60 anni di Lessico Famigliare, voci dal tempo di Natalia

21 Marzo 2023

di Simone Carella

60 anni fa esatti, il 22 marzo 1963, veniva dato alle stampe Lessico Famigliare, il più celebre (e celebrato) romanzo di Natalia Ginzburg. In libreria sarebbe uscito poche settimane dopo, a inizio aprile. Il 4 luglio la scrittrice vinse il Premio Strega proprio con Lessico, dando il via alla sua diffusione inarrestabile e ad un successo di pubblico che dura tuttora in Italia e nel mondo.

Lo stesso giorno, il 22 marzo 1963, usciva in Inghilterra il primo album dei BeatlesPlease Please me, con i quattro affacciati dalla tromba delle scale degli Studios e singoli come Twist and Shout Love me do che avrebbero segnato la storia della musica pop. Pochi giorni prima della serata finale dello Strega al Ninfeo di Villa Giulia, il 1°luglio 1963, John Fitzerald Kennedy visitava l’Italia per la prima volta. A fine agosto, Martin Luther King avrebbe pronunciato il celebre “I have a dream” davanti al Lincoln Memorial di Washington.

Difficile, e forse sterile, giocare con le date e le ricorrenze in letteratura. Per Natalia Ginzburg, poi, il tempo trascorso può essere una trappola, se “chi ha dimenticato l’inverno non merita la primavera”. 

Allora proviamo a chiudere gli occhi e a immaginare. 22 marzo 1963. È mattino presto, diciamo le quattro e mezza, e Natalia si trova nella sua casa di piazza in Campo Marzio a Roma, vicinissima alla Camera dei Deputati e al Pantheon. Seduta sul divano, è già sveglia come ogni giorno. È un inverno rigido, quello del 1963. Perfino a Roma quel mattino la temperatura è scesa sotto zero. Natalia indossa un maglione e sopra una vestaglia. Lessico Famigliare lo ha scritto di getto, febbrilmente, dal 16 ottobre (il giorno dopo il matrimonio della figlia Alessandra) al Natale del 1962. Ora, dopo le ultime revisioni, è pronta a vedere l’effetto che fa. Il giorno in cui un proprio libro prende vita e viene dato alle stampe dev’essere un bel giorno per uno scrittore. A Torino le rotatorie della tipografia Einaudi viaggiano già a tutta velocità, su e giù, incessantemente, per sfornare le copie in tempo per l’ora di chiusura. Le sue parole, dopo esser state appuntate a mano su fogli con grafia ferma e una penna blu, si moltiplicano in migliaia di righe d’inchiostro. In tipografia la carta è ancora calda, poi si raffredda e i volumi si ammassano uno sull’altro. Sono pronti per la distribuzione, le librerie hanno risposto con interesse. La casa editrice Einaudi punta forte su Lessico, intende farne un romanzo da centomila copie, ha detto in una lettera Roberto Cerati, direttore commerciale.

Per gli altri romanzi, saggi e racconti la Ginzburg non ha venduto granché. Ma stavolta sarà diverso.

Natalia guarda fuori dalla finestra. Si accende una Nazionale, la prima della giornata. È ancora buio ma si intuiscono le nuvole sopra i tetti di Roma. Nella stanza da letto, il marito Gabriele Baldini dorme ancora. Sulla casa regna il silenzio che precede l’alba. Sta arrivando la primavera.

Sessant’anni dopo quel mattino, il 22 marzo 2023, in una libreria del centro di Torino una ragazza con lo zaino in spalla s’affaccia alla cassa. Il libraio la saluta, lei ricambia con un cenno della mano.

A scuola le è venuta voglia di leggere qualcosa. Il profumo della carta è invitante, lei inizia a girare tra gli scaffali. A un certo punto lo sguardo le cade su un volumetto con la copertina gialla, il disegno di Egon Schiele di una ragazza di profilo sdraiata con i capelli castani raccolti in una coda lunga. Ha una camicia a righe gialle e verdi e s’appoggia sul gomito, l’occhio socchiuso. Schiele le piace, nell’ora di arte ne hanno parlato e lei si è appuntata qualcosa sul quaderno. Il libro è Lessico Famigliare, di Natalia Ginzburg. Non le dice nulla, non ha mai sentito quel nome. Ma qualcosa nel titolo la cattura, come un richiamo, un sussurro. Di getto, decide di comprarlo. Interrompe il suo giro e va a pagare. Il libraio la guarda un po’ stupito per la risolutezza.

Su una panchina poco distante la ragazza inizia a leggere. 

Fin da subito, a rapirla sono le parole: “Sbrodeghezzi”, “Potacci”, “Negrigure”. Le prime righe. Ma chi parla così? La ragazza va avanti, e una dolcezza tinta di compassione la avvolge. Un affetto per dei luoghi, delle case, dei genitori strani, così distanti da lei, e una ragazzina che si muove nell’ombra, quasi sparisce per raccontare quel che vede e che ascolta. E c’è questo fluire di parole, proverbi, storpiature dialettali, tic e nevrosi assortite che c’è in ogni famiglia. Anche nella sua, in quella della ragazza. 

Certo erano altri tempi, densi di storia. La ragazza se ne rende conto quasi subito. Ma la Storia, dentro le pagine di Lessico Famigliare, resta sullo sfondo. Ciò che è in primo piano sono le voci, i movimenti e i sottofondi carpiti a basso volume. 

I personaggi sono spesso dei giganti, uomini di cultura e di alta levatura morale, ma fuori di casa: qui non conta. Non ancora. Tra queste pagine non c’è una sola esibizione di superiorità e di eccellenza.  Tutti sono spogliati delle loro vesti formali, da sera, dei loro profili migliori e sono sempre e solo ritratti nel segreto degli spazi domestici. Dove nessuno poteva vederli, se non la giovane Natalia, scura e imbronciata.

Questa verità accorcia le inevitabili distanze, e la ragazza si appassiona. Ride di gusto, da sola sulla panchina. È un po’ come se qualcuno le avesse affidato un nastro segreto con le voci della sua famiglia incise prima che lei nascesse: c’è qualcosa che la riguarda, che è anche suo. Col passare delle pagine scopre che la famiglia in questione abitava proprio a Torino. Che mangiava minestrine di Liebig e mezzorado a colazione, andava in montagna per gite e ascensioni. Per un attimo chiude il libro e le sembra di vederla, Natalia, passeggiare con la madre Lidia per le vie del centro. Le sente parlare, le sente dire “il Silvio” e si commuove. Va avanti. E sempre di più, pagina su pagina, guarda i personaggi negli occhi. Pavese, il basco largo in testa. Adriano Olivetti, la barba incolta e ricciuta. Loro non la vedono, ma lei sì. 

E la musica delle parole, che amalgama tutto, in un’unica voce che squilla e vince il tempo.  

Il cellulare le vibra in tasca, sono le quattro di pomeriggio. Ora di tornare. Fa una rapida ricerca su Google, scopre che la sua scrittrice preferita, Sally Rooney, ha detto che Tutti i nostri ieri di Natalia Ginzburg è “il romanzo perfetto”. Domani tornerà in libreria e comprerà anche quello.

Sessant’anni dopo quel gelido mattino di marzo 1963, qualche server nascosto aggiornerà i dati di vendita di Lessico Famigliare. C’è una copia venduta in più, a Torino, poco distante da dove abitava la famiglia Levi. Natalia non può saperlo, ma forse ne avrebbe sorriso. 

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