“Addio, fiorito asil!”: Madama Butterfly di Àlex Ollé torna al Teatro dell’Opera di Roma

24 Giugno 2023

di Emiliano Metalli

Sono passati quasi due anni dalla recensione di questo titolo, con la medesima regia, andato in scena per la stagione estiva del Teatro dell’Opera al Circo Massimo.

Lo spostamento dal palcoscenico “aperto” al teatro al chiuso ha modificato la percezione di una regia che resta, in ogni modo, potentemente incisiva.

“Ollé, a ben vedere, non rifiuta il naturalismo, ma lo potenzia, spostando il periodo scenico e privando Butterfly degli orpelli Liberty. Questo ne rafforza, isolandolo, il messaggio di scontro fra universi opposti, forzando l’accento sul gesto egoistico di Pinkerton, una parte per il tutto, se si guarda con attenzione alla speculazione edilizia che il video racconta durante le estenuanti attese della giovane gheisha. Non più solo dramma privato, ma catastrofe sociale che avrà un impatto persino sulle generazioni future.”

Una critica, dunque, alla superficialità americana che approfitta tanto sul piano privato quanto su quello pubblico della fiducia – “Badate, ella ci crede!” – dell’altro. Questa speculazione è edonistico-sessuale ed economica, come risulta evidente dal grande cartello che inneggia alle costruzioni di Pinkerton, non più semplice marinaio, ma uomo d’affari, self-made-man. Il salto dalla parte al tutto di una certa società giapponese di cui Butterfly è una icona si manifesta nello spazio scenico più che nell’azione degli interpreti che, di fatto, resta legata alla tradizione esecutiva, quando non immobilizzata in funzione di questo approccio etico della regia.

Ne è un esempio la vestizione di Butterfly dopo il matrimonio, che pur essendo presente nel libretto è assente nei fatti, così come nelle pagine del magnifico duetto con Suzuki. Spariscono, dunque, gli orpelli tradizionali per lasciare una realtà cruda, ma a volte spoglia.

La scatola scenica del teatro tradizionale, che pure crea un’illusione molto più compatta rispetto all’orizzonte lungo dei palcoscenici all’aperto, non ha completamente giovato alla forza espressiva della scenografia di Alfons Flores, poiché ha diminuito la possibilità di immaginare (e a volte di vedere, complici le luci di Marco Filibeck?) il resto della società. Se nel palco all’aperto la casa di Butterfly possedeva un che di fragile e di unico, in mezzo ai caseggiati circostanti (nello splendido video di Franc Aleu), in un rapporto di uno a cento, in questo caso l’edificio occupa prepotentemente quasi tutto lo spazio, ostacolando persino il cielo e i palazzi di fondo.

Questo incide prospetticamente persino sul ruolo della stessa Butterfly che riacquista, da un lato, una centralità drammatica – sempre in termini spaziali: personale e privato – ma ne perde in sfumature, in possibilità, per una regia che punterebbe invece alla universalizzazione. E, dunque, certamente ne perde rispetto al “dialogo” con il resto del suo mondo: si pensi alla lenta processione del coro a bocca chiusa. Manca di prospettiva e sembra solo un serpente (o un drago) dal percorso obbligato attorno alla casa della protagonista. Persino questa folla è racchiusa in uno spazio angusto rispetto alla sensazione di agorafobia che poteva trasmetterci la prospettiva “aperta”, ribadendo la solitudine del singolo e della società giapponese rispetto ai rapaci stranieri approfittatori.

Ciò detto, si passa oltre, visto che la fruibilità musicale dell’opera resta intoccata. Anche grazie a una dinamica sostanzialmente tradizionale delle azioni sceniche e dei rapporti fra personaggi: scale, tavolini e sedie permettendo e a discapito di ogni critica sociologica.

La direzione di Roberto Abbado, però, ha voluto rinunciare ai facili effetti, bilanciando in una aurea mediocritas tutte le impennate e le stasi dell’orchestrazione pucciniana. Ne risulta una Butterfly carente di passionalità, sia quella giovanile e baldanzosa sia quella languida e introflessa. Non è un male assoluto, perché alcune pagine, come lo stesso coro a bocca chiusa, ci guadagnano.

