Emiliano Reali: scrittore che attraversa i generi

7 Marzo 2024
Foto di Cristina D'Andrea

intervista di Emiliano Metalli

Emiliano Reali è uno scrittore che attraversa i generi – letterari e umani – e approda oggi a nuovi progetti, senza perdere di vista da un lato il potere educativo e formativo della parola, dall’altro l’importanza dell’atto creativo come mezzo di miglioramento della società.

Dai racconti ai romanzi, dalla narrativa per ragazzi fino alla collaborazione con Utet e Lucky Red: un breve viaggio nel suo mondo alla scoperta del suo universo, che poi è anche il nostro!

Una vita tra le parole, per citare il teaser del tuo sito: da quando, ma soprattutto da dove nasce il tuo rapporto con la scrittura?

Scrivere è un’esigenza, un bisogno, una schiavitù, se non scrivo non sto bene, non tiro fuori, implodo. Già da ragazzino tenevo dei diari dove riversavo le mie emozioni: all’inizio ero inconsapevolmente assoggettato a questa dinamica, oggi è un utile strumento di catarsi.

In che occasione la parola scritta ha incontrato anche i temi della comunità LGBT+?

Da sempre, già con Ordinary raccontavo delle difficoltà di vivere in una società dove se non sei allineato a livello di orientamento sessuale vieni discriminato, escluso, vessato. Poi con “Bambi. Storia di una metamorfosi” ho esplorato e dato voce dall’interno all’universo LGBT+ raccontandolo però non come cellula espulsa o esterna alla totalità. È un romanzo che parla di amore, vita, sesso, difficoltà, amicizia, riscatto, odio, legami e rotture familiari e famiglie allargate, quindi un libro che parla a tutti.

Fra le tue esperienze ci sono articoli, recensioni, racconti, libri per ragazzi, romanzi di generi diversi, insomma una varietà notevole. Qual è il tuo terreno di elezione?

Il mio terreno d’elezione è quello della parola. Ognuno degli ambiti da te elencati è un pezzettino di un puzzle che mi completa e mi aiuta a trovare un senso e a battere un percorso che sia coerente col mio sentire.

Tu racconti anche brandelli di vita reale nei tuoi scritti: in che modo riesci a unire insieme testimonianza e creatività?

Nei miei romanzi o nei miei racconti sono sempre partito da esperienze personali o di persone che ho avuto modo di incontrare. Il confine tra reale e finzione è estremamente labile nei miei scritti, quando parlo di qualcosa devo conoscerlo dall’interno perché non voglio correre il rischio di dire sciocchezze, per rispetto al mio lavoro ma soprattutto ai lettori. Per scrivere Bambi ho vissuto con delle ragazze transgender, visto che un personaggio è un’investigatrice privata ho avuto una serie di incontri/confronti con dei veri investigatori. Però credo pure che quando si legge un libro non è necessario discernere testimonianza e creatività, questo bisogno morboso di scoprire se le vicende narrate siano accadute sul serio può distogliere da una lettura profonda. Un romanzo è inevitabilmente un mix tra testimonianza e finzione e va amato senza bisogno di capire dove inizia una e finisce l’altra.

C’è il rischio che una delle due prenda troppo il sopravvento?

Credo di aver risposto già.

Veniamo alle nuove esperienze. Da un lato un lavoro analitico per UTET, dall’altro un nuovo linguaggio, quello del podcast con Refuge per Lucky Red. Come hanno preso avvio?

Ho conosciuto i professori universitari Fabio Corbisiero e Salvatore Monaco quando recensii un loro libro sulle pagine de Il Mattino e si è da subito instaurato un rapporto di stima reciproca. Dopo qualche tempo mi hanno contattato proponendomi di redigere un modulo di approfondimento sul giornalismo LGBT+ all’interno del loro nuovo saggio Manuale di studi LGBTQIA+ (Utet Università) e parlandone abbiamo deciso che oltre quello ne avrei redatto anche uno sulla narrativa LGBT+. Per quando riguarda invece il progetto Refuge alla casa di produzione serviva un professionista che conoscesse dall’interno la realtà LGBT+ e quella dei giovani, quindi hanno contattato me. Ovviamente non ci ho pensato su prima di accettare.

Abbiamo bisogno oggi di fare un punto sulla narrativa LGBT+? Perché?

Il mainstream letterario dà poco spazio e visibilità a certe opere e volevo elencare quelle che secondo me sono esempio di lavori virtuosi, tentando di fornire anche un quadro evolutivo sulla disponibilità dei marchi editoriali ad affrontare certe tematiche. Un modo per restituire voce a libri di qualità che spero arrivino sempre a più lettori.

Qual è la tua posizione su alcuni scrittori “dimenticati” (almeno dalle case editrici) e quasi introvabili come Dario Bellezza? Come potremmo recuperarli?

