Carlo Corallo: dall’arte di comunicare al comunicare arte

9 Gennaio 2023

Intervista a cura di Emanuele e Giuseppe Senia

Eccoci tornati con un altro importante appuntamento per i nostri lettori di Banquo: quello delle interviste ad artisti che crediamo fortemente meritino maggior attenzione da parte del pubblico! Oggi siamo molto orgogliosi di intervistarne uno dal sangue siculo, trapiantato a Milano: stiamo parlando di Carlo Corallo .

Classe 1995, da sempre appassionato di scrittura e storytelling, vanta il dono di una penna raffinata, mai banale ed incredibilmente attuale.

La sua musica, per gran parte costituita da un accompagnamento piano e archi, vuole mettere in luce la parola, finalmente tornata al centro di tutto e priva di inutili orpelli e argomentazioni scontate.
Corallo vanta già collaborazioni con Murubutu, Funk Shui Project, Roy Paci, Mattak, Anastasio, Dj T-Robb, Dile e Matteo Maffucci (1/2 degli Zero Assoluto).

Ha all’attivo numerosi singoli e due album: Can’tAutorato (2019) e Quando le canzoni finiscono (2022).

Siamo riusciti a beccarlo in un freddo pomeriggio milanese facendoci un’interessantissima chiacchierata che riportiamo qui sotto: buona lettura!

  • Chi è Carlo Corallo? 

“Carlo Corallo è un rapper cantautorale che fa un tipo di rap diverso da quello radiofonico e mainstream (soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dei contenuti) e che crede in questo genere di musica, in quanto possa veicolare dei concetti impegnati e non i soliti temi classici del genere…poi sono anche un Dottore in Legge e un autore! 

Ho iniziato a scrivere intorno ai 19 anni, anche se le prime cose di cui ero soddisfatto le ho pubblicate qualche anno dopo, intorno ai 22. Ho cominciato a farlo senza avere la minima idea di quello che tutto questo sarebbe diventato e senza avere alcuna pretesa. L’idea di fare musica è arrivata in modo totalmente naturale, non avevo previsto di crearmi una vera e propria carriera musicale; lo facevo solo per una liberazione, uno sfogo personale perchè ne avevo effettivamente bisogno.”

  • C’è mai stato un momento in cui hai sentito la necessità di assecondare questo switch della scrittura?

“Parto dal presupposto di essere una persona molto critica e non ero inizialmente certo di avere un qualche tipo di talento o abilità particolari nella scrittura quindi, in un certo senso, mi hanno dovuto convincere e poi il fatto che siano arrivati dei feedback positivi da artisti che stimo molto, uno tra i primi Murubutu ad esempio, mi ha convinto a continuare, perseverare e a sviluppare il mio talento. Quindi sì, il cambiamento è avvenuto quando io in primis mi sono convinto di avere questo tipo di talento, seppur senza mai adagiarmi sugli allori.”

  • Sapendo delle tue radici, quindi la Sicilia e soprattutto la provincia in cui sei nato, pensi sia stato facile riuscire ad emergere in un ambiente fertile o che, invece, hai trovato esattamente all’opposto?

“Per me riuscire ad emergere sul piano nazionale, partendo da Ragusa, è stato difficilissimo perchè è un luogo situato all’estremo sud dell’Italia e la mia è una provincia che ha una mentalità e un modo di pensare tutto suo; è una provincia ibrida perchè, per essere in Sicilia, possiede condizioni di vivibilità nettamente migliori rispetto alle altre province. Nonostante ciò, non è mai avvenuta un’evoluzione dal punto di vista dell’attenzione all’arte. Per quanto riguarda l’aspetto “musica” c’è una sorta di tirannìa da parte delle discoteche (di cui porto una descrizione sociologica all’interno dei miei live) e manca quella spinta, quel fermento, sia da fruitori che da persone che lavorano nell’ambiente stesso.

Credo sia un posto radicato fermamente nel suo ambiente familista, cioè che mette sempre la famiglia al centro di tutto e quindi le abitudini dei cittadini sono  più volte a questo che ad altri aspetti come andare ad un concerto, concedersi qualche altro piacere personale o alimentare l’attenzione all’arte in generale.”

