Dialogues des Carmélites inaugura la nuova stagione del Teatro dell’Opera di Roma

8 Dicembre 2022

recensione di Emiliano Metalli

La sensualità di Teresa de Ahumada – più nota come Santa Teresa d’Avila, figura chiave per l’Ordine delle Carmelitane – è immortalata nel misticismo barocco dell’estasi di Bernini ma anche nella ritrosia seduttiva del dipinto di François Gérard. Ed è proprio al secondo che la regia di Emma Dante sembra avvicinarsi, preferendogli il più noto David, apertamente citato sulla scena di questi Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc che tornano al Teatro dell’Opera di Roma dopo trenta anni di assenza.

Fluido come un montaggio cinematografico, sostenuto da un continuum drammatico eccellente (raro pregio dei mimi che in altre scene disturbano assai, nonostante la pregevolezza dei movimenti coreografici di Sandro Campagna) e dall’uso accorto della tela nera che cala come un taglio netto fra palco e proscenio, l’impianto registico si costruisce principalmente attorno a due concetti chiave: cornice e patriarcato.

La cornice, merito della elegante concezione scenografica di Carmine Maringola e del disegno luci pittorico e ambiguo di Cristian Zucaro, è cardine essenziale del dinamismo scenico, ma è impiegata in chiave drammaturgica anche nel senso più ampio del suo significato. Infatti è cornice-struttura-praticabile in cui si inseriscono i dipinti di David – alter ego mondano delle Carmelitane – dietro cui le stesse si nascondono, come porte, o entro le quali muoiono, come ghigliottine, e infine dove giacciono, come avelli. Questa funzionalità di ogni singola cornice diviene, poi, scenografia nel rapporto con le altre, moltiplicando l’identità singola in una comunità: espressione della vita monastica delle protagoniste.

Tutto considerato l’effetto è bello alla vista, ma anche coerente con il dramma. Anche perché a questo espediente si alternano scenografie più tradizionali, come la cripta, ad altre quasi sperimentali, come la stireria, dove sulla immensa asse da stiro spiccano le croci roventi della base dei ferri.

Ma cornice è infine la Storia stessa – rigorosamente con la S maiuscola – cioè a dire la Rivoluzione, motore di questo dramma, di cui è inevitabilmente anche perimetro che lo contiene, nella complessità delle dinamiche interiori, dei moti dell’animo e di una religiosità vista con malevolo occhio nichilista. Emma Dante raccoglie questi elementi e li pone a confronto con il Patriarcato che regola la Storia, ma anche la violenza dei moti rivoluzionari, di cui l’Uomo è emblema. Non a caso sono gli uomini a distruggere, mentre le donne si preoccupano di preservare anche a costo della vita. Sono gli uomini a travestirsi o a fuggire per combattersi su fronti opposti, mentre le donne mantengono Fede ai propri voti. Una Fede che sfiora l’apoteosi tragica in particolare per tre di esse: Mère Marie, Blanche e, naturalmente, Madame de Croissy. Una tragedia generata dai conflitti interiori ed esteriori, fra la paura, l’orgoglio e la necessità.

Elemento di confine fra le parti è il Cristo, la cui identità è volutamente non determinata, ma fortemente iconica, tanto da trasfigurare la morte di Blanche.

Una regia, insomma, ben equilibrata e allineata al dramma, nonostante alcuni passaggi dissonanti che rappresentano, però, i tratti distintivi dell’estetica di Emma Dante. Non stupiscono, quindi, né disturbano, soprattutto in un titolo così poco noto alla maggioranza del pubblico.

“La musica è per l’inesprimibile” affermava Debussy. E questo è ben chiaro a Poulenc nella composizione di quest’opera così come a Michele Mariotti che tanto perfettamente la dirige, sottolineando i pregi di una partitura articolata e sottile, delicata, preziosa e fragile al tempo stesso. La forma aperta di un canto-parlato e la scansione scenica per giustapposizioni timbriche e ritmiche non è semplice da coordinare, eppure Mariotti non abbandona un momento né l’orchestra, adeguatamente complice della visione direttoriale, né gli interpreti. Da entrambe le parti riesce a far emergere il meglio mantenendo un continuum sonoro – alter ego di quello drammatico – da cui i temi sembrano uscire e rientrare, come corrispondenze sottili e misteriose, tessuto connettivo tanto musicale quanto narrativo appunto. E se dall’orchestra trae il meglio negli ipnotici passaggi strumentali degli interludi, le voci trovano un amalgama perfetto nel clima sonoro dei canti religiosi (il Requiem, l’Ave Maria, l’Ave verum e il famoso Salve Regina cantato dalle Suore durante l’esecuzione) in cui risuona qualcosa di remoto.