Ma a perderci è la possibilità dei protagonisti di fluttuare – vocalmente – su questo magma incandescente che è l’orchestra pucciniana, sfruttandone persino gli effetti in funzione di un dialogo con il pubblico che renda “ascolto” l’estasi sessuale e il tormento amoroso. Questo forse è il punto più evidente: alla fine del primo atto la musica non arriva a supplire alla carenza di sensualità della scena, per cui sia Pinkerton che Cio Cio San restano immobili non per estasi erotica, ma per una limitazione registica e musicale.

Così, anche in altri passaggi, l’orchestra stessa non riesce a restituire con leggerezza le sfumature melodiche, ma affronta ogni gesto del direttore con gravità e materialità sonora. Questa lettura è a volte efficace, a volte limitante.

Sul fronte interpretativo ci sono più punti di interesse. Innanzitutto va notata la costante qualità delle voci del progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma coinvolte nelle produzioni, in questo caso Eduardo Niave (Yamadori) ed Ekaterine Buachidze (Kate).

Un plauso a parte meritano Carlo Bosi e Anna Maria Chiuri che mediano assai bene attitudini e vocalità, poiché il primo manca di una certa nota petulante che Goro richiederebbe e la seconda di una brunita matronalità che spetterebbe a Suzuki. Tuttavia, la scaltrezza scenica e la veridicità di atteggiamenti oscura questi trascurabili dettagli.

Giovanni Meoni, dal canto suo, firma uno Sharpless di tutto rispetto, per quanto gli sia permesso da regia e direttore. Restano infine i due protagonisti.

Sia Maria Teresa Leva che Luciano Ganci hanno l’età perfetta per affrontare con piena maturità, ma allo stesso tempo freschezza vocale i rispettivi ruoli.

Così Pinkerton vive della brillantezza timbrica, della baldanza del registro acuto e di un fraseggio attento, ma nel solco della tradizione che Luciano Ganci sa donare alla parte. Senza giudicarne l’atteggiamento aprioristicamente, egli vive il giovane americano momento per momento, tanto da renderlo degno di compassione persiono nel finale amaro.

Maria Teresa Leva, infine, porta in palco una sua personalissima Butterfly, con oneri e onori che le vanno riconosciuti. Azzarda pianissimi di rara bellezza, come nel “dormi amor mio”, ma non nega al personaggio momenti da virago, cui corrispondono acuti robusti e violenti, trasposizione della sofferenza e della rabbia di questa giovane donna. Sa affrontare con leggerezza il canto di conversazione, forse un pizzico lezioso per le orecchie di oggi, ma allo stesso tempo stupisce per alcune inflessioni malinconiche che spuntano all’improvviso anche in sole due parole come “Madama Pinkerton”.

Due voci che, si capisce all’ascolto, hanno ancora molte strade da percorrere, ruoli da scoprire e porte da aprire per stupirci e affascinarci: questo è il nostro migliore augurio.

Cito infine l’assunto di Gombrich: “l’arte non esiste, esistono invece gli artisti”. L’effettiva somiglianza formale, dunque, intesta come cieco rispetto della tradizione, è un dato irrilevante, per questo il repertorio operistico fa ancora parlare di sé.

Credito fotografico: tutte le foto dell’articolo sono fornite dall’Ufficio stampa del Teatro, Fabrizio Sansoni -Teatro dell’Opera di Roma.

Madama Butterfly

Musica di Giacomo Puccini

Tragedia giapponese in tre atti

Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa da John Luther Long e David Belasco

Direttore Roberto Abbado

Regia Àlex Ollé (La Fura dels Baus)

MAESTRO DEL CORO Ciro Visco

SCENE Alfons Flores

COSTUMI Lluc Castells

LUCI Marco Filibeck

VIDEO Franc Aleu

PERSONAGGI INTERPRETI

CIO-CIO-SAN Maria Teresa Leva

SUZUKI Anna Maria Chiuri

PINKERTON Luciano Ganci

SHARPLESS Giovanni Meoni

GORO Carlo Bosi

ZIO BONZO Luciano Leoni

IL PRINCIPE YAMADORI Eduardo Niave *

YAKUSIDÉ Maurizio Cascianelli

KATE PINKERTON Ekaterine Buachidze *

IL COMMISSARIO IMPERIALE Mattia Rossi *

L’UFFICIALE DEL REGISTRO Antonio Taschini

LA MADRE Angela Nicoli

LA ZIA Stefania Rosai

LA CUGINA Cristina Tarantino

*Dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

Allestimento Teatro dell’Opera di Roma in collaborazione con Opera Australia / Sidney Opera House

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