  • Che rapporto hai, invece, con la tua terra (cosa che, tra l’altro, esce inevitabilmente fuori nei tuoi pezzi)? 

“Innanzitutto c’è da dire che per quanto non mi trovi benissimo dal punto di vista sociologico, adoro la mia provincia soprattutto a livello naturalistico. Questo aspetto mi fornisce tantissima ispirazione nel descrivere i luoghi, le persone e le loro diversità rispetto a quelle che vivo giornalmente a Milano: mi danno un punto di vista diverso sul mondo, sui rapporti familiari; rappresentano quasi l’esatto opposto all’amore “fast food” milanese. Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio ma, ecco, sono delle tendenze abbastanza diffuse. Un’altra cosa che la Sicilia mi permette è quella di trovare un contatto col passato, col me bambino nella sua versione più pura ed ingenua. Credo che i picchi di scrittura, nella sua accezione positiva (che qualcuno definisce poesia!) non derivino troppo da un atto di ragionamento, bensì da uno prettamente istintivo.”

  • Parlando di ideali espressi nei tuoi testi e di esperienze vissute fino ad ora, c’è qualcosa o qualcuno che difendi? 

“La mia musica non rappresenta nessuna morale in particolare proprio perchè è soltanto un modo di esprimersi; non mi sento di dare consigli né il mio intento è quello di insegnare qualcosa a qualcuno. Sicuramente dalle mie parole, nei miei testi, trapelano miei personali modi di pensare relativamente alla società, alla politica ecc., tra l’altro non mi piace quando gli artisti, per non perdere pubblico, si celano dietro ideali abbastanza neutrali! Io voglio un confronto con l’ascoltatore e chi capisce quello che dico, si fa un’idea e può assecondare la mia o meno. Credo che la difesa degli ideali appartenga più ad un altro tipo di rap: quello delle posse, della militanza politica.”

  • Una cosa stupenda è vedere come la gente si leghi ai tuoi brani e soprattutto alle tue parole. Ecco, sembrerà una domanda retorica ma volevamo sapere da te che che ruolo ha la parola? Può, ancora oggi, fare la differenza?

“Bella domanda…innanzitutto il termine “parola” porta con sé anche un altro significato: “dare la parola” vuol dire anche mantenere una promessa (se ci pensate oggi c’è una forte crisi comunicativa della parola come verbo, come oggetto di comunicazione ma anche come valore, come “la parola data”. Credo che valga sempre meno per tanti motivi che purtroppo portano a sintetizzare, vedi i social per esempio. Questo vale anche per i valori: oggi, appunto, mantenere la parola data è rarissimo; può corrispondere col “ghosting” che rappresenta una piaga sociale, una violenza psicologica in certi casi che sicuramente corrisponde al venire meno della parola (è più facile tirarsi indietro che dire semplicemente cosa si intende e cosa no).”

  • Tornando alla tua discografia, ci piacerebbe aprire una parentesi su “Can’tAutorato”, il tuo primo album uscito nel 2019 per OSA (One Shot Agency). Potremmo definirlo un insieme di storie da te narrate in cui non sempre sei il protagonista. Qual era il concept di quel disco?

Il concept di quel disco era quello di descrivere la quotidianità dell’uomo. Io ero partito da quest’idea visto che il rap parla sempre di “estremi”, intesi prima come estrema povertà e dopo come estrema ricchezza. A tutto ciò, però, mancava quella scala di “grigi” che c’è al centro (che poi è quella che, per lo più, viviamo tutti). Pensaci, non sconvolgerebbe, come argomentazione, la tipica giornata in ufficio a fare cose “normali”! E’ difficile descrivere il “banale”, anche quello possiamo intenderlo come esercizio di stile. In una delle mie primissime canzoni dicevo: “un poeta ordinario parla di cose speciali, un poeta speciale sa enfatizzare l’ordinario”. L’obiettivo che avevo con me stesso era quello di riuscire a descrivere in maniera originale, interessante, una serie di cose medie in cui ero intrappolato. Probabilmente il messaggio più forte di quel disco è racchiuso nel titolo “Can’tAutorato”, ovvero che i rapper possono dire cose profonde, fare poesia ed essere gli eredi dei cantautori anche se non sanno cantare. Credo che la forza di quel disco sia stata proprio quella di parlare di cose normali ma da un altro punto di vista.”