Il cast è incredibilmente uniforme, compatto e perfettamente a proprio agio nelle rispettive parti.

Corinne Winters incarna una Blanche corretta, in linea con la tradizione, con una punta di sospensione ieratica in più in alcune scene, almeno in contrasto con il movimento di corpi e chiome che la circonda, ma senza toccare le vette di equilibrio di altri ruoli in cui l’abbiamo ascoltata a Roma. Vocalità ora spigolosa, a tratti, ora più scura e raccolta, ma sempre a servizio della situazione e del dramma, senza mai sovrastarlo o esserne schiacciata. Pregevolissimo, al suo fianco, Bogdan Volkov nel ruolo del fratello, con cui delinea un duetto in parlatorio indimenticabile. Incisiva e a tratti tenera la Madame Lidoine di Ewa Vesin, che affronta un ruolo arduo sia musicalmente sia scenicamente e lo risolve assai bene. Ekaterina Gubanova offre a Mère Marie una vocalità brunita e affascinante, insieme a un fraseggio drammatico e a una presenza scenica combattiva e seducente. Per questo tratto è forse quella più vicina all’idea registica delle Carmelitane come donne-soldato.

Dolce, ma un po’ asprigna la Constance di Emöke Baráth, sebbene scenicamente deliziosa. Punta di diamante è però la Madame de Croissy di Anna Caterina Antonacci, la cui cesellatura del personaggio è attenta, puntuale, minuziosa dall’incedere solenne al sottile movimento del volto. Le sue qualità di attrice tragica si manifestano nella spaventosa scena della morte della Priora che conclude il primo atto: su una lunga passerella-letto la Antonacci parcellizza lo spavento e la paura, fino alla bestemmia, questa morte necessaria e cardinale per la vita di queste donne, così presente nei loro dialoghi quotidiani. Menzione a parte meritano i costumi di Vanessa Sannino, per le linee e alcune incursioni nel colore, ma soprattutto per le armature-saio di grande effetto pittorico. Apertura di stagione indimenticabile!

Dialogues des Carmélites

Musica di Francis Poulenc

Opera in tre atti e dodici quadri

Libretto tratto dalla pièce di Georges Bernanos

Prima rappresentazione assoluta Teatro alla Scala, Milano 26 gennaio 1957 (in italiano)

Prima rappresentazione al Teatro Costanzi, 17 marzo 1958

direttore Michele Mariotti

regia Emma Dante

MAESTRO DEL CORO Ciro Visco

SCENE Carmine Maringola

COSTUMI Vanessa Sannino

LUCI Cristian Zucaro

MOVIMENTI COREOGRAFICI Sandro Campagna

PERSONAGGI E INTERPRETI

MARQUIS DE LA FORCE Jean-François Lapointe

BLANCHE DE LA FORCE Corinne Winters

CHEVALIER DE LA FORCE Bogdan Volkov

MADAME DE CROISSY Anna Caterina Antonacci

MADAME LIDOINE Ewa Vesin

MÈRE MARIE DE L’INCARNATION Ekaterina Gubanova

SOEUR CONSTANCE DE SAINT-DENIS Emöke Baráth

MÈRE JEANNE DE L’ENFANT-JÉSUS Irene Savignano**

SOEUR MATHILDE Sara Rocchi**

L’AUMÔNIER DU CARMEL Krystian Adam

OFFICIER Roberto Accurso

I COMMISSAIRE William Morgan

LE GEÔLIER / II COMMISSAIRE Alessio Verna

THIERRY /JAVELINOT Andrii Ganchuk**

** diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con Teatro La Fenice, Venezia

Foto Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

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