Lunatica Salome al Teatro dell’Opera di Roma

15 Marzo 2024

di Emiliano Metalli

Dall’opera di Francoforte arriva l’attuale produzione di Salome, opera in un atto di Richard Strauss, in scena al Teatro dell’Opera di Roma.

Una regia concettualmente complessa, ma scenicamente difficile da seguire è quella di Barrie Kosky ripresa da Tamara Heimbrock per la drammaturgia di Zsolt Horpácsy. Rispetto a quanto ci si può aspettare dal titolo straussiano, che trascina con sé il fiume in piena della psicanalisi freudiana e del turbinio estetico-simbolista – la prima è infatti del 1905 mentre il dramma di Wilde, in francese, è datato 1893 – l’allestimento è minimizzato, condotto all’essenziale, eppure mantiene alcune finezze che, per certi versi, vanno necessariamente evidenziate.

È sempre troppo semplice sminuire un’idea registica differente dalla tradizione, è bensì preferibile cercare di inquadrarne le esigenze drammaturgiche di rinnovo linguistico sui repertori tradizionali, come Salome può essere unanimemente riconosciuta.

Suoni e rumori – come il vento o il volo degli uccelli già citati nel testo – anticipano la musica, mentre le luci nel teatro lentamente scemano all’alzarsi del sipario di ferro. Oltre il boccascena appare la scenografia di Katrin Lea Tag, nera come la pece e imperscrutabile come il destino, verosimile proiezione della stessa cisterna in cui è rinchiuso Jochanaan. Al suo interno si aggira Salome, abbigliata con un enorme copricapo di piume, appena illuminata da quello che sembra un raggio di luna.

Tutto il dramma si svolge fra questi due poli cromatici: il buio dello spazio scenico e una illuminazione – a opera di Joachim Klein – candida e sfrontata, il cui punto di vista frontale e la forma a cerchio suggeriscono l’idea del disco lunare.

Manipolabile e mutevole come la luna e, per parallelismo, come la stessa Salome, la luce segue la protagonista, a volte soffermandosi anche sugli altri personaggi che devono “entrare” nel suo spazio per “essere visti”. Contrariamente restano solo voci, come sembrano sottolineare persino i costumi, opera di Katrin Lea Tag, dalla linea elegante quelli di Narraboth o del Paggio, ma dai colori neutri o scuri. Fanno eccezione i protagonisti e, in particolare, Salome che veste alcuni abiti di foggia splendida e colori più sgargianti.

Si ha così l’impressione che gli altri siano elementi esterni alla “soggettiva” della protagonista attraverso la cui lente – di forma appunto circolare come la luna – devono necessariamente essere visti. La circolarità della luce si stringe o si allarga sulle scene evidenziando un dettaglio o un insieme e fornendo un percorso che va oltre la musica e, spesso, oltre la parola. In un minimo gesto, in una reazione, in uno sguardo della giovane fino all’immobile sensualità della danza dei veli.

Si tratta di un “gioco” scenico che a tratti esalta la scrittura musicale e drammaturgica, quasi sempre nei momenti in cui è centrale la figura di Salome, ma che altrove disturba lo svolgersi del dialogo fra personaggi, perché ne sminuisce il realismo. Per esempio nel Quintetto degli Ebrei, costretti a rubarsi la scena a vicenda: è vero che musicalmente accade lo stesso, ma la situazione sarebbe quella di un confronto interno a un gruppo, mentre così sembra una sorta di carosello, anche se ben eseguito dai cinque interpreti: Michael J. Scott, Christopher Lemmings, Marcello Nardis, Eduardo Niave, Edwin Kaye.