  • C’è un brano di quel disco a cui sei particolarmente legato?

“Assolutamente si! Io non sono uno di quelli che dà la stessa importanza a tutti i suoi brani; credo invece che ognuno abbia un suo valore, ecco perchè magari alcuni riescono meglio, altri meno. In “Can’tAutorato” ci sono 3/4 brani a cui sono molto legato, in particolare due che hanno rappresentato, secondo me, il picco della mia scrittura fino ad ora insieme a qualche altro estratto del mio ultimo album “Quando le canzoni finiscono”. Uno di questi è “Un Gabbiano”, dove c’è una barra, quella dei bambini che sognano di fare gli astronauti, che per me ha toccato il picco più alto della mia musica ed è difficile replicare. Altri brani a cui sono legatissimo sono “Amari un po’ ”, “Jessie e James” e “Un letto” (pezzo, secondo me, molto sottovalutato ma che tratta un solo tema analizzato sotto tantissimi punti di vista). Tra l’altro, quest’ultimo è uno dei miei pezzi preferiti dai rapper che più stimo e questa cosa mi colpisce sempre tanto!”

  • “Tornare a casa” è una delle canzoni più apprezzate di “Can’tAutorato” e non possiamo che esserne d’accordo ma vogliamo rigirarti la domanda: oggi torneresti a casa?

“Tornerei a casa solo se mi innamorassi; solo l’amore può farmi tornare a casa! Al momento non provo quel sentimento forte per cui sarei pronto a “farmi di lato”.  Credo che una cosa del genere, a discapito della propria carriera, si possa fare per motivi estremamente validi. Credo che l’amore migliori la scrittura perchè ti dà intensità, sia in positivo che in negativo e sicuramente scriverei tanto e spesso ispirato; forse ne varrebbe la pena! Parlo per esperienze vissute e mi è capitato, più di una volta, di innamorarmi di una ragazza ed effettivamente quello che si crea dentro la testa è totalmente amplificato, come una sorta di “droga dei sentimenti”. Quindi non riesco a fuggire dall’amore anzi, delle volte, anche se non va bene o non va avanti, cerco di aggiustare i pezzi pur di stare bene, anche per egoismo. Non è una soluzione, infatti vivo spesso dei rapporti distruttivi per cui sto male però ci sono tanti motivi psicologici dietro, influenzati dal background di ogni persona e che portano a gestire l’amore in maniera differente. Ad ogni modo, oggi sono molto concentrato sulla mia carriera!”

Carlo Corallo – Quando le canzoni finiscono (2022)
  • “Quando le canzoni finiscono”, il tuo ultimo album uscito nel 2022 sempre per OSA Lab: il filo conduttore è quello della fine, intesa sotto vari aspetti. Come mai hai voluto scegliere questa tematica?

“Se ci pensi è il tema più democratico in assoluto perchè ci riguarda tutti; tra l’altro ho iniziato a scriverlo durante il lockdown e, in quel momento, l’unica cosa che sentivo vicina era la fine in tutte le sue sfaccettature. Si parlava solo di morti, di limiti e restrizioni che facevano finire tutta una serie di cose tra cui i rapporti, attività e molto altro. Mi sembrava il tema più attuale da trattare, esaltava il mio modo di scrivere perchè potevo prendere storie dal passato, vedi ad esempio “Storia di Antonio”. Avevo inizialmente pensato ad alcuni personaggi storici di cui narrare la fine perchè avevo in mente di fare uno storytelling che parlasse del passato; poi alla fine ho scelto lui e Murubutu mi sembrava il più adatto per accompagnarmi in questa narrazione.