Domandona questa. Quanti scrittori sono introvabili! Bisognerebbe far davvero un lavoro di recupero editoriale, non aspettando necessariamente anniversari di nascita o morte. Credo che i lettori vadano ‘educati’ e consigliati – soprattutto le nuove generazioni – verso certe letture, ma poi queste letture devono essere reperibili. Visto che mi parli di Dario Bellezza mi viene in mente che di recente è uscito il documentario “Bellezza, addio di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese.

Refuge, la serie podcast cui hai collaborato, tratta di storie vere. Le hai mai “toccate” da vicino? Hai avuto esperienza di storie come quelle?

Ho aiutato un ragazzo a scappare dal Qatar, dove era obbligato per sopravvivere a tenere la sua omosessualità nascosta. È stata un’esperienza intensa, dolorosa, che mi ha lasciato ferite ancora aperte, ma so di aver fatto bene, vale sempre la pena di salvare una vita. Per quanto riguarda invece le storie raccontate in Refuge la produzione mi ha fornito, quando sono entrato a far parte del progetto, del materiale con dettagli e aneddoti che avevano ottenuto interfacciandosi coi responsabili della casa di accoglienza Refuge, fondata dal Gay Center. Ho lavorato su quello.

C’è una storia che ti ha colpito più delle altre?

Sono tutte orribili e tutte per fortuna hanno avuto un lieto fine essendo i protagonisti riusciti a chiedere aiuto e a scappare dalle proprie famiglie. Quella di Rosario, figlio di un mafioso che gli brucia i piedi per evitare che tenti nuovamente la fuga, mi commuove tanto.

Perché c’è bisogno di case rifugio LGBT+ ancora oggi? Non dovrebbe essere un tempo più pronto ad accettare e accogliere i temi, le persone e le esigenze della comunità LGBT+?

L’omo-bi-transfobia non è mai scomparsa, l’ignoranza non sarà mai debellata completamente, neppure la paura del ‘diverso’, bisogna lavorare e impegnarsi per educare, aprire le menti all’altro e all’inclusione, lavorare sulle paure, perché queste sono alla base di molte aggressioni. Il modello patriarcale, condito da un insano machismo, sono tra i principali responsabili del fatto che ancora troppi individui non possano vivere serenamente in modo libero. Poi non nascondiamoci dietro a un dito, l’attuale governo di certo non aiuta a migliora la situazione, anzi. Se in altri paesi la destra approva il matrimonio egualitario o elargisce sacrosanti diritti, perché i diritti civili non dovrebbero avere colore politico, qui in Italia non è così.

Come hai lavorato sui materiali biografici? Hai dovuto modificare alcuni dettagli o hai mantenuto tutto come una testimonianza reale, cruda e neutrale?

Abbiamo scelto di modificare dei dettagli, incrociare aneddoti, per rendere i ragazzi meno riconoscibili. Abbiamo dovuto tener presente che sono giovani rifugiati e che spesso le loro folli famiglie li stanno ancora cercando per fargliela pagare, non tollerando il fatto che si siano ribellati e non adeguati alle loro aspettative malate.

Refuge è più un documentario o un documento politico?

Mi viene in mente quando, parlando delle persone transgender, si dice che il loro stesso corpo è un atto politico. In quest’ottica credo che qualsiasi lavoro che porta in primo piano le vite di esseri umani vittime di odio e discriminazione perché non allineati e non conformi a una stupida e inesistente normalità sia in parte anche un atto politico.

Chi è il pubblico ideale di Refuge?

Refuge si rivolge a tutti, soprattutto a quelli “l’omofobia non esiste, siete esagerati” e ancor di più ai ragazzi che vivono un momento di difficoltà perché discriminati. Questo progetto serve a far capire loro che non sono soli.

Quali sono i tuoi progetti in cantiere dopo Refuge? 

Ho tre libri pronti, che spero trovino casa al più presto, e una cosa tanto bella da non poterne parlare.

Se dicessi “Laura Pausini” a cosa penseresti?

L’ho amata in modo viscerale nella mia adolescenza e non solo, cantavo le sue canzoni a squarciagola in motorino. Le ho dedicato un racconto nella collettanea Diva Mon Amour, un progetto editoriale atto a raccogliere fondi per la lotta all’AIDS.

Un’ultima domanda. A cosa servono oggi le icone?

Le icone, quando sono icone sane, possono veicolare messaggi, fungere da esempio. Mi vengono in mente le star di Hollywood come Lady Gaga e altri che si sono contrapposti all’odio e alla discriminazione che Trump diffondeva. Però attenzione, i modelli, le icone, non devono mai sostituirsi al nostro libero arbitrio e alla nostra capacità di discernimento.

emilianoreali.it

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