Santa Rosa: l’oratorio di Melani apre il Festival Stradella 2023

1 Settembre 2023

di Emiliano Metalli

Era il 1686 quando la Santa Rosa di Viterbo del sacro ordine di San Francesco, oratorio a cinque voci di Alessandro Melani, allievo di Antonio Maria Abbatini e vicino alle famiglie Colonna e Rospigliosi, fu eseguito per la prima volta nel Teatro dei Mercanti, all’interno del Palazzo del Podestà di Viterbo. Forse poteva trattarsi del teatro dei Nobili, perché le notizie attorno agli spazi culturali in alcune epoche, come il Seicento – ma vale anche per la nostra contemporaneità – , sono lacunose, più spesso inesistenti.

Oggi viene proposto integralmente al pubblico viterbese, nella cornice essenziale e perfettamente adeguata della chiesa di Santa Maria Nuova, grazie a un lavoro di riscoperta e di studio dell’Ensemble Mare Nostrum e dello Stradella Project, fautori della valorizzazione di musiche e musicisti del Seicento.

Il rapporto fra la città di Viterbo e la Santa cui è dedicato l’oratorio, l’inventiva musicale nonché la ricca aneddotica attorno al compositore e alla sua famiglia – uno dei fratelli era un rinomato cantante nonché informatore per la Corte francese – e infine la presenza decennale della operosità artistica e organizzativa del Festival Stradella rendono però questa esecuzione moderna, che inaugura l’edizione 2023, un evento davvero eccellente.

Santa Rosa, giovane francescana del XIII secolo morta a soli diciotto anni, è una figura centrale nella vita della città, anche per merito della tradizionale “Macchina” a lei dedicata, mirabolante commemorazione della traslazione delle spoglie, conservate intatte nonostante la sepoltura a terra, avvenuta alcuni anni dopo la morte.

Fra i molti episodi agiografici, Melani sceglie di trasporre in musica un momento specifico della sua vita: l’esilio e la conversione della strega. Sono due situazioni che si prestano assai bene alla vocazione didattico-religiosa e dottrinale della Chiesa che impiega l’oratorio come mezzo artistico di rafforzamento e diffusione della Fede.

La prima parte rappresenta lo spirito di sopportazione della Santa rispetto alle difficoltà del percorso – sia esso l’esilio o la vita stessa – e la sua capacità di dialogo con Dio, come tramite per il bene altrui. In questo caso specifico per il Padre e la Madre che divengono identificativi di tutta l’umanità. Questo dialogo mistico ed esclusivo le permette di rinvigorire le forze fisiche e morali dei due, che stavano svanendo per colpa del gelo e del buio, antitesi assai efficace della luce e del calore di Dio, più volte ribaditi nel testo. Ma le permette anche di affrontare altri ardui compiti.

La seconda parte è caratterizzata dall’arrivo della Maga, una figura che assomma su di sé tutta la tradizione del Paganesimo, fino alle eresie più recenti, come quella dei Catari. Non è un caso che l’antagonista di Rosa sia una donna e per di più una Maga. La Chiesa ha sempre combattutto l’elemento “magico” della conoscenza antica attraverso il bando della figura femminile, considerata per antonomasia portatrice di male.

Al contrario, Rosa rappresenta l’elemento femminile “positivo”, quello che trova il suo posto nella creazione cristiana in relazione alla famiglia, di cui è sostegno, e a Dio, a cui piega la sua volontà. Tramite la sottomissione a Dio ella riesce a compiere i miracoli, come quello di restare viva e intatta anche fra le fiamme – al contrario di Giovanna D’Arco – e spingere in questo modo la Maga e tutti i suoi seguaci alla conversione. Il bene trionfa così sul male.

Se il libretto rischia a tratti di essere semplicistico, più nella trama che nella forma, è la musica ad avere la meglio. Prima di una canonizzazione formale delle composizioni cui ci ha abituato l’ascolto delle opere settecentesche e ottocentesche, i compositori del Seicento hanno saputo valorizzare, con straordinario equilibrio e inventiva, le parole e la portata del loro significato simbolico e iconico.

In questo panorama libero e creativo il recitativo si trasforma in arioso senza fratture evidenti, la struttura generale è più fluida e l’impressione è di naturalezza e spontaneità. Impressione, ma non realtà: la composizione è molto attenta a rispettare alcuni passaggi più incisivi di altri, come i due interventi di Rosa nella conclusione delle due parti dell’oratorio, così come a “chiudere” alcune forme strofiche attraverso la ripetizione di un verso e della sua melodia.

