo molto allargato che, se da un lato non rinnega il testo, la tradizione, l’imprinting degli spettacoli teatrali stictu sensu, dall’altro è completamente aperto alla commistione, alla compresenza dei segni. Devo dire che tutto questo ci ha dato grandi soddisfazioni, tanto che molti lavori passati da questa call sono stati poi accompagnati fino alla forma completa e programmati proprio all’interno di Anni Luce, nelle edizioni successive. Questo ci dà ulteriore conferma del fatto che è importante garantire delle porte di accesso, delle opportunità.

All’interno di questa multidisciplinaretà, sono richieste delle caratteristiche estetiche o tecniche particolari? Cosa cercate nei lavori che si sottopongono alla selezione?

Credo che la curiosità, lo spirito di ricerca non debba essere condizionato dalla richiesta di prerequisiti. Non sarebbe una vera apertura. Oltre al dato anagrafico, forzatura che noi stessi ci facciamo per poter guardare al nuovo in una maniera più sbilanciata, io apro ogni proposta ricevuta con la convinzione che possa essere un capolavoro e con il desiderio di essere stupita da quanto ricevo. Poi certamente ci interessa fare emergere sguardi originali, poetiche che si interrogano su loro stesse, artisti a tutto tondo. Siamo portati a correre dei rischi anche maggiori laddove vediamo una luccicanza in questo senso, cioè giovani artiste e artisti con un’urgenza espressiva completa, un’autorialità in dialogo tra forme sceniche, contenuti, linguaggi. Ma la cosa più importante sono le energie creative messe in moto da queste circostanze, anche in assenza di risultati. Lì dove c’è un’esigenza, lì c’è la mia attenzione, lì la mia curiosità curatoriale resta molto viva. Dunque tendo a spostare il mio interesse anche su tutti quei progetti non selezionati ma che è necessario che sappiano di essere stati visti, di essere stati considerati, di avere degli interlocutori. Io credo che sia fondamentale dare coraggio all’artista che continua a creare anche di fronte a grosse complessità economiche e produttive, che certamente rendono ancora più difficile il percorso di sviluppo creativo ed emersione delle generazioni più giovani. È importante, però, che queste continuino a interrogarsi sul presente. Il fatto che arrivino così tanti progetti è rincuorante, perché vuol dire che questo paese non vuole smettere di pensare, non vuole smettere di creare arte prima ancora di produrre arte, due cose molto diverse. Andiamo avanti con grande fiducia e credo che passare la parola alle nuove generazioni voglia dire veramente lasciare lo spazio ed il modo di prendere parola in prima persona.

In che modo il tutoring si inserisce nello sviluppo di questi lavori?

Lavorando con delle generazioni così fresche diventa importante per noi non essere richiedenti in senso tecnico: non si pretende di arrivare a uno spettacolo compiuto, ma si accompagna un percorso. L’obiettivo è quello di individuare delle potenzialità e di affiancarle affinchè si possano sviluppare per quelle che sono. Dunque anzitutto vogliamo guidarle verso una presa di coraggio perché sul panorama nazionale, giovanile in particolare, c’è spesso una ricerca di forme finite, ma ci sono meno opportunità per incoraggiare la parte precedente. Noi abbiamo scelto di confrontarci sul percorso, sul processo, sulle fasi di creazione. Questa call è uno strumento che mette a disposizione residenze (quindici giorni retribuiti di prova in spazi attrezzati) e dunque tempo e modo per avviare o dare maggior struttura ad un processo creativo. Il tutor viene individuato caso per caso, e non necessariamente si deve porre in connessione automatica con la natura del progetto, ma anzi proprio in una funzione di stimolo. A questo si abbinano una serie di servizi e competenze grazie ai contatti con le professionalità con cui Romaeuropa può favorire delle connessioni. Il supporto comprende un accompagnamento artistico, ma anche un approfondimento di tipo organizzativo sulla gestione delle risorse di progetto, o ancora la possibilità di relazione con altri soggetti produttori. I tutor non si sostituiscano mai al giovane artista selezionato, non cercano di proporre una forma o un risultato dall’alto della loro esperienza, ma -anzi- intervengono per problematizzare, mettere in luce criticità, esaltare il ragionamento e favorire lo sviluppo di risposte autonome. È sempre un lavoro molto delicato, che richiede grande ascolto, grande attenzione e capacità di prendere in considerazione punti di forza e dubbi. Cerchiamo un dialogo spassionato, che faccia cadere qualunque valutazione relativa alle difficoltà specifiche di aspettativa o di richiesta. In questa modalità, naturalmente, si riflette anche una grande fiducia e convinzione nel valore di riconsiderare qualunque tipo di verticismo e di ragionare insieme agli artisti lasciandosi sorprendere dalle risposte.

Anni Luce è un “osservatorio di futuri possibili”. Quanto lontano bisogna guardare per scorgere un possibile futuro?

Dipende dalla disponibilità ad affrontare una quota imprevedibile di rischio. Lavorare con gli artisti emergenti significa accettare l’implicazione che non arrivino subito i risultati; non è detto che al primo, al secondo tentativo ci sia una forma, una maturazione, una capacità di mettere a fuoco il proprio contenuto. Io molto spesso riguardo indietro e mi chiedo se quello che ho programmato effettivamente sia soddisfacente, ma poi è come se la domanda mi cadesse di mano: scopro che quasi non è importante. Ma non perché non sia importante di per sé. Semplicemente, penso che sia più decisiva l’esistenza di un luogo sicuro in cui mettersi alla prova. A quel punto accetto l’idea che una sfida si possa anche perdere. A volte ci sono stati momenti in cui non abbiamo incontrato la fioritura ideale di un progetto; ma questo non ha reso meno importante o necessario aver messo a disposizione quell’occasione. Poi, quando invece un progetto fiorisce, mi emoziono tantissimo nel vederne gli sviluppi, spesso lontani da quelli che io stessa avrei potuto immaginare. Io accetto il pericolo, se questo può avere un significato nel percorso di crescita dell’artista. A volte è necessario anche sbagliare: Anni Luce, certamente, ci ha raccontato anche questo. Le cose hanno più senso quando guardano più lontano. È uno spazio di grande libertà e il fatto che un’istituzione come Romaeuropa permetta che ci siano anche questi luoghi di rischio mi motiva tantissimo a ragionare in questo senso. Certo abbiamo assistito anche a grandi epifanie, ma è stato faticoso all’inizio valorizzare questo margine di fallimento. Ma, ripeto, per me è molto importante che esista l’occasione, la possibilità di dialogo. In questo senso essere coraggiosi ci viene spontaneo.

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