  • Carlo, toglici una curiosità: cosa succede realmente quando le canzoni finiscono?

“Quando le canzoni finiscono l’artista torna ad interpretare il suo ruolo di persona comune, quindi scende dal piedistallo, termina il suo stato di grazia e in quel momento non deve essere più idealizzato e le persone che gli stanno accanto devono capire che lui è esattamente come loro e privo di qualsiasi dote; necessita dell’attenzione e dell’affetto che si ha bisogno dalle persone a cui si vuole bene, non dell’affetto che si dà all’artista da ascoltatore.

  • Arrivati a questo punto, potresti spiegarci alcune tue frasi all’interno del disco?   

…ogni giorno lo passiamo a concentrarci sull’orgoglio più che sull’orgasmo

“Quand’ho scritto quella rima stavo vivendo un tipo di relazione incentrata più sul litigio, sul far valere le proprie ragioni che sul volersi bene e darsi piacere. Io non credo sia così per tutti, fortunatamente esistono tante persone buone ed altruiste. Un tratto caratteristico di società competitive come la nostra, sia in ambito lavorativo che familiare, è proprio quello dell’accrescimento dell’orgoglio.”

gli scontri sono un tipo di attrazione, come se le persone traessero passione dai problemi e compriamo l’uva comune anche se esiste senza semi

Secondo me c’è un motivo ben preciso alla tensione umana nel complicarsi le cose nella vita ed è quello per cui la società si muove su binari estremamente capitalistici, cioè siamo abituati ad avere tutto a portata di mano e soprattutto a soddisfarci dal punto di vista dell’uso dei beni. Succede che si sviluppa un feticcio per quello che non possiamo avere e questa cosa si riversa molto sulle relazioni: per esempio ci sono una ragazza ed un ragazzo piacente, entrambi ricevono tante attenzioni sui social e possono facilmente avere relazioni. Cosa si crea in loro? Una sorta di meccanismo che li abitua alle attenzioni e inizia, invece, a fargli desiderare ciò che non possono avere. Questo ci porta ad essere attratti più da chi non ci desidera che da chi ci ama veramente perchè questi ultimi li “possediamo” già, sono come un livello superato ormai. 

…ma c’è poesia nell’epilogo, c’è un orgoglio sottile nel poter dire “precipito” 

“Quando si finisce di ascoltare il disco e si capisce quanto il mondo si sia incattivito, quanto i rapporti siano diventati così poco umani, la morte è quell’aspetto democratico che ci riunisce e riequilibra tutti (quasi un sollievo!). E’ questo l’orgoglio sottile di cui parlo.”

Per quanto riguarda invece l’aspetto “live”, dopo aver visto Carlo Corallo dal vivo in una data del suo tour all’Arci Bellezza di Milano, abbiamo davvero apprezzato la volontà di mettere al centro la parola nella sua semplicità e potenza massima. Le strumentali minimal, curate da Claudio Guarcello al piano e Sergio Tentella alla drum machine ed in linea con gli arrangiamenti originali dei brani, hanno dimostrato che è possibile fare arte senza troppi fronzoli e addobbi, mantenendo un’onestà nel rapporto col pubblico, degna di pochi veri artisti. La scaletta non ha fatto mancare brani estratti dagli ultimi due album più delle chicche inaspettate come “Sapore di sale” dell’immenso Gino Paoli, cantata in momento dolcissimo ed intimo. Durante il concerto ci sono stati anche un paio di reading interessantissimi, uno sul rapporto a distanza e l’altro sulle discoteche in Sicilia (con riferimenti musicali alle principali hit, magistralmente impacchettate da Claudio Guarcello al piano durante la lettura). In chiusura è stato presentato, in anteprima, un nuovo inedito che uscirà in collaborazione con un altro bel nome della scena rap attuale (ma non possiamo dire nulla al momento, ci faremo perdonare!).

Siamo giunti al termine di questa bellissima intervista e ringraziamo nuovamente Carlo per la disponibilità ed il tempo riservatoci. 

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