Intorno a un nuovo sublime. Il palagonico in mostra a Palermo

27 Marzo 2024
Modelliermasse, Pigment Monotypie, Acryl auf grundierte Leinwand; 13 x 18 cm

Alla Haus der Kunst di Palermo è in corso la mostra Palagonisch, a cura del Verein Düsseldorf di Palermo. Non immediata la traduzione del titolo: esso si riferisce in prima battuta alla Villa Palagonia di Bagheria, nota come “Villa dei Mostri”, dove Goethe soggiornò nel 1787. Il gusto eclettico della costruzione colpì lo scrittore per la bizzarria dei suoi capricci, tanto che il Viaggio in Italia ne svolge un’accurata descrizione. A questa si lega il conio di palagonico «per descrivere la fascinazione mista al disgusto che [a Goethe] provocò la visita della Villa». Il progetto espositivo vuole adesso «esplorare artisticamente il “palagonico”, il terribilmente bello, e renderlo sensibilmente tangibile per il pubblico». Insomma un’immersione nelle nuove forme che il sublime può assumere, accogliendone i toni più elevati, se vogliamo poetici, ma anche quelli più respingenti e conturbanti. Nel farlo, l’allestimento unisce le esperienze di tre artisti: Giuseppe Agnello, Gabriele Massaro, Stefan à Wengen.

Gabriele Massaro, Ortro, cagnaccio

Giuseppe Agnello, già docente all’Accademia di Belle Arti di Carrara e Palermo, ha formato un’intera generazione di artisti palermitani. I suoi calchi dal vero restituiscono una piena coincidenza tra l’uomo e il contesto naturale in cui è immerso; la metamorfosi progressiva che trasforma i corpi dei suoi soggetti sembra un fatto assoluto, oltre e precedente alle nostre coordinate. Tuttavia, la complessa matericità della texture scultorea mantiene il senso anche doloroso del cambiamento, quando esso coincide con la degradazione. Per Gabriele Massaro, appartenente a una nuova generazione di artisti siciliani, il discorso è nelle specificità tecniche del suo medium – la pittura: l’atto pittorico e disegnativo possono così ripensarsi nel dialogo con le modalità proprie della creazione digitale, o nel rapporto conflittuale con il supporto, tormentato da inserzioni in collage che negano al contempo la bidimensionalità dell’opera e l’univocità interpretativa. Stefan à Wengen, artista svizzero di base a Düsseldorf, è ancora dentro la pittura: i suoi soggetti sono disturbanti, carichi di un valore simbolico che, nonostante la scelta figurativa, si pone oltre il livello della dichiarata comprensibilità. Il suo rapporto col mondo accoglie il paesaggio umano, inteso come orizzonte-immaginario in cui si susseguono anche richiami decontestualizzanti alla storia dell’arte e alla cultura pop: un panorama in cui l’immagine si racconta attraverso il ricorso all’immagine stessa. Il processo è concettuale nell’ispirazione, se non nella pratica.

Il sublime di adesso ci offre un’idea della natura, terribile e meravigliosa secondo la definizione leopardiana, molto diversa da come poteva presentarsi all’osservatore contemporaneo di Caspar David Friedrich. Alla Haus prevale il senso dell’uncanny, al quale solo in parte il malinconico lirismo delle sculture di Agnello può fare da contraltare. Nel nostro rapporto con l’orrido prevale il frammento, l’indefinibile, la compresenza di linguaggi che contestano la possibilità di una visione unilineare delle cose, quando prima l’eclettismo era riutilizzo creativo di materiale comunque dato, storicizzato. Ma anche nei toni più violenti, in quelli più disturbanti, rimane persistente l’esercizio dello stupore.

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