Ma non c’è, in questo caso, ricerca di un effetto che non sia armoniosamente connesso al significato dottrinale, da un lato, e drammatico, dall’altro. Così i passaggi di agilità non sono a servizio dell’artista, bensì a sostegno della parola e del suo rapporto con la drammaturgia. Persino i pezzi d’assieme, rari ma non assenti, nascono dall’esigenza di confronto – come fra Rosa e la Maga – o di condivisione – come nel caso dei due genitori. Hanno, cioè, un rapporto costante con il racconto e con esso prendono forma e struttura, non viceversa.

Questi rapporti e questo equilibrio risultano più chiari all’ascolto soprattutto per merito della interpretazione che ne offre Andrea De Carlo, instancabile creatore di queste riscoperte, dal vivo e in incisione, insieme a un gruppo di giovani e attenti esecutori, a lavoro su strumenti originali. Si entra, in questo modo, in un universo sonoro che è al tempo stesso filologia contemporanea e suggestione mistica di un viaggio nel tempo e senza tempo.

Fra tutti gli esecutori, davvero eccellenti, è doveroso nominare almeno Juan José Francione che in un paio di occasioni ha fatto la differenza con il suo tocco, sublimando mondi lontani all’interno di parentesi che spaziano dalla musica celtica al jazz d’autore, ma senza allontanarsi di un passo dalla partitura di Melani.

Il cast vocale ha dimostrato un’aderenza allo stile vocale del compositore, senza cadere in sterili manierismi. Il purismo rimanga pure ospite di torri inaccessibili, ma in questa esecuzione è stato possibile godere di un tripudio di vocalità vivide e cocenti.

Fatta eccezione per MASASHI TOMOSUGI, la cui dizione risultava più confusa delle altre nonostante un timbro interessante e adeguato al ruolo, le tre interpreti femminili hanno superato di gran lunga le aspettative, come hanno dimostrato i lunghi e sinceri applausi.

DOROTA SZCZEPAŃSKA ha messo in campo un fraseggio tenero e malinconico, che ha fatto il paio con un timbro lunare ed evanescente, regalando al personaggio della madre una tridimensionalità attuale e compassionevole.

La Maga di ELEONORA FILIPPONI possiede una tellurica e vellutata sensualità mista a un registro grave ricco e vibrante che non è andato mai oltre la misura. Se nei recitativi era tesa a rallentare l’andamento della parola, questa scelta ha giovato sia alla comprensione del testo, ma soprattutto al carattere malvagio del suo personaggio, tanto più suggerito quanto meno manifestato in atti e accenti palesi.

Trionfatrice della serata è stata però SILVIA FRIGATO che ha messo a disposizione di Santa Rosa la sua voce adamantina, il fraseggio costantemente vario, le agilità perfette e pure profondamente espressive, toccante nelle cadenze che evaporano come nebbia al sole, struggentemente sincera negli accenti più spirituali. Ha saputo rendere l’essenza umana della Santa, mettendo in risalto, al tempo stesso, la purezza del suo canto mistico.

Il programma del Festival Stradella 2023 è disponibile a questo link.

Festival Stradella 2023

Concerto di apertura

Mercoledì 30 agosto 20:30 Viterbo, Chiesa di S. M. Nuova

SANTA ROSA di VITERBO

Oratorio di Alessandro Melani

ENSEMBLE MARE NOSTRUM

SILVIA FRIGATO soprano, Santa Rosa

DOROTA SZCZEPAŃSKA soprano, Madre

MASASHI TOMOSUGI basso, Padre

ELEONORA FILIPPONI mezzosoprano, Maga

ANDREA DE CARLO direzione

Gabriele Toscani, violino I

Marco Kerschbaumer, violino II

Simone Siviero, viola

Irene Caraba, viola da gamba

Johannes Kofler,violoncello

Amleto Matteucci, contrabbasso

Daniel Zapico, tiorba

Juan José Francione, arciliuto e chitarra barocca

Margherita Burattini, arpa tripla

Lucia Adelaide Di Nicola, clavicembalo e organo

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere

L’elettro-house della musica e dei ricordi: “House” e Jomoon a Entrature>Sonore

House, “casa” in inglese. Questo termine però indica anche un