In questo spettacolo l’attenzione è però tutta incentrata su Salome. E Lise Lindstrom è all’altezza del compito dall’inizio alla fine. Danza, corre, cambia d’abito, interagisce in maniera credibile e a tratti violenta con gli altri personaggi e, soprattutto, canta. Dipinge una Salome instabile e fremente, a volte sognante – e il timbro guadagna punti da alcune note in piano, addolcendosi, arrotondandosi – altre volte si scaglia con passione indomita e gli acuti la seguono trasformandosi in lame acuminate. Acuti d’effetto, considerando la massa orchestrale, ma in qualche caso un po’ troppo metallici e meno smaltati. Nel complesso però la prova è più che ottima, in particolare nel finale con la grande testa penzolante che poi diviene la sua testa di donna uccisa.

Dello stesso livello Jochanaan impersonato da Nicholas Brownlee: voce possente, recitazione in perfetta linea con la regia, disgustoso e sensuale al tempo stesso. Porta a segno un profeta donandogli il giusto mix di freschezza giovanile – gli acuti fanno tremare il teatro e il timbro è di una bellezza unica – e credibilità virile, quando rifiuta, affranto, le profferte di Salome, senza mai scendere in un registro scontatamente stentoreo.

Eccellenti i due coniugi: Erode di John Daszak ed Erodiade di Katarina Dalayman. La seconda tanto perfida, ma senza fronzoli, quanto il primo risultava viscido e untuoso, ma senza cadere mai nel macchiettistico. Corrono anch’essi, apparendo e scomparendo in ogni angolo della scena, senza mai staccare un momento gli occhi dalla preda-Salome.

E infine una nota a parte meritano Joel Prieto, Narraboth bello nella presenza e affascinante nel timbro fin dalla sua prima frase “Wie schön ist die Prinzessin Salome heute Nacht!”, e Karina Kherunts, il cui talento scenico è penalizzato nel breve ruolo del paggio di Erodiade, un ruolo che pure ricopre con grande professionalità e una vocalità interessante.

Merito dell’ottima riuscita musicale è naturalmente di Marc Albrecht che dirige con finezza d’intenti e con il piglio dell’esperienza un’orchestra vivida e attenta alle sollecitazioni. La sua lettura mette in risalto le ricchezze melodiche e armoniche della partitura straussiana, frutto della creatività allenata sui poemi sinfonici, ma tiene conto della vocalità e del suo rapporto con la drammaturgia. Cerca un equilibrio fra le parti e rispetta, anche dinamicamente, molte idee registiche. Capolavoro di accordo fra buca e palco è senza dubbio la danza dei veli, dove la regia lascia ampio spazio – se non totale – alla musica, penalizzando l’azione scenica in suo favore.

Teatro dell’Opera di Roma

Salome

Musica di Richard Strauss

Opera in un atto

Dal dramma di Oscar Wilde

Prima rappresentazione assoluta: Hofoper, Dresda, 9 dicembre 1905

Prima rappresentazione al Teatro Costanzi: 9 marzo 1908

Direttore Marc Albrecht

Regia Barrie Kosky

Scene e costumi Katrin Lea Tag

Luci Joachim Klein

Drammaturgia Zsolt Horpácsy

Regia ripresa da Tamara Heimbrock

PERSONAGGI E INTERPRETI

Erode John Daszak

Erodiade Katarina Dalayman

Salome Lise Lindstrom

Jochanaan Nicholas Brownlee

Narraboth Joel Prieto

Un paggio di Erodiade Karina Kherunts

Primo ebreo Michael J. Scott

Secondo ebreo Christopher Lemmings

Terzo ebreo Marcello Nardis

Quarto ebreo Eduardo Niave*

Quinto ebreo / Secondo soldato Edwin Kaye

Primo Nazareno / Primo soldato Zachary Altman

Secondo Nazareno Nicola Straniero*

Un uomo di Cappadocia Alessandro Guerzoni / Daniele Massimi 10, 14 marzo

Uno schiavo Giuseppe Ruggiero

*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

ORCHESTRA DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

ALLESTIMENTO OPER FRANKFURT

Foto di Